Mentre le correnti dell’antiamericanismo si nutrono, ben oltre gli errori compiuti dagli Stati Uniti negli ultimi anni, di un minaccioso tentativo di ritorno a un nazionalismo aggressivo e a un populismo irresponsabile, emergono le questioni geoeconomiche di fondo, con le quali anche l’Europa dovrà fare i conti. Dani Rodrik, economista di Harvard, fa risalire la diffusione di un “nazionalismo a somma zero” domestico alla messa in discussione su larga scala della collocazione dell’America “in cima al totem economico globale”. Daron Acemoglu, economista del Massachusetts Institute of Technology, rileva come il nazionalismo stia giocando un ruolo centrale nella politica internazionale, in relazione a tre ordini di fattori: rimostranze storiche nei confronti di un passato di subalternità, nuove forme di autoritarismo e disuguaglianza scaturite paradossalmente dall’integrazione neoliberista, esasperazione strumentale di un sentimento nazionalista a copertura di gravi colpe e carenze interne. Nell’invasione russa dell’Ucraina compaiono tutte e tre queste motivazioni, quale concentrato di un’instabilità generale, provocata dalla scelta unilaterale del conflitto militare. Allo stesso tempo, un interrogativo frequente è rivolto allo stato di salute dell’economia americana, come chiave per interpretare l’evoluzione del contesto mondiale in questo periodo di crisi. Un rapporto dell’Economist Intelligence Unit aiuta a comprendere se gli Stati Uniti si stiano dirigendo verso una recessione. I primi allarmi per una situazione sempre più problematica si sono cominciati a propagare all’inizio di quest’anno, nonostante l’America sia stata una delle principali aree a riprendersi dalle pesanti conseguenze della pandemia. Dopo un incremento del Pil reale del 5,7% nel 2021, negli ultimi mesi la ripresa economica ha cominciato a rallentare vistosamente, con la contrazione dello stesso Pil a un tasso dell’1,5% su base annuale. Il documento dell’EIU prevede una brusca frenata della crescita nel corso del 2022 e del 2023, a causa di un’alta inflazione, di un aumento dei tassi di interesse e di uno stallo dell’economia globale. Tuttavia, la domanda dei consumatori dovrebbe essere così resiliente, in virtù di una rigidità del mercato del lavoro e di solidi bilanci familiari, da scongiurare una recessione vera e propria. Questa valutazione non esclude dall’orizzonte statunitense una possibile complicazione delle condizioni economiche, con forti pericoli di ribasso, nel caso si scatenassero alcuni elementi avversi. Il primo scenario di rischio considera plausibile una seconda ondata di inflazione tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, se la guerra dovesse prolungarsi e intensificarsi o le forniture energetiche russe calare ancora o la pandemia subire una recrudescenza. Questo quadro potrebbe determinare un rialzo ulteriore dei prezzi delle materie prime e dell’energia o influenzare negativamente la produzione industriale e i flussi commerciali mondiali, con il medesimo risultato di un’impennata dell’inflazione e di una caduta dei consumi, con effetti recessivi. Il secondo scenario contempla la possibilità di una Federal Reserve eccessivamente irruenta, che, in base a una sopravvalutazione della capacità di spesa dei consumatori in estate, inasprisca la politica monetaria in maniera imprevedibile con la scelta di una strategia “restrittiva” a tassi molto elevati, procurando un crollo dei consumi in autunno e una spirale recessiva. Il terzo scenario implica un tracollo del prezzo degli assets, dovuto a una combinazione di tassi di interesse crescenti, notevole inflazione, impatti economici del conflitto e peggioramento della fiducia di imprese e consumatori. Un raffreddamento consistente del mercato azionario con una discesa degli indici del 40% e oltre, indotto dall’anticipazione da parte degli investitori dell’inizio della stretta della Fed, colpirebbe soprattutto i titoli tecnologici e la ricchezza delle famiglie, riducendo i consumi e favorendo l’apertura di una fase depressiva. Si tratta solo di ipotesi, ma è significativo che vengano formulate dalla sezione di ricerca e analisi di mercato dell’Economist. Del resto, l’EIU riporta una percezione diffusa tra grandi banche, economisti ed esperti, sostenitori della quasi certezza di una flessione dell’economia americana, ricordando pure – come ha fatto Larry Summers, il teorico della stagnazione secolare – la ricorrenza di una crisi entro due anni, in presenza di un’inflazione al di sopra del 4% e di una disoccupazione al di sotto del 4%. La differenza tra congiuntura americana ed europea è palese: l’inflazione d’oltreoceano è prevalentemente da domanda, quella continentale da offerta. Tuttavia, chi rischia di più è l’Europa, perché si trova al centro del mutamento vorticoso degli assetti di potere ed è più debole sia dal punto di vista della struttura che della dinamica economica. Questo è anche il motivo di una maggiore flessibilità nella variazione di strategia da parte della BCE, comprendendo il grave pericolo dell’adozione di misure monetarie restrittive cui non corrisponda un’azione espansiva degli investimenti, dell’occupazione e della crescita economica. L’Italia non è più l’ultima ruota del carro europeo, avendo dimostrato di possedere energie pubbliche e private per risalire la china, come nella fase di rimbalzo del 2021. Sul Paese, però, incombe una preoccupante ipoteca, rappresentata dal rischio di frammentazione del quadro politico, economico e territoriale, che può bloccare la ripresa. Non a caso, l’ultimo convegno della Banca d’Italia ha inserito il Mezzogiorno in una prospettiva mondiale, riproponendolo quale essenziale snodo di una questione nazionale. E nei prossimi giorni a Maratea molti esponenti delle istituzioni, delle università e della ricerca, delle imprese e dell’informazione concentreranno l’attenzione su questo difficile “passaggio di fase”, che colloca il destino del Sud nel contesto nazionale ed europeo. Comunque, una comparazione con le crisi dei decenni passati, oltre a mitigare le previsioni più fosche a livello globale, potrebbe condurre alla consapevolezza di una disponibilità di politiche economiche articolate, in grado di fronteggiare le più dure avversità, solo se sono perseguite con coerenza e tenacia.
(questo articolo, già pubblicato dal quotidiano Il Mattino, è ripreso con il consenso dell’autore)
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