La guerra in Ucraina e la giustificazione di Putin come «operazione speciale» contro la minaccia nazista hanno riportato alla memoria la guerra fredda e il crollo dell’impero sovietico, dal Presidente della Federazione Russa considerato la più grande tragedia della storia.
Un recente volume, pubblicato dall’UTET, ci racconta in forma di saggio una «strana storia di spie e sonetti», spie e poeti nella città simbolo della guerra fredda: Berlino. Poeti nel senso che nel clima della guerra fredda, che fu uno scontro ideologico ma anche di strategie di propaganda sempre più studiate e di manipolazione non solo della realtà dei fatti ma persino dei sentimenti e della cultura, la Stasi diede vita ad un circolo della poesia. Lo scopo non era solo quello di coltivare una delle espressioni più delicate dell’animo umano e della cultura, appunto la poesia, ma combattere il nemico, specialmente interno, attraverso le rime e i versi. Attraverso quel circolo, che coltivava versi e forme poetiche, si intendeva scovare i dissidenti, le zone grigie di chi non mostrava entusiasmo per le «magnifiche sorti e progressive» del comunismo. Indagare nelle vite degli altri attraverso le delicate sonde del linguaggio poetico e le espressioni più segrete dell’animo umano.
Il Circolo di poesia della Stasi è stato scritto da Philip Oltermann, un saggista che ha trascorso anni ad indagare nell’immensa miniera degli archivi della Ddr.
Oltermann, nato in Germania nel 1981, ha studiato in Inghilterra e scrive per la “Sueddeutsche Zeitung”, per la prestigiosa “London Review of Books” ed è caporedattore della divisione berlinese del “The Guardian”.
Mentre le fughe dei tedeschi verso la Berlino occidentale segnavano le sorti della Ddr e della parte “comunista” della città divisa dal Muro, la Stasi, la polizia segreta che come in tutti i paesi dell’Est costituiva il laboratorio della politica e della propaganda, ebbe l’idea di creare un “circolo di poesia”. Un circolo di “anime belle”, mescolato a spie-poeti scelti dalla Stasi. Il circolo fu collocato in un’ala del Ministero per la sicurezza dello Stato ad Adlershof. Sotto la guida del poeta Uwe Berger poeti veri e poeti finti si incontravano per studiare la poesia, i versi, le rime, i poeti di altri paesi, ma più che altro per monitorare consapevolmente i sentimenti più segreti dell’animo umano, toccando il fondo della paranoia ideologica. La sostanza ideologica del resto era molto chiara e lo spiega bene Jürgen Polinske, che fu nella Stasi, dove era entrato nell’unità di controllo dei passaporti nel cuore della capitale alla stazione di Friedrichstraße e che poi entrò nel circolo di poesia. La poesia doveva suscitare emozioni e fomentare la lotta di classe. L’esempio era quello fornito dal gruppo di resistenza antinazista “Orchestra rossa” guidato da Harro Schulze-Boysen e Arvid Harnack[1], che apriva gli incontri con la lettura di poesie e con discussioni di filosofia marxista. In sostanza gli intellettuali e gli artisti in particolare dovevano orientare le menti e i sentimenti del popolo sull’obiettivo ideologico all’orizzonte.
Per capire meglio questo originale lavoro di storia della guerra fredda ed in particolare della Stasi, che fu un modello per altri paesi del blocco comunista, bisogna inquadrarne le origini e le caratteristiche.
Le reclute della Stasi provenivano tutte dai vecchi membri del partito comunista tedesco. Anzi da coloro che avevano avuto esperienza di lotta clandestina o da un organismo paramilitare come la “milizia popolare” armata. Una tardiva imitazione del partito armato bolscevico, che trovò applicazione anche in Italia, quando Mussolini, giunto al potere, trasformò le bande fasciste in “milizia nazionale”. I primi dirigenti della Stasi scelsero gente che proveniva dall’organizzazione paramilitare del partito comunista. Lo stesso capo del Ministero per la sicurezza dello Stato della Ddr, Erich Mielke, era figlio di un falegname unitosi proprio all’ala paramilitare del partito. Fu lui, nel 1953, a scegliere i primi giovani, proletari o anche analfabeti, per costruire il gruppo della Stasi, all’interno del crescente apparato della polizia segreta. I membri dell’organismo dovevano provenire da umili famiglie di servitori del partito della classe operaia (p.98).
Certo è che in poco tempo la Stasi, come altri organi di polizia segreta nel blocco sovietico, crebbe a dismisura. Si pensi che mentre la popolazione della Germania Est dal 1949 al 1989 diminuì costantemente, passando da 18,79 milioni di abitanti a 16,43, gli impiegati al Ministero della sicurezza crebbero in maniera mostruosa. La Stasi aveva 20 mila agenti nel 1961, al momento della costruzione del Muro a Berlino, e dieci anni dopo era più che raddoppiato, raggiungendo i 45 mila dipendenti nel 1971. Per poi crescere ancora fino a contare 85 mila dipendenti nel 1982.
Molti dei nuovi assunti negli ultimi decenni più che umili e fedeli servitori del partito della classe operaia erano figli della Stasi, come nel caso di Gerd Knauer, figlio di un ex fabbro diventato ufficiale della Stasi, che veniva inviato all’estero, nello Yemen o in Etiopia, per consigliare le arti manipolatorie e i metodi della Stasi ai dirigenti delle “repubbliche sorelle”.
Anche nella Stasi si formò una nomenclatura di duri e puri, provenienti da «famiglie progressiste fedeli al partito della classe operaia». In nome della classe operaia tutto si poteva fare e disfare.
Nei primi vent’anni di esistenza della Stasi, la Germania socialista era stata messa alla prova dalla rivolta operaia del 1953, dalla costruzione del Muro di Berlino nel 1961, quello che il Presidente americano John Kennedy indicò al mondo come esempio di un regime concentrazionario. La rivoluzione ungherese nel ’56 e la Primavera di Praga nel 1968 avevano rafforzato il ruolo della Stasi, «scudo e spada del partito», che proteggeva lo stato proletario dalle tendenze controrivoluzionarie e dal nazismo. Sì proprio il nazismo era la giustificazione del ruolo della Stasi e del sistema di controllo sociale.
In effetti quando la Ostpolitik del cancelliere Willy Brandt, per cercare di normalizzare le relazioni con i paesi del blocco orientale, che la Russia non riusciva più a rifornire di beni e capitali, per garantire un minimo di sviluppo, prese sempre più consistenza, paradossalmente, la Stasi potenziò e allargò le sue attività con il cinema e la televisione. Gli eroi della Stasi erano gli 007 “rossi” che sventavano le trame filonaziste e i tentativi golpisti della Cia volti a fomentare colpi di stato “nazional-fascisti” in Grecia, Turchia, Italia. Di fatto la Stasi, come tutti gli apparati degli Stati comunisti dell’Est, alimentava se stessa e preservava le sue funzioni contro varie tipologie dei nemici dello stato proletario. In primis coloro che mostravano un atteggiamento «ostile-negativo» verso il potere; la seconda i nemici potenziali, esposti agli influssi «ostili-negativi» dell’Occidente. Nella terza categoria tutti i «titubanti». Nella quarta figuravano persino tutti coloro di cui lo Stato poteva fidarsi, ma non la Stasi, che controllava persino i suoi agenti. I familiari dei dipendenti della Stasi erano tenuti sotto stretta sorveglianza. Avevano il privilegio di avere case, ospedali, scuole a loro disposizione, ma sia gli appartenenti alla Stasi che le loro famiglie erano posti sotto il controllo dei cosiddetti “Uma” o collaboratori ignoti. Occorreva sempre qualcuno che sorvegliasse i sorveglianti. Questa era la mentalità della Stasi, ma di tutti i servizi segreti dei paesi dell’Est.
La Germania orientale e la Stasi si consideravano i più fedeli seguaci del modello sovietico. Il Partito comunista, che si chiamava Partito di Unità socialista – da far rigirare nella tomba il povero Matteotti – si considerava il più rigoroso interprete del marxismo-leninismo. In questo senso era guardato con grande considerazione dagli storici comunisti italiani specialisti in storia della Germania[2]. Alcuni arrivarono anche a scrivere che la costruzione del Muro aveva come scopo la difesa dell’integrità della Ddr. Tanto per evitare che tornassero i nazisti.
La Ddr, insieme con la Bulgaria, aveva inserito nella propria costituzione l’alleanza permanente con la Russia. In effetti occupava un posto cruciale nella dislocazione militare dell’Urss. Tuttavia con il passare degli anni l’impero sovietico rischiava di non riuscire più a contenere non solo la sfida esterna con l’Occidente, ma le spinte delle sue stesse componenti nazionali.
Nel 1985 Michail Gorbačëv, che veniva dai servizi segreti come il predecessore Andropov, una volta diventato segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, dovette ammettere che l’Urss non era riuscita a stare al passo con i progressi scientifici e tecnologici dell’Occidente. La Russia doveva “accelerare” e rilanciare l’economia con la perestroijka e con la glasnost (ristrutturazione e trasparenza). In realtà il sistema comunista a partito unico, dominato da una farraginosa struttura burocratica, non era riformabile. La Polonia con il fenomeno del sindacato indipendente “accelerava” il processo di disgregazione. Lo stesso avveniva in Ungheria, quando nel giugno del 1989 si allentarono le restrizioni per i cittadini che volevano viaggiare verso l’Ovest. Solo la Ddr si schierava contro le riforme e addirittura il giornale statale “Neues Deutschland” prese le difese di Stalin contro i riformisti. Nel 1987 si arrivò persino a sospendere il mensile sovietico “Sputnik”, che aveva pubblicato articoli sul patto tedesco-sovietico del 1939. I cittadini erano confusi e ancor più i poeti del circolo della Stasi. Avevano esaltato Stalin ed era stato accusato di culto della personalità; avevano il mito della lotta contro il “nazismo”, ma nella Germania federale governava non il nazionalsocialismo ma la socialdemocrazia. Il problema della Ddr era che il partito-stato era fermo, vecchio: il capo della Stasi, Erich Mielke, aveva 81 anni; Erich Honecker, segretario del Partito di Unità socialista, ne aveva 75 anni e non aveva successori. Nel luglio del 1989 al vertice di Bucarest, in cui l’Unione Sovietica annullò ufficialmente la dottrina di Brežnev che legittimava l’intervento sovietico negli affari interni di qualsiasi paese del blocco orientale, Honecker fu bloccato da una colica biliare. Era affetto da un tumore al rene, ma nessuno osava dirlo.
Honecker era in ospedale, quando il 26 settembre del 1989 Lipsia era in subbuglio. Si chiedevano riforme, l’abolizione del Ministero della sicurezza di Stato e la libertà di viaggiare. Al confine fra Austria e Ungheria la cortina di ferro aveva ceduto e i tedeschi dell’Est scappavano in massa dalla “prigione”. Inutilmente la Stasi cercava di passare ai giornali notizie false sull’esodo parlando di giovani drogati.
Honecker ad ottobre annunciò che si sarebbe dimesso. Il Partito di Unità socialista, con i suoi dieci piccoli partiti satelliti al governo, era nel dilemma se chiudere le frontiere o aprirle parzialmente, liberandosi così dei principali agitatori. Alla fine il portavoce del governo, un ex redattore del giornale ufficiale “Neues Deutschland”, rispose ad un giornalista italiano, Riccardo Ehrman dell’Ansa, che le nuove regole per consentire i viaggi verso l’Ovest erano valide da subito. Poche ore dopo migliaia di berlinesi dell’Est si radunarono al varco di Bornholmer Straße e le guardie di frontiera alzarono le sbarre.
La “tragedia” del Muro si stava per compiere. Il Parlamento della Ddr si riunì, dato che il politburo aveva presentato le sue dimissioni. In quell’occasione prese la parola anche Erich Mielke. Nel tentativo di ingraziarsi i delegati usò più volte l’appellativo di «compagni». Accadde ciò che sino allora non era mai accaduto: un parlamentare ebbe il coraggio di dire che in quel parlamento «non c’erano solo compagni». Mielke rimase di stucco e mentre verso di lui si levavano fischi e risate, temendo il peggio, dichiarò che «amava tutta l’umanità». In giro a Berlino si cominciò a definire la Stasi «il Ministero dell’Amore». Per salvarsi la Stasi cambiò nome, ma, alla fine, il nuovo governo ordinò lo scioglimento. Poco prima i manifestanti avevano preso d’assalto gli uffici della Stasi a Erfurt, Suhl, Schwerin e Lipsia. Il 14 gennaio 1990 la protesta contro la Stasi si concentrò contro la sede di Berlino, dove i funzionari stavano facendo sparire migliaia di fascicoli. Tre settimane dopo l’assalto alla sede della Stasi il nuovo governo ordinò lo smantellamento della polizia segreta (31 marzo 1990).
Le prime elezioni libere nella storia della Ddr per il rinnovo della Volkskammer furono vinte dall’Alleanza per la Germania, formata dall’Unione cristiano-democratica, dall’Unione sociale tedesca e dal Risveglio democratico, che aveva come portavoce una giovane destinata ad un grande futuro: Angela Merkel. Il 22 agosto la Volkskammer votò per l’adesione della Ddr alla costituzione della Repubblica federale della Germania. L’ultima antologia del circolo della poesia era stata approvata dalla censura il 31 dicembre del 1989. Però non fu mai pubblicata.
Questo originale lavoro di Philip Oltermann andrebbe letto anche per capire meglio ciò che sta accadendo oggi. Tutto può diventare propaganda, manipolazione, esaltazione, retorica priva di fondamento, ma sotto le ceneri delle ideologie rimangono sempre i fantasmi di un passato che non per tutti passa.
[1] Cfr. G. Bourgeois, La véritable histoire de l’Orchestre rouge, Nouveau Monde Eds, Paris, 2015
[2] Cfr. L. Klinkhammer, Enzo Collotti e il problema tedesco nel XX secolo, in S. Soldani (a cura di), Enzo Collotti e l’Europa del Novecento, Firenze University Press, Firenze, 2011, p. 45.
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