Il Censis fa sempre discutere. E’ un Istituto serio, che fa ricerca seria e che propone punti di vista approfonditi sulla situazione del paese. Magari, non sempre, ma qualche volta ama accarezzare il “mood” del sentire popolare. Insomma cerca di dare una qualche sponda scientifica agli umori emergenti, non sempre positivi, del paese profondo. E questa volta sembra accadere proprio questo “fenomeno”. Fra i tanti problemi che attanagliano il paese, spesso per colpe lontane e vicine del sistema politico, economico e sociale, il Censis dipinge un’Italia “stritolata dal dumping europeo”. Insomma il nemico con cui combattere è l’Europa che risulta come un mercato unico e integrato ma con sistemi politici, regolativi e fiscali diversificati e quindi forieri di criticità per i paesi che si trovano nel mezzo al guado fra gli innovatori, che competono sulla produttività, e gli arretrati, che competono sul prezzo dei fattori. E per l’appunto l’Italia sta proprio nel mezzo. Per cui riesce con difficoltà a far crescere la produttività del proprio sistema produttivo. Specie se si considera il paese nel suo insieme e non nelle sue aree più avanzate del centro-nord. E d’altra parte trova difficoltà a competere con i paesi dell’est sul costo del lavoro o con altri paesi dell’unione per il livello della tassazione sia del lavoro che dell’impresa.
Il Censis chiede quindi un’Europa più unita non solo sugli interscambi di mercato ma anche sul sistema di regolazione e del fisco che non deve funzionare da elemento di competizione “sleale” fra i paesi dell’Unione. E su questo non può che avere il consenso di tutti noi. Cioè di noi che chiediamo all’Europa di fare un “salto quantico” non su un livello più alto ma su un livello diverso. E su questa tematica il Censis ha ragione e dispiace che il dibattito politico, non solo in Italia purtroppo, in occasione delle elezioni Europee sia per lo più giocato su Europa si od Europa no. Tralasciando la via più significativa che è Europa come.
Ma veniamo all’Italia in mezzo al guado. L’Italia sottoposta al dumping europeo. Ha un senso questa analisi? Si attaglia bene alla situazione del nostro paese? Per rispondere in maniera chiara a questa domanda si può dire che questa analisi può avere un significato se e solo se si ritiene che L’Italia sia un paese che sta attualmente in mezzo al guado ma che nel lungo periodo è destinato ad essere attratto dal gruppo dei paesi arretrati. E allora, a fronte di una produttività a bassa crescita, causata da fattori demografici (l’invecchiamento), economico territoriali (la dicotomia che vede il Sud in forte crisi di sviluppo), finanziari (un sistema bancario debole) e imprenditoriali (la mancanza di medie imprese e di imprese tecnologicamente innovative), l’unica via competitiva rimane quella del basso costo dei fattori produttivi. E allora fanno paura i bassi salari della Bulgaria, della Polonia e della Romania, fanno gola gli aiuti europei per i paesi a basso sviluppo e si vedono con il fumo agli occhi i sistemi fiscali di favore di alcuni, pochi e marginali, paesi europei. E su questa impostazione si sviluppa tutta la retorica antieuropea, da paese sfavorito, e tutta l’avversione verso le regole europee, che in qualche caso possono anche essere eccessivamente rigide e limitative dello sviluppo, ma che nella gran parte richiamano l’Italia ad una conduzione della politica economica e fiscale meno distorsiva della sana competizione e più attenta alla tenuta in ordine dei conti pubblici.
Il problema Italia andrebbe infatti visto in un’altra ottica. Dall’altra “parte” del guado. Si tratterebbe di capire come mai non si possano fare politiche, non si possano avere condotte e non si possano sviluppare strumenti in grado di farci stare fra i paesi innovatori. Magari con una spinta all’uso di tecnologie e di sapere scientifico e tecnico più diffuso, non solo nelle università e nei centri di ricerca, ma anche nel sistema produttivo e della Pubblica amministrazione. E quindi con una capacità di sviluppare imprese competitive in un contesto di forte riduzione di pratiche illegali e di corruzione, di evasione fiscale e contributiva e di rispetto delle norme sui contratti di lavoro e della contrattazione salariale.
Non penso che il nostro “destino” sia quello di competere con i salari degli operai bulgari ma piuttosto quello di assomigliare sempre di più, pur con le caratteristiche tipiche del paese, alle aree più avanzate dell’Europa.
Ecco perché la retorica antieuropeista diventa negativa. Perché perdona i nostri peccati, li fa apparire poca cosa, ed esalta i limiti della comune appartenenza al contesto europeo che viene considerato il vero nemico del nostro, altrimenti, “tranquillo vivere quotidiano”. Eh se ci fosse ancora la Lira! Eh se ci fosse ancora la svalutazione! Eh se si potesse stampare moneta “ad libitum”… e tutta la sequela di “amarcord” da paese piccolo piccolo. L’Italia può e deve stare fra i grandi. Ma non è con un Governo che solletica i “bassi istinti” che riusciremo ad incamminarci nella giusta, anche se più difficile e impegnativa, strada dell’innovazione.
Per questo non mi è piaciuto il “messaggio alla Nazione” del Censis. E per questo penso che non è il dumping europeo il principale problema del paese.
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