Uno spettro si aggira per l’Europa: l’astensionismo elettorale. Molti lamentano il fatto che si voti sempre meno alle elezioni politiche. “L’astensionismo sarà il primo partito”. In Italia nel 2006 si astenne il 16,4% degli elettori, il 2008 il 19,5%, il 2013 non votò il 24,8%, nel 2018 il 27,1%… Quanti si asterranno il 25 settembre 2022? Questa fuga crescente dal voto viene interpretata come effetto della distanza crescente tra elettori e politici. Ma credo che sia un punto di vista molto semplicistico.
La partecipazione al voto (voting turnout) degli italiani corrisponde a quella media nei paesi OCDE. In altri paesi importanti – Regno Unito, Spagna, Corea del Sud, Stati Uniti, Giappone… – la partecipazione è ancora minore. Comunque negli ultimi 30 anni il voting turnout è diminuito in quasi tutti i paesi OCDE. Tranne in alcuni come Turchia, Ungheria, Stati Uniti… guarda caso, proprio nei paesi che più hanno svoltato a destra! (Turchia e Belgio sono i paesi OCDE dove si vota di più.)
La bassa partecipazione al voto nelle democrazie mature suscita di solito due reazioni solo in apparenza opposte, una di biasimo e l’altra di comprensione.
Pratico il biasimo anche io nei confronti degli amici colti, di sinistra, i quali dicono di non voler andare a votare, perché non soddisfatti da nessuno dei partiti in lizza. Ribatto loro che, così facendo, alimentano il fascismo. Chi non vota in pratica lascia la scelta di chi ci deve governare a quelli che votano, delega insomma il potere di decidere del proprio destino ad altri. Ma che cosa è il fascismo se non la delega del proprio potere di decidere a un “duce” e alla sua consorteria? Astenersi dal voto è il primo passo nell’affidare a Lui il proprio futuro.
D’altra parte però apprezzo il non-voto come atto spesso di sincerità. In effetti dobbiamo convincerci del fatto che una buona fetta dei cittadini delle democrazie liberali non capisce nulla di politica, dato che non se ne interessa né ha gli strumenti per capirla. Non a caso il voting turnout aumenta man mano che si accrescono l’età, il titolo di studio e il reddito. A scuola nessuno ci insegna come funziona il sistema politico del nostro paese, né tanto meno l’abc dell’economia. Quindi, gran parte dei temi di cui dibatte la politica sono quasi del tutto incomprensibili alla massa degli elettori – il PNRR, il superbonus da 110%, il cuneo fiscale, l’aumento del tasso di sconto, il voto disgiunto, il price cap al petrolio, ecc. ecc. Il fatto che gran parte delle persone non capisca il linguaggio dei politici non è perché – come ripetono senza posa i conformisti stupidi – la classe politica si è sconnessa dai sentimenti popolari, ma perché la politica implica un sapere che occorre conoscere.
Al contrario, i politici sono per lo più troppo vicini, purtroppo, ai problemi concreti dei loro elettori. Spesso, a livello locale, per venire incontro a esigenze anche ingiustificabili del loro elettorato, contraddicono le posizioni dei propri partiti a livello nazionale. Lo si vede bene in un caso come quello di Piombino, dove l’assioma NIMBY ha spinto la popolazione a opporsi alla costruzione urgente di un rigassificatore nel porto. Qui quasi tutti i politici locali, dalla destra alla sinistra, sostengono l’opposizione dei piombinati, mentre i leader nazionali sono concordi nel costruire al più presto rigassificatori per sfuggire alla dipendenza dal gas russo. La politica è fatta di migliaia di Piombino, che non formano alcun puzzle coerente. La democrazia porta inevitabilmente alla tentazione demagogica di cavalcare tutti i particolarismi perdendo di vista il bene generale. I politici cercano di soddisfare tutti e ciascuno, che è come voler quadrare il cerchio.
Questa non-competenza degli elettori vale anche dopo le elezioni, quando si tratta di giudicare l’operato di un governo. Si dice “bisogna vedere se si è governato bene, o se si è governato male”. Ma bene o male PER CHI? Quali criteri applica un elettore per decidere che un governo ha governato bene o male? La sua vita personale potrebbe essere peggiorata per tante ragioni che non sono magari conseguenza diretta o indiretta di scelte governative, ma potrebbe darne la colpa al governo. Una crisi economica internazionale può colpire varie fasce della popolazione senza che il governo ne sia responsabile… Così, un governo che secondo certi criteri ha governato benissimo può essere percepito come un governo che ha agito malissimo. E viceversa. Nulla ci garantisce che la realtà e la percezione debbano coincidere.
L’astensionismo è quindi, certo, un segno di crisi della democrazia, ma – ripeto – non perché un’aristocrazia politica si sia separata dal popolo. È che la maggior parte delle persone, anche laureate, vedono tutto dal punto di vista del proprio particulare, dall’angolazione ristretta della propria esperienza, ma non sono capaci di pensare alla globalità del proprio paese, che intreccia aspetti economici, istituzionali, morali, giuridici, geopolitici, ecc. Così per il commerciante il problema essenziale sarà quello di diminuire le tasse, per l’insegnante di aumentare gli stipendi agli statali, per il pensionato di aumentare le pensioni, per la massaia pagare meno al supermercato, ecc. Pochi riescono a vedere i problemi degli altri, e anche se li vedono non ne tengono conto.
A che pro quindi votare un partito piuttosto che un altro, dato che non si capisce nulla dei problemi che i partiti devono risolvere? La crisi della democrazia è tutta qui.
(questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso da www.sergiobenvenuto.it)
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