Questo Paese non può rassegnarsi a quello che da un po’ di tempo sembra un destino ineluttabile: la rassegnazione che le cose debbano funzionare sempre in questo modo, che in fondo non ci sia nulla da fare per mutare il corso del Paese, che i giorni migliori siano alle nostre spalle, che davanti ci sia solo un lento declino. Non sta scritto da nessuna parte che questa debba essere la fine della storia. Questo punto di vista deriva dal fatto che l’Italia è uscita dalla seconda guerra mondiale, e da tutto quello che ne è conseguito, senza fare i conti con il proprio passato. Ma senza fare i conti con il passato non si costruisce il futuro. Non ci siamo mai guardati allo specchio forse perché abbiamo avuto paura di vedere il vero colpevole. Noi abbiamo bisogno di cercare il vero colpevole in qualcun altro, nei mercati, nella BCE, nell’Europa.
L’Italia esce dalla seconda guerra mondiale come un paese agricolo e nei 20 anni successivi compie uno dei passi più belli della propria storia. In quegli anni il Paese dà il meglio di sé, il miracolo italiano, l’inizio dell’avventura europea. Poi a un certo punto qualcosa si rompe perché abbiamo creato ricchezza ma non siamo stati capaci di distribuirla in modo corretto. Nascono le tensioni sociali di fine anni 60 con tutto quello che ne consegue anche con la stagione terribile che l’Italia ha vissuto dopo. Negli anni ’70 qualcosa si rompe, quelli ai quali il populismo ci vuole fare tornare perché non passa giorno in cui non ci dicano come erano belli quegli anni perché c’era la cabina telefonica, le domeniche non c’erano i supermercati aperti, si stampava moneta, c’era l’inflazione, insomma tutta un’operazione culturale per accreditare quel tempo come l’età dell’oro.
In realtà è in quei decenni che cominciano i guai, negli anni 70 noi siamo andati avanti con la svalutazione e con l’inflazione, negli anni 80 invece la droga, quella cosa che all’inizio ti fa stare bene ma poi ti ammazza, diventa un’altra e cioè il debito pubblico. Questo Paese entra negli anni ’80 con il 60% di rapporto debito/Pil, ironia della sorte 13 anni dopo quel rapporto sarebbe stato, e lo è ancora, il valore di riferimento. Noi c’eravamo nel 1981, nel 1994 quello stesso numero diventa il 122,8%, siamo insomma riusciti negli anni ’80 nella non facile impresa di raddoppiare il rapporto debito/Pil. E’ come se avessimo cominciato a mettere polvere sotto il tappeto rinunciando a diventare maturi, economicamente e forse anche politicamente. Crescevamo ma grazie alle droghe, cioè inflazione, svalutazione e debito pubblico. A inizio anni ’90 però ci troviamo in un mondo che è cambiato, totalmente, in quei 20 anni è davvero cambiato tutto, la chiamiamo globalizzazione ma arriva anche internet, la rete, diventiamo connessi a livello globale. Noi in più, come Paese, abbiamo subito un altro cambiamento. Fino ad allora il mondo ci aveva visto centrali a livello geopolitico perché l’assetto di questo continente così come era uscito dalla seconda guerra mondiale vedeva Est contro Ovest e Nord contro Sud. In mezzo a queste due direttrici c’era l’Italia che era cruciale, nel bene e nel male. Quando quel mondo è crollato dell’Italia non è importato più niente a nessuno e quindi ci siamo ritrovati soli. Ci siamo salvati entrando nell’euro, e grazie a dio ci siamo entrati, ma non abbiamo potuto più utilizzare nessuna delle droghe a cui ci eravamo abituati nei decenni precedenti e allora la polvere sotto il tappetto ha cominciato a sfondare il tappeto. Il reddito italiano pro capite è lo stesso quest’anno del 1999, cioè questo paese in 20 anni è rimasto fermo. La crescita che noi siamo riusciti a fare durante i nostri governi è stata solo la metà di quello che avevamo perso nella crisi mondiale e europea che si è avuta fra il 2008 e il 2013 e che si è innescata in un paese che dagli anni ’90 non cresceva più e che prima quando cresceva lo faceva solo grazie all’utilizzo di quelle droghe di cui ho detto.
Ora se ci vogliamo guardare in faccia non possiamo dare la colpa di tutto questo a qualcuno che non sia noi stessi. Chiunque avesse preso il Paese in mano in quei momenti aveva davanti due opzioni o perpetuare la polvere sotto il tappeto, pur sapendo che nel mondo globalizzato non esiste un tappeto tanto grande da contenere tutta polvere, e dire alla gente quello che in fondo voleva sentirsi dire, e cioè che quello che stava succedendo era colpa del mondo globale, oppure fare un’operazione verità e dire che era giunta l’ora di cambiare perché i vecchi comportamenti non erano più possibili nella nuova situazione. Sono due prospettive antitetiche e inconciliabili sia dal punto di vista culturale che politico. Con la prima si acclara la tesi che il posto migliore dove andare sia quello in cui siamo già stati perché è rassicurante, perché quello che è successo ci ha fatto venire paura del futuro, salvo poi incolpare qualcuno, ad esempio l’Europa, se la flat tax non si può fare o non si possono mandare via tutti gli immigrati, con seconda invece si punta su una società aperta cercando nuove soluzioni a vecchi problemi.
Noi abbiamo rifiutato e rifiutiamo la prima impostazione. Non è vero che la soluzione è tornare indietro, non si può dire alla gente quello che vuole sentirsi dire, perché è così questa maggioranza ha preso il consenso. Noi quando siamo stati al governo dal 2014 al 2018 abbiamo fatto anche degli errori ma quella è stata certamente la più bella esperienza riformista che il paese abbia avuto. Noi siamo convinti che alla gente vada detto che il colpevole di tutto questo è solo lo specchio ma che è possibile cambiare i nostri comportamenti per adeguarci a un mondo che è diverso rispetto a quello in cui siamo cresciuti.
Per questo era necessario cambiare anche le regole di funzionamento del paese, anche riguardo l’assetto istituzionale. Ed è quello che abbiamo tentato di fare.
Rifiutiamo la vulgata che la soluzione sia tornare indietro, addirittura sulle forme di democrazia. Teorizzano una democrazia illiberale, alla Orban. Ma queste forme di democrazia non fanno parte della nostra storia. Rifiutiamo l’idea che si debba mettere indietro le lancette dell’orologio perché il mondo che è alle nostre spalle è meglio di quello che possiamo costruire.
Noi abbiamo l’obbligo di dire che quello che è accaduto in questo pianeta, fra l’89 e il 2008, cioè la globalizzazione, offre molte più opportunità che rischi. Dove abbiamo sbagliato? Nel credere che queste opportunità fossero magicamente fruibili da tutti. Non è vero. Compito del potere pubblico e della politica è accompagnare al cambiamento, così per l’industria, il lavoro, lo sviluppo. Chiusura e protezione non possono essere le parole d’ordine, dobbiamo cambiare perché il posto in cui possiamo andare è molto migliore di quello da cui veniamo.
*Questo testo è una sintesi dell’intervento fatto dall’On. Luigi Marattin in occasione del convegno “Ritorno al futuro” tenutosi a Pistoia lunedì 20 maggio.
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