L’attentato a Salman Rushdie è una sconfitta generale dell’Occidente. È una vergogna, una responsabilità collettiva che sia stato colpito dopo decenni di agguati lo scrittore più platealmente minacciato, da più tempo, con più pubblicità, con più violenza, con più ripetuta insolenza, con dichiarato spregio verso il diritto democratico fondamentale della libertà di espressione da parte della leadership di un Paese dell’Onu, l’Iran, e che è sempre stato complice nella condanna a morte di Rushdie.
Ci sono molte lezioni che non impareremo neppure questa volta e tuttavia è il caso di esprimerle chiaramente: la fatwa dell’ayatollah Khomeini il 14 febbraio 1989 che imponeva ai credenti musulmani di uccidere l’autore de I versi satanici, come sostennero molti clerici e politici iraniani, non è in realtà una fatwa, ordine religioso-politico che si conclude con la morte di chi l’ha promanata, ma un hukm, una scelta permanente, inequivocabile, un decreto che non può cambiare finché non viene eseguito.
Ci furono nel corso degli anni vari melensi strumentali distacchi del governo iraniano dalla fatwa. Anche Rushdie stesso volle crederci per un momento, ma la cifra della ricompensa (per carità, erogata da una fondazione «privata») crebbe a 3 milioni di dollari, e addirittura un’organizzazione di studenti piamente ne raccolse altri 330mila perché fosse più attraente, il Parlamento votò a maggioranza la sua permanenza.
La verità è che davvero l’Islam è una religione dalla lunga memoria, specie quando si tratta di attaccare il nemico. Quando parla e minaccia fa sul serio, quando dichiara intenzioni omicide segue la sua strada senza deviare per decenni. Non ha fretta. Gli esempi sono tanti, personali e politici: tutti ricordano l’omicidio del regista Theo Van Gogh che aveva osato fare un film sulla condizione della donna islamica. Tutti sanno che quando l’Iran minaccia Israele di distruzione finanzia davvero la Jihad islamica e gli Hezbollah e prepara l’atomica. L’Iran è un nemico molto serio e di lunga lena. Nel caso di Rushdie l’accanimento a uccidere ha avuto esplosioni drammatiche e cali di attenzione, ma chi doveva occuparsene ha seguitato a farlo.
Hanno scritto i due maggiori storici del Medio Oriente Bernard Lewis e Fouad Adjami che l’islam dopo la sua ascesa non ha mai potuto accettare il susseguirsi di una serie di sconfitte che considera ingiuste offese. L’Iran più di tutti i Paesi islamici si è assunto il ruolo di vendicatore, minaccia l’Occidente in maniera diretta e costante, si arma alla luce del sole minacciando di attaccarlo, dimostra con evidenti simboli come la persecuzione e l’attacco a Rushdie la sua corsa verso lo scontro. Quanto più piegheremo la testa, tanto più questo atteggiamento sarà esaltato alla ricerca di nuove soddisfazioni.
(questo articolo, già pubblicato da Il Giornale, è ripreso con il consenso dell’autrice)
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