A smentire le fake news di Putin sull’impatto che le sanzioni stanno avendo e soprattutto avranno sull’economia russa non sono solamente la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale ma anche autorevolissimi esponenti economici russi che proprio per la loro autorevolezza possono permettersi alcune libertà. L’ultimo in ordine di tempo German Gref, il Ceo di Sberbank la principale banca russa con un fatturato, nel 2020, di oltre 47 miliardi di dollari.
Nello stesso convegno di San Pietroburgo nel quale Putin ha pronunciato il discorso che pubblichiamo in altro articolo, Gref ha detto che all’economia della Russia occorreranno almeno 10 anni per tornare ad un livello paragonabile a quello precedente all’introduzione delle sanzioni. Infatti i Paesi che hanno applicato sanzioni alla Russia rappresentano “il 56% delle sue esportazioni e il 51% delle sue importazioni…la maggior parte dell’economia russa è sotto tiro”. La stessa cosa aveva detto, salvo poi fare una veloce rettifica, Elvira Nabiullina che guida la Banca Centrale russa.
Per la Banca Mondiale le previsioni di sviluppo economico dei principali Paesi a fine 2022, vedono per la Russia un calo del PIL dell’8,6%, il dato peggiore a livello mondiale, mentre gli USA cresceranno del 2,6% ed Europa e Giappone del 2,5%. L’economia russa, undicesima a livello mondiale, dipende esclusivamente dalle risorse naturali e sta per essere superata da quella australiana, un paese che ha 25 milioni di abitanti a fronte degli oltre 140 milioni di russi.
L’inflazione è al 17 per cento ed anche per effetto della recessione il reddito reale dei cittadini diminuirà quest’anno del 6,8 per cento. Il tasso di povertà che nel 2018 era del 12,6% è salito, nel primo trimestre di quest’anno, quindi prima della guerra, al 14,3. Anche la demografia comunque registra performance negative. La popolazione è in calo, i decessi superano ampiamente le nascite e il tasso di fertilità che nel 2018 era pari a 1,6 è ora sceso a 1,5.
La Russia insomma è un gigante con i piedi d’argilla. Anche i segnali che sembrerebbero dimostrare un buono stato di salute, come il rafforzamento del rublo di questi ultimi mesi, sono, nella situazione generale del Paese, un segnale di debolezza.
Come scrive il Foglio, il rafforzamento del rublo “non è altro che un prodotto dell’efficacia delle sanzioni, che colpiscono l’import russo molto più dell’export. Vuol dire che la Russia accumula rubli dall’export di idrocarburi, che però non riesce a spendere per importare prodotti fondamentali (chimica, meccanica, tecnologia, etc.). Questo blocco fa apprezzare oltremisura il rublo, cosa che però non è un bene per l’economia russa: in primo luogo perché riduce il bilancio federale (incassa meno rubli per ogni dollaro esportato di gas e petrolio), inoltre perché rende meno competitive le industrie russe con l’estero quando si apriranno canali di importazione. Ciò che Putin ritiene un segno di forza è ora uno dei principali problemi dell’economia russa.”
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