I fenomeni economici più dirompenti di questo difficile periodo di transizione da un assetto del mondo a un altro sono la penuria e l’aumento dei prezzi di energia e materie prime, che hanno una diretta relazione con la guerra in corso nel cuore dell’Europa, ma la cui origine risale a una fase precedente. Il conflitto ha comportato un’accelerazione e un’estensione di questi eventi, inserendoli in un quadro di instabilità e incertezza di carattere generale. Una delle circostanze finora meno considerate, ma di grande importanza ai fini economici e sociali, è costituita dalla crisi del grano, che sta divenendo un altro dei nodi fondamentali da sciogliere per le sue forti interconnessioni globali. A cominciare dal peso enorme che grava sui Paesi a minor reddito, dove i generi di prima necessità sono ancora la parte preponderante della spesa delle famiglie. Il vertice del G7 svoltosi a Stoccarda ha concentrato l’attenzione sulla crisi alimentare generata dal blocco dei porti ucraini, che ha impedito la movimentazione di 25 milioni di tonnellate di grano chiuse nei silos, mettendo alle strette una cinquantina di Paesi legati alle importazioni provenienti dall’area orientale. La carenza di questo prodotto e l’incremento dei relativi prezzi, che avranno ancora maggiori ripercussioni quando verranno meno le coltivazioni cerealicole impedite dai combattimenti, determinano un effetto a catena, con il rincaro automatico di altri alimenti essenziali e il rischio di carestia – che coinvolge già 45 milioni di persone – in diverse parti del mondo. Secondo Annalena Baerbock, Ministro degli Esteri tedesco, il modo più semplice per affrontare la “guerra del grano” scatenata da Putin sarebbe la sospensione delle ostilità e del blocco, contribuendo a “normalizzare i prezzi alimentari globali”. Ma l’autocrate non ha alcuna intenzione di farlo e le vie alternative a quella marittima permettono il trasporto solamente di una frazione del raccolto. Le recenti stime del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti per la stagione 2022-2023 prevedono una restrizione dell’offerta mondiale, che si attesterebbe sui 774,8 milioni di tonnellate, con un calo per la prima volta in quattro anni. Il frumento della Cina, primo produttore del pianeta, dovrebbe diminuire del’1,4%, con 135 milioni di tonnellate. Le scorte tampone (buffer stocks) arriverebbero a 267 milioni di tonnellate, il livello globale più basso da sei anni. Dopo queste valutazioni, i contratti dei futures sul grano con consegna a settembre sono aumentati, a Chicago, fino a oltre 12 dollari per staio, trascinando i valori di riso, mais e soia. Il World Food Programme dell’ONU afferma che il conflitto ha evidenziato la natura interdipendente e la fragilità dei sistemi agricoli, con pesanti effetti sulla sicurezza alimentare. A complicare questo scenario, si è aggiunto il clima eccezionalmente secco o caldo, che ha investito in forma diversa India, Francia, Stati Uniti e Canada. Quando la Russia interruppe le esportazioni di grano a seguito di una grave siccità nel 2010, la produzione statunitense riuscì a contenere la perdita. Questa volta, a una stretta delle forniture da Ucraina e Russia, che rappresentano un terzo delle disponibilità di mercato, si affianca una riduzione dell’offerta in vari altri Paesi, che difficilmente potrà essere compensata da un’espansione delle superfici coltivate. Inoltre, il rialzo dei prezzi di carburanti, fertilizzanti, attrezzature e terreni agricoli rende più fosca la prospettiva degli approvvigionamenti alimentari. Solo poche settimane fa, l’India, secondo produttore mondiale, prometteva di immettere una quota consistente delle proprie provviste di grano (10 milioni di tonnellate) sui mercati globali. Con una brusca inversione di marcia, come aveva già fatto per i vaccini, il governo indiano ha stabilito di nutrire solo la propria popolazione e quella di altre aree vulnerabili, disponendo il divieto di esportazione del grano dopo le repentine ondate di caldo che hanno spinto al ribasso la produzione interna e innalzato i prezzi. In realtà, non è stato solo un cattivo raccolto a indurre questa scelta, dato che le scorte sono copiose, ma la cattiva gestione degli appalti da parte della Food Corporation of India, che ha fatto emergere una modalità inadeguata di distribuzione del frumento. Una tempesta perfetta, che mostra la necessità sempre più chiara di una governancemondiale innovativa, in grado di cooperare con i territori più deboli del Medio Oriente e dell’Africa e di promuovere produttori alimentari su larga scala più efficienti, dando priorità alle esportazioni in modo sistematico e sicuro. Solo così, si potranno evitare nuove rivolte del pane o ripiegamenti in asfittiche dimensioni nazionali e protezionistiche, che non servono a mettere al riparo neppure chi adotta tali improvvide decisioni.
(Questo articolo pubblicato con il consenso dell’autore è già uscito sul quotidiano Il Mattino)
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