La condanna mondiale generale, o piuttosto la criminalizzazione, le parole sconsiderate, automatiche di tutte le tv e di molti leader contro Israele, l’accettazione della colpa anzi dell’intenzione criminale proposta dai palestinesi, il silenzio mondiale sul rifiuto di Ramallah di condividere un’indagine comune sul proiettile che ha ucciso Shirin Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera uccisa a Jenin, non contribuiscono alla ricerca della verità. Al contrario, la nascondono: sostenuti, i palestinesi non consentiranno mai l’esame delle prove. Così come aggiunge un elemento di confusione (che servirebbe bene a Douglas Murray per provare la tesi del suo ultimo libro che l’Occidente è il maggiore nemico di se stesso) il fatto che il ministro della Sicurezza israeliano Omer Bar Lev abbia istituito una commissione di inchiesta che indaghi sulla sua polizia e sugli eventi che hanno portato venerdì, durante il funerale, a scontri con la folla e quasi al rovesciamento, molto scioccante, della bara della povera giornalista. La portavoce del presidente degli Stati Uniti Jen Psaki ha dichiarato le immagini «molto inquietanti», l’Ue si è detta «sconvolta».
Lo stesso la Bbc, la Cnn, i giornalisti al funerale. Nessuno si è chiesto come sono andate le cose. La versione della polizia è che l’intento, forse non gestito con il garbo necessario, era quello di consentire un funerale ordinato e di sottrarre la bara a un gruppo di facinorosi che se ne era impadronito. È vero? Bar Lev sospetta di no insieme ai nemici di Israele, anche se quella è la sua polizia. Le forze dell’ordine invece che di fronte a un funerale si sono trovate di fronte a una manifestazione palestinese di massa (che non è come una manifestazione sindacale in Italia!) con le bandiere dell’Olp sventolate da una grande folla per le strade di Gerusalemme che gridava slogan si odio e di vendetta e ha anche lanciato di pietre. La polizia si è trovata in una situazione di esplosione politica e di violenza dopo giorni e giorni in cui con Ramadan la città è stata tormentata da attacchi terroristi e da scontri con i miliziani di Hamas e altre organizzazioni sulla Spianata delle Moschee.
Quando la processione funebre è diventata la testa di un corteo dell’Olp non autorizzato, e le pietre hanno cominciato a piovere, si è fatta forse troppo sotto per impedirlo. E allora tutte le peggiori congetture sull’aggressività israeliana, lasciando da parte quella palestinese, sono diventate carburante che ha preso fuoco. Vedremo: ma l’abbandono della polizia israeliana da parte del ministro in una situazione di attacco internazionale, ha qualcosa di oscuro e di inconsueto. Israele è uno stato democratico che ha il dovere di dar conto del suo comportamento, e quindi sarebbe stato logico che fornisse e anche rendesse pubbliche le risposte della polizia allo scandalo internazionale. Ma l’inchiesta significa una dilatazione del sospetto che toglie energia alle forze dell’ordine in un momento molto difficile, dopo tre settimane con 19 morti uccisi nelle strade, ai bar e nei negozi, in nome della stessa bandiera che ieri ha coperto coi suoi colori le strade della città. Inutile domandarsi cosa succederebbe a un cittadino israeliano che portasse la bandiera con la stella di David a Ramallah. Inutile anche domandarsi come mai se Israele è così esecrabile, il 93% dei cittadini arabi di Gerusalemme dicono che preferiscono essere israeliani rispetto alla prospettiva di una cittadinanza palestinese.
(articolo già pubblicato da Il Giornale e ripreso con il consenso dell’autrice)
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