La politica, nella sua accezione più generale, dovrebbe servire a comprendere i fenomeni reali per fornire soluzioni adeguate ai problemi, in base a una visione e una scala di valori. In Italia, su questo versante, la situazione è piuttosto complessa, volendo usare un eufemismo. Un governo, dotato solo di poteri di “ordinaria amministrazione”, sta affrontando con grande compostezza ed efficacia questioni che richiederebbero riscontri immediati e di carattere strutturale, mentre è in corso una bagarre politica su liste e programmi, che dovrebbe preludere a un confronto sui contenuti della campagna elettorale. Se il linguaggio impiegato dovesse essere il grammelot finora prevalente, il rumore di fondo prodotto risulterebbe assai cacofonico. Non è troppo tardi, tuttavia, per sperare in un sussulto di consapevolezza, che ampli l’arco delle forze responsabili, capaci di guardare alle esigenze concrete del Paese in questo determinato momento storico, caratterizzato da una guerra, una crisi economica e un arduo compito di attuazione del Piano di ripresa. Negli Stati Uniti, dove è iniziata l’impennata dei prezzi oltre un anno fa, l’inflazione, che a luglio è stata pari all’8,5% (contro il 9,1% del mese precedente), e, soprattutto, le sue aspettative mostrano una tendenza alla diminuzione. In ogni caso, un’inflazione dall’andamento meno impetuoso non significa il ritorno ai ritmi moderati auspicati dalla Federal Reserve. In Europa, secondo i dati Eurostat, il tasso di inflazione annuale è, invece, salito ancora a luglio, raggiungendo quasi la doppia cifra, con il 9,8% nell’Unione Europea, mentre nell’eurozona ha toccato l’8,9%, rispetto al 2,2% dello stesso periodo del 2021. L’Italia si conferma al di sotto della media europea, con un leggero calo dell’indice armonizzato dell’inflazione (IPCA), che comunque si attesta all’8,4%. In aggiunta a tale sintomo di instabilità a livello globale, vanno considerati il rischio di credito, visti i tassi di interesse ancora in aumento, e il persistente rallentamento della crescita, che rende del tutto incerte le prospettive economiche. A proposito di inflazione elevata, l’economista dell’Università di Cambridge Diane Coyle ha osservato che – oltre alle valutazioni razionali dei suoi costi per sistema fiscale, risparmi delle famiglie, investimenti e sviluppo – bisogna tener conto delle sue conseguenze emotive, in grado di lasciare cicatrici durature, come nel caso dell’iperinflazione degli anni Venti in Germania o della stagflazione degli anni Settanta. Questo costo non monetario non è stato contemplato nell’esperienza recente, poiché si pensava che i prezzi dei beni di uso quotidiano fossero più propensi a riduzioni che a rialzi. Perciò, di fronte a un evento inatteso, si sono acuiti il timore e l’angoscia per la perdita di condizioni di vita consolidate. Questo effetto dell’inflazione, sempre secondo Coyle, necessita di una risposta impegnativa sul piano politico, anche perché comporterà impatti sociali molto rilevanti. Un altro economista, Jim O’Neill, ha cercato di infondere maggiore ottimismo, parlando di “buchi” nella storia della recessione. Innanzitutto, nonostante la diffusa narrazione sulla inevitabilità di una fase di contrazione dell’attività economica aggregata, le recessioni non sono mai state annunciate, sono avvenute. Inoltre, alcuni indici delle aspettative di inflazione a medio-lungo termine rivelano una transitorietà del fenomeno. Poi, i prezzi delle materie prime, pur permanendo notevolmente alti, hanno fatto registrare un’attenuazione nelle ultime settimane. O’Neill, lungi dal voler escludere un peggioramento della situazione, prova a individuare un terreno fertile per le strategie politiche e indica come le economie avanzate si trovino al crocevia di grandi sfide, quale “una crescita ostinatamente debole della produttività, che ha implicazioni negative per molti altri ambiti della vita sociale ed economica”. Da un’impostazione molto diversa muove il rapporto dell’Economist Intelligence Unit, intitolato “Il cupo inverno d’Europa: verso una crisi energetica e di crescita”, che pronostica uno shock di vasta portata, a causa dei tagli alle forniture del gas russo. Alcuni Paesi, infatti, non riusciranno a coprire il loro fabbisogno e saranno costretti a ricorrere al razionamento industriale. Il consumo invernale di gas nella UE oscilla tra i 130 e i 150 miliardi circa di metri cubi, con uno stoccaggio attuale pari a 79 miliardi di metri cubi: un inverno rigido avrebbe gravi ripercussioni in molti territori europei. Le economie più a rischio (Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) potrebbero subire una revisione delle previsioni di crescita per il 2023 di 4 punti percentuali. La Germania è particolarmente esposta con le industrie a elevata intensità energetica (chimica, acciaio, vetro e fertilizzanti, cui si aggiungono macchinari e automotive) e, quindi, indiziata di una estesa restrizione produttiva. Come l’Austria, che ha in carta e acciaio i settori più in pericolo. L’Italia, anche se possiede un’ampia base industriale e dipende ancora sensibilmente dalle importazioni di energia dalla Russia, è meno vulnerabile della Germania per la sua posizione geografica, che permette l’accesso ad altri gasdotti e infrastrutture di gas naturale liquefatto. Questi Paesi, secondo l’EIU, potrebbero risentire di un abbassamento del ritmo di crescita per il 2023 di 2-3 punti percentuali. Alla luce di questo quadro così intricato e in continua evoluzione, torna in tutta evidenza il ruolo della politica e delle scelte da compiere per non arrendersi fatalisticamente al destino. Augurandosi che in Italia, dopo la dissennata interruzione di un cammino propositivo, la scadenza elettorale serva a non dilapidare gli sforzi realizzati nell’ultimo periodo di governo.
(questo articolo, già pubblicato dal quotidiano Il Mattino, è ripreso con il consenso dell’autore)
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