Signor Presidente del Senato, signor Presidente del Consiglio dei ministri, chi avesse acceso la televisione soltanto quindici minuti fa sarebbe presumibilmente colpito dall’apprendere dal Parlamento italiano che evidentemente l’invasione dell’Ucraina l’hanno fatta la NATO o gli Stati Uniti d’America (Applausi), a giudicare dai toni che vengono espressi in quest’Aula, peraltro più per finalità interne che non per dare realmente un contributo, perché ciò che sta avvenendo è un fatto epocale, che va ben oltre i confini del Donbass, supera gli assedi di Mariupol e prende il largo dai porti di Odessa.
Siamo in presenza della riorganizzazione del mondo a seguito di un fatto drammatico, cruento, tragico e sbagliato, ma che segna, a mio modesto avviso, la fine di una stagione che aveva visto in Yalta, dopo la Seconda guerra mondiale, l’inizio di una riorganizzazione e che aveva resistito, un po’ rattoppata, persino alle vicende del Muro di Berlino.
Ciò che sta accadendo in Ucraina è un cambio d’epoca.
Se vogliamo affrontarlo in modo serio, dobbiamo avere ovviamente il coraggio di premettere che, quando c’è da fare una discussione tra la NATO da una parte e la Russia (o ex Unione Sovietica) dall’altra, non è questo Parlamento che decide. È la storia del nostro Paese, che dice che noi, da decenni, abbiamo scelto e continuiamo a scegliere di stare con i nostri amici e alleati europei e americani da questa parte della storia e da questa parte del pianeta.
Lo capì Alcide De Gasperi, che pure aveva contro l’intero consesso internazionale. Riguardate la grandezza e l’umiltà di quel discorso a Parigi: «Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di noi». Lo ha capito però, in momenti diversi, anche il leader di quella che era la forza politica di opposizione, quell’Enrico Berlinguer che, in un’intervista del 1976 a Giampaolo Pansa sul «Corriere della sera», spiegava, tutt’altro che candidamente, che si sentiva più sicuro da questa parte.
Ora, se questo è lo scenario, nessun saltimbanco della politica, ma neanche, mi lasci dire, signor Presidente del Senato, nessun prezzemolino prezzolato che in televisione, ogni sera, ci spiega come va il mondo potranno cambiare questo punto di partenza. Noi stiamo dalla parte dei nostri amici e alleati e a lei, signor Presidente del Consiglio, diciamo grazie per come ha rappresentato questo tipo di posizione dal primo giorno a ieri, quando ha giustamente accolto la prima ministra della Finlandia, e poi nei giorni a venire.
Vengo però ora a fare un ragionamento in più. È vera la premessa, cioè che questo è un fatto epocale, ed è vero che noi condividiamo totalmente l’intervento del Presidente del Consiglio. È vero che, se non vi fosse stato un invio di armi, non vi sarebbe stata la possibilità di essere in questa situazione e noi siamo orgogliosi che a Palazzo Chigi ci sia un Presidente del Consiglio che si attiene ai valori di sempre, anziché ai sondaggi last minute. Il punto fondamentale, però, ora è avere il coraggio di dire che i problemi aperti sono atroci.
Io li posso soltanto elencare, ma non sono quelli che, urlando in modo sguaiato, qualcuno qui pone all’attenzione del Parlamento. È in atto una riorganizzazione del mondo geopolitico: si rischia di passare dal G20 al G2. La Cina è il convitato di pietra di molte discussioni, a cominciare dalle problematiche potenziali legate a Taiwan. Il fatto che oggi ci sia un congresso del Partito Comunista cinese, peraltro pesantemente minato dalle vicende del Covid-19, non può farci ignorare che questo è lo sfondo della nostra discussione.
C’è un tema che riguarda l’Europa. Io sono un europeista convinto. Noi siamo europeisti convinti. Larga parte di questo Parlamento è europeista convinto. Dobbiamo però avere la forza e il coraggio di dire che l’Europa ha risposto bene sul Covid-19, che ha risposto bene sull’emergenza ucraina, ma che ha bisogno di uno sguardo politico di lungo periodo. Sei mesi fa eravamo tutti contro la Polonia, volevamo cancellarla dall’Europa ed eravamo tutti per Greta. Oggi siamo tutti dietro alla Polonia e puntiamo al nucleare.
È un tema che oggettivamente esiste. C’è bisogno di un’Europa politica che vada oltre la doverosa solidarietà. Io sono contento quando le massime cariche istituzionali vanno a Kiev: fanno un gesto importante. Però c’è un problema, cioè che l’Europa deve decidere cosa fare da grande. Abbiamo una crisi demografica spaventosa. Ce lo diciamo o no? Le civiltà finiscono con la crisi demografica e abbiamo una situazione in cui Cina e India viaggiano verso i tre miliardi di cittadini e siamo in una situazione di grande crisi.
Ancora, è scomparso il tema del terrorismo islamico. Quando la Turchia dice: noi facciamo entrare la Svezia e la Finlandia se ci date un po’ di soldi, ma anche se ci consentite di fare come vogliamo coi curdi, onorevoli colleghi, io credo che si debba avere l’onestà di dire che, se nel 2015 non ci fossero state le ragazze curde, questo pianeta sarebbe finito nelle mani degli estremisti islamici. (Applausi). Sul territorio, infatti, sono state loro a imbracciare le armi e a portare avanti la resistenza: le donne curde. Naturalmente sappiamo che la questione curda è molto più ampia delle accuse di Erdogan al terrorismo curdo, ma il punto è che non si può far finta di non parlare di queste questioni.
Ci sono Paesi africani che stanno vedendo crescere fenomeni di estremismo islamico incredibili. Nel mondo mediorientale stanno ridefinendosi gli equilibri e lasciatemi dire che esiste una preoccupazione, anche sul medio periodo, rispetto alla tenuta della Federazione Russa. Non muoiono solo i ragazzi di Mosca e di San Pietroburgo in Ucraina: muoiono i ragazzi delle repubbliche più lontane. Insomma, è un tema che dovremo affrontare.
Ancora, vi è il tema della sovranità alimentare e della geopolitica del cibo, citato molto correttamente dal Presidente del Consiglio. Quanto all’immigrazione, quella ucraina è già superiore, o più o meno pari, nell’arco di due o tre mesi, a quella che era stata considerata un’invasione nel 2015-2016.
Quando avevamo quell’immigrazione dall’Africa, tutti urlavano all’invasione che non riuscivamo a contenere; oggi stiamo dando una dimostrazione straordinaria di grande solidarietà e ha fatto benissimo il Presidente del Consiglio a dare un abbraccio e un affettuoso pensiero ai bambini. C’è però una questione di cambiamento straordinario, che poi potrà certo essere aggravato dall’eventuale e probabile carestia in Africa e dagli ulteriori arrivi da quel continente.
Non posso citare tutti i punti aperti, ma potenzialmente ci sono degli autogol. È chiaro che oggi la NATO deve decidere cosa fare da grande e non lo possiamo dire adesso, perché paradossalmente Putin l’ha rafforzata, ma due anni e mezzo fa un leader, il presidente francese Macron, parlava di stato di morte celebrale della NATO. Io condividevo quel giudizio. Il Ministro della difesa giustamente non lo condivideva, ma la sua saggezza rispetto alla mia è notoriamente oggetto di discussione tra di noi da qualche anno in modo molto affettuoso. Non vi è dubbio, però, che nel 2019 la NATO fosse sostanzialmente priva di una visione. Oggi quell’organizzazione si allarga e si espande, ma qual è il suo disegno strategico? Non può essere soltanto il fatto che Putin la rafforza contro la sua volontà.
Dall’altro lato, mi chiedo se siamo sicuri che l’uscita dal sistema finanziario basato sul dollaro sia un bene. Siamo sicuri che non sia un autogol eliminare alcune istituzioni? Come Presidente del Consiglio, lo sa molto meglio di me. Penso all’importanza delle grandi istituzioni finanziarie internazionali, nel momento in cui alcuni Stati scelgono di accettare la moneta cinese oltre a quella americana – per esempio – per il petrolio o, viceversa, le monete digitali, con tutto il carico di rischi che comportano, di cui l’allora presidente della Banca centrale europea ebbe modo di indicare i limiti. Questo è un tema che esiste.
Questi problemi, onorevoli colleghi, sono i veri temi e mi sono fermato senza affrontare la questione della transizione democratica. Noi, infatti, difendiamo la democrazia, ma poi abbiamo un problema anche tra di noi: dovremmo avere un sistema istituzionale in cui si sappia chi vince e chi governa per cinque anni, ma non lo abbiamo, per responsabilità di tutti, e lo voglio dire così. Di fronte a ciò che sta avvenendo in Ucraina, continuiamo a fare il giochino di urlarci addosso tra di noi – come ho visto negli ultimi interventi – o proviamo a fare, come ci ha chiesto anche il Presidente del Consiglio, un’analisi più seria e articolata? Siamo in presenza di un cambiamento storico.
Avviandomi alla conclusione, signor Presidente, la politica non è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, come diceva un famoso generale prussiano. La politica è la negazione della guerra o, se volete, la guerra è la negazione della politica. Occorre un grande sforzo politico e diplomatico, come diciamo dal 24 febbraio, ma occorre anche superare l’atteggiamento di questi giorni, in cui sembra che la politica estera possa essere oggetto di una rissa interna permanente. Noi siamo l’Italia, siamo uno dei più grandi Paesi di questo pianeta e abbiamo una grande responsabilità: dobbiamo essere all’altezza dei valori che rappresentiamo approfondendo i problemi, studiandoli e non limitandoci a mettere insieme una fila di slogan senza senso. (Applausi).
Franco Benaglia
Ho sentito dopo tanto tempo un vero intervento politico sulla politica estera. Non sono mancati alcuni riferimenti alla politica interna del momento.