Il presente del riformismo in Italia non gode di buona salute, tanto per non essere troppo pessimisti.
Basta considerare le due aree dove tradizionalmente si è potuta affermare una visione di trasformazione graduale della società (basata su principi di liberaldemocrazia e di compatibilità con un sistema di mercato anch’esso libero, ancorché regolato), cioè la sinistra e il centro degli schieramenti politici.
A sinistra, dopo alcuni anni in cui, pur fra molte contraddizioni, uno spirito riformista è sembrato poter prevalere in maniera definitiva, identificandosi con la crescita elettorale di un Pd a vocazione maggioritaria, si assiste oggi a un evidente ritorno ad una logica di conservazione di uno spazio limitato e non in grado imporsi come decisivo per un’alternativa al populismo oggi vincente.
Ancora peggio è per quanto riguarda il centro, quell’area definita da un voto moderato che, per tanto tempo, è stata determinante per ogni tipo di soluzione di governo, fosse questa di centrodestra, come di centrosinistra.
Si può dire, senza sbagliare, che la rappresentanza maggiore di tale area è l’astensione, visto che quanto di essa è confluito nella Lega o nei 5s si sposta ora da una parte, ora da un’altra, ma sempre all’interno dei due corni del populismo nostrano.
Tutto ciò per ora, ovviamente, ma occorre avere presente lo stato delle cose e il fatto che la fine dell’ubriacatura elettorale è lontana dall’esaurirsi, per il modo in cui è stata costruita sul disagio sociale derivante dal nuovo storico passaggio da una modernità ad un’altra (come, del resto è sempre avvenuto nella storia), su una sconsiderata promozione dell’antipolitica e sull’uso, altrettanto sconsiderato, dei nuovi mezzi d’informazione
Chi, in prospettiva, può tirare fuori l’Italia da questa situazione è l’Europa, con un risultato del 26 Maggio che certifichi il prevalere delle forze europeiste sui sovranisti e i populisti, dovunque essi siano.
Non è detto che questo avvenga, così come non è detto che succeda il contrario.
Un riformista italiano deve augurarsi che prevalgano i partiti europei che, tradizionalmente, hanno mantenuto fede (malgrado limiti e contraddizioni evidenti) ai principi della liberaldemocrazia e alle ispirazioni di fondo della socialdemocrazia.
Coniugare libertà e ricerca di una maggiore giustizia sociale è sempre stato difficile e oggi lo è ancora di più, a seguito della crisi economica che conosciamo: di fronte a tale problema l’inadeguatezza delle classi dirigenti europee ha aperto varchi profondi per il penetrare del populismo. Anche questo lo sappiamo.
L’orizzonte del riformismo rimane comunque l’unico che può migliorare la situazione nel nostro continente, e nel mondo occidentale, ma (come altri periodi della storia contemporanea ci insegnano) il rischio di andare in un verso contrario è permanente.
In Italia più che un rischio è ormai una realtà ed è inutile illudersi che in tempi brevi gli scontri interni all’ircocervo rappresentato dal governo gialloverde portino ad un’alternativa.
Quest’ultima va costruita con ben altra visione, capacità progettuale e leadership politica da quello che attualmente ci offre il convento dell’opposizione: per affrontare nel merito tutto ciò occorre uno spazio ulteriore rispetto alle considerazioni fatte.
Ne parleremo in un prossimo articolo, cercando di avviare un confronto dalle colonne di SoloRiformisti.
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