Le temperie internazionali e il loro impatto sui prezzi delle materie prime, dell’energia e dei prodotti alimentari mostrano la necessità di accelerare le due principali transizioni di quest’epoca, in una simbiosi tra l’innovazione digitale e quella ecologica. Il processo di trasformazione dell’economia globale passa per una strategia coraggiosa, che stabilisca consapevolmente la gradualità delle tappe di costruzione di un nuovo modello di sviluppo, senza fughe in avanti, e sia capace, al tempo stesso, di cogliere tutta la portata di una prospettiva inedita di progresso. In particolare, si tratta di comporre una frattura tra tre aspetti fondamentali del mondo contemporaneo, finora irrisolta e causa di un aggravamento delle condizioni dell’umanità: la dicotomia tra economia, ambiente e tecnologie. Le notizie che vengono dal G7 confortano per l’adozione di una nuova iniziativa, denominata Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), che si pone l’obiettivo di sostenere i Paesi emergenti nella loro transizione verde, attraverso l’investimento di 600 miliardi di dollari nelle infrastrutture green. Con questa scelta, il cui maggiore contributore è l’Unione Europea con la metà dei fondi previsti, i Paesi avanzati affrontano per la prima volta e mediante un impegno concreto la sfida aperta in territori come quelli dell’Africa, finora oggetto di intervento da parte di Cina, soprattutto, ma anche di Russia e Turchia. Il Rapporto sulla Bioeconomia in Europa, giunto alla ottava edizione e curato da Intesa Sanpaolo, Federchimica Assobiotec e Cluster italiano della Bioeconomia circolare Spring, è un contributo importante alla comprensione di questa nuova frontiera. Infatti, della rivoluzione verde – iniziata negli anni Settanta del secolo scorso, quando le crisi petrolifere e la stagflazione spingevano alla ricerca di un diverso paradigma di crescita – la punta più evoluta e attuale è rappresentata dall’economia rigenerativa e dal suo intento primario di fondere le ragioni dell’industria con quelle dell’ecologia e dell’innovazione, per coniugare forme moderne di competitività a una nuova qualità della vita. Del resto, la bioeconomia circolare, ovvero un sistema complesso (composto da agricoltura e filiere agroalimentari, chimica e plastica, farmaceutica, legno e carta, tessile e arredo, acque e rifiuti organici, bioenergia, fino a nuovi ambiti come automotive e aerospazio) imperniato sull’impiego di risorse biologiche (inclusi gli scarti), è uno dei cardini del Green Deal europeo, fornendo un apporto decisivo ai processi di decarbonizzazione, alla riduzione dell’utilizzo delle fonti fossili e all’efficienza di quelle rinnovabili. Dal documento emerge come questo metasettore in soli quattro Paesi (Francia, Germania, Spagna e Italia) nel 2021 abbia raggiunto i 1500 miliardi di euro di produzione e più di 7 milioni di occupati. L’Italia si colloca al terzo posto in Europa per output, con 364,3 miliardi di euro, al secondo per occupazione, con oltre 2 milioni di addetti, e al secondo per rilevanza sul totale delle attività economiche, pari all’11,4% in termini produttivi. La bioeconomia, inoltre, denota una elevata capacità di resilienza nel nostro Paese, avendo registrato, nell’ultimo anno, un rimbalzo del valore della produzione del 10,6% esteso a tutti i comparti, riuscendo a superare i livelli precedenti la pandemia. Un dato molto significativo è quello dell’incidenza del valore aggiunto della bioeconomia sul totale regionale, dove nel 2019 il Mezzogiorno (7%) predomina insieme al Nord-Est (8%), ponendosi al di sopra della media nazionale. Così come le regioni meridionali hanno il maggior numero di occupati nel metasettore, con 714.000 persone, pari al 10,4% degli addetti rispetto al totale dell’area. All’interno della bioeconomia del Sud prevale il comparto agroalimentare, che assorbe il 78% di tutte le attività, con un peso preponderante della filiera agricola rispetto a quello dell’industria di trasformazione. La parte finale dell’analisi è dedicata agli effetti della guerra in Ucraina, mettendo in rilievo i costi dell’energia e quelli agricoli, la mancanza di approvvigionamenti e le conseguenze sulla domanda, soprattutto delle famiglie a minor reddito. In questo quadro, il rapporto comprova l’esigenza indifferibile di dare impulso a “processi produttivi più efficienti sul piano energetico”, basati su fonti rinnovabili, e al reimpiego di “materie prime seconde”. Questa innovazione va nella direzione di un salto tecnologico in grado di valorizzare nuovi materiali e prodotti, agendo sia sul lato dell’input che dell’output, e di far progredire un disegno di crescita avanzata, contenendo sempre più l’impatto dell’industria sulle risorse naturali, nondimeno, aumentandone la produttività. In un intervento recente di Luigi Federico Signorini sono descritti alcuni scenari per uno sviluppo sostenibile, partendo dall’osservazione di una minore vulnerabilità dell’Italia rispetto al periodo delle crisi petrolifere. Il Direttore generale della Banca d’Italia segnala, al pari del rapporto, l’importanza della finanza verde per fornire supporto agli investimenti privati volti a favorire la transizione climatica e la sicurezza energetica ed evidenzia la necessità di “un prezzo relativo che renda le fonti fossili meno convenienti di quelle alternative, avvantaggiando così lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni”. In questo modo, torna la centralità di un insieme di scelte di politica economica, in un contesto di cambiamento globale. Il Mezzogiorno, alla luce degli strumenti varati per la ripresa del Paese, si presenta come il territorio maggiormente vocato ad accogliere un modello fondato sulla bioeconomia circolare, sia per le sue caratteristiche geografiche e ambientali, sia per il suo “vuoto produttivo”, ampiamente disponibile per insediamenti innovativi, portatori di una forma originale di futuro industriale.
(questo articolo, ripreso con il consenso dell’autore, è stato già pubblicato dal quotidiano Il Mattino)
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