La Commissione Europea, nelle previsioni economiche di primavera, ha rivisto al ribasso le stime relative alla ripresa che si era appena avviata nella seconda parte del 2021. Le prospettive attuali sono di una crescita del Pil europeo al 2,7% nel 2022 e al 2,3% nel 2023, in netto calo rispetto al 4% e al 2,8% indicati nelle ultime valutazioni prima della guerra in Ucraina. Si tratta solo dell’inizio di una fase ardua, che, secondo studiosi ed esperti, come Jim O’Neill di Goldman Sachs e Robin Brooks dell’Istituto di Finanza Internazionale, potrebbe sfociare in una nuova e assolutamente non auspicabile recessione globale. Certamente è il sintomo di un notevole grado di incertezza sull’evoluzione del conflitto, degli equilibri geopolitici e dell’economia mondiale. Le previsioni di inflazione sono segnalate al rialzo nell’eurozona, con un incremento al 6,1% nel 2022 e al 2,7% nel 2023, rispetto al 3,5% e all’1,7% dei dati precedenti. A marzo-aprile, nella stessa area, l’inflazione complessiva è salita attorno al 7,5%, stabilendo il massimo storico dell’unione monetaria. Mentre, nell’Unione Europea, dovrebbe aumentare dal 2,9% nel 2021 al 6,8% nel 2022 e al 3,2% nel 2023. Questo fenomeno è cominciato nella primavera dello scorso anno, assumendo le caratteristiche di una progressione di non breve durata e di un aspetto di fondo della dinamica economica. In Italia, secondo le stime definitive dell’Istat, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nel mese di aprile ha mostrato una diminuzione dello 0,1% su base mensile e un incremento del 6% su base annua. Nonostante questo tasso comunque elevato, sembrerebbe di assistere a un iniziale miglioramento. Eppure, guardando alla distribuzione per settori, si nota che il rallentamento tendenziale dell’inflazione deriva essenzialmente dai prezzi dell’energia, la cui crescita è passata dal +50,9% di marzo al +39,5% di aprile, probabilmente anche grazie agli interventi del governo e all’attenuazione della speculazione. Al contrario, l’aumento dei prezzi di trasporti, beni alimentari lavorati e beni durevoli ha subito un’accelerazione evidente. L’Italia è quarta, dopo Francia, Malta e Finlandia, nella graduatoria degli andamenti più bassi d’inflazione, secondo Eurostat. Da cosa scaturisce, allora – oltre che dalla composizione del paniere dei prezzi e dalle medie delle quotazioni di un insieme eterogeneo di beni e servizi – lo scostamento tra i dati delle previsioni ufficiali e quelli dell’esperienza concreta relativa a spesa e bollette? Per quanto possibile, va valutato il ritmo dell’inflazione a una distanza di tempo più ampia dalle scosse che hanno determinato l’insorgere e il propagarsi dell’innalzamento dei prezzi. Ma va considerato specialmente un elemento del ciclo economico, in grado di far capire l’importanza di alcuni preavvisi che andrebbero prontamente raccolti. Infatti, in Europa e non soltanto in Italia, esiste una discrepanza tra la variazione dei prezzi calcolata dagli istituti di statistica e quella percepita dai consumatori, che tende a montare più rapidamente della prima. Questo squilibrio può determinare fluttuazioni nell’offerta di lavoro e nel volume della produzione. La differenza nasce soprattutto in occasione di eventi eccezionali, dipendendo dal valore qualitativo della percezione umana e da quello quantitativo della misurazione statistica, ma non solo da questo. Invero, l’altro profilo rilevante di questa complessa materia è rappresentato dal fatto che vi sono condizioni di reddito, potere d’acquisto e comportamenti distinti tra gli individui e i diversi gruppi sociali, non un’unica fisionomia e condotta. Hippolyte Fofack, capo economista dell’African Export-Import Bank, sostiene che, siccome i prezzi crescono maggiormente per i beni di base, predominanti nei consumi delle famiglie a basso reddito, quel divario tra i ricchi e i poveri, che gli economisti chiamano “disuguaglianza da inflazione”, conta e potrebbe ampliarsi ulteriormente. A sua volta, Daron Acemoglu paventa un’inflazione “incondizionata” (self-sustaining), affermando che: “Il problema è la sensazione che ci troviamo di fronte a un’inflazione galoppante, che alimenta il malcontento e crea instabilità”. Quindi, è la percezione medesima a condizionare le variabili economiche e, in particolare, l’inflazione. Ciò non toglie che, per affrontare i rischi incombenti di una grave stagflazione, occorrono misure efficaci di governo, come quelle contenute nei principali obiettivi del piano di ripresa, che vanno rapidamente attuate, comprendendo la necessità di puntare, con sempre maggiore intensità e senza irresponsabili suggestioni di una politica miope, alla realizzazione delle riforme, degli investimenti e di un deciso incremento di produttività in tutto il Paese.
(articolo ripreso con il consenso dell’autore e già pubblicato da Il Mattino)
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