Da molti anni il dibattito pubblico, teorico e sociale, è dominato dal tema della crisi della politica. Che è crisi di credibilità, di fiducia, di rapporto con i cittadini. Ma questi sono gli effetti, mentre poco si riflette sulle cause.
La mia opinione è che uno dei fattori della crisi della politica stia nella dissociazione dall’etica da una parte e dalla cultura dall’altra. Parlo di dissociazione, e non di autonomia, perché sono due categorie profondamente diverse. La politica è uno spazio autonomo da altre sfere della vita, e quindi lo è anche dalla morale e dalla cultura; ma autonomia non significa separazione, indifferenza, neutralizzazione dai valori. La politica, che è l’arte di organizzare una collettività, di distribuire tra tutti le risorse a disposizione, di selezionare le persone che si occupano del bene pubblico, ha le sue regole di funzionamento, ma non può né deve prescindere dalla cifra etica delle relazioni né dalle convinzioni, dai valori di riferimento della comunità che organizza. La separazione dall’etica, e il realismo pragmatista e cinico che ne è derivato, che giustifica tutto in funzione di scopi (ben altro dall’autonomia del politico di Machiavelli), ha generato alla lunga distacco e sfiducia. La separazione dalla cultura ha reso la politica pura tecnica del potere, molto specialistica e appannaggio di un’élite sempre più piccola, che si è allontanata progressivamente dalla sfera della rappresentanza.
Da queste riflessioni muove una ricerca che da tempo sto facendo su una diversa concezione della politica, che recupera le dimensioni della partecipazione e della rappresentanza, come fondamenti di legittimazione delle azioni di governo.
Da queste riflessioni nasce anche l’idea della lista “Il sole per tutt* Francesco Branchetti Sindaco”, che si è concretizzata nella sua forma in pochissimi giorni, ma che allude ad un progetto di lungo respiro.
Dopo la sconfitta del centrosinistra nel 2017, si è verificato un duplice problema: da una parte, una immediata rimozione delle cause di quella sconfitta soprattutto da parte del principale partito di quello schieramento, il PD; dall’altra, l’incapacità di costruire un progetto nuovo e alternativo, che fosse aperto al cambiamento e inclusivo di nuove forze.
Personalmente ho investito le mie energie nel lavoro dell’Associazione Palomar, che in questi anni è diventata punto di riferimento per l’opposizione alla Giunta Tomasi e luogo di elaborazione tematica, con l’obiettivo di gettare ponti sulla frammentazione a sinistra registrata nel 2017. Ponti che poggiassero su pilastri programmatici, e non semplicemente su logiche di schieramento, magari favorito o imposto dai livelli nazionali e regionali dei rispettivi partiti.
Ma sul fronte della politica ufficiale, dei partiti, proprio questo è successo: la difficoltà al confronto tra parti che avevano posizioni precostituite non poteva non produrre altra frammentazione. Ed è un vero peccato, per due ragioni: perché – avendo avuto occasione di parlare pressoché con tutti i soggetti del centrosinistra, da Azione al Movimento 5stelle – mi sono convinta che un confronto libero da pregiudizi e da candidature precostituite sarebbe approdato all’unità di tutto il centrosinistra; e perché si stava consolidando un asse civico progressista che avrebbe alimentato con forza un campo davvero largo di centrosinistra.
Un gruppo di persone, da tempo impegnate nella riflessione sulla città e nel rapporto con tante realtà associative, culturali, e singoli cittadini, ha preso atto della ennesima divisione a sinistra e si è posto il problema di cosa fare di fronte all’incertezza e alla disaffezione di tante e tanti, al vuoto di rappresentanza che si è creato nel tempo soprattutto a sinistra.
A questo si è aggiunta una valutazione sulla povertà del dibattito pubblico e istituzionale, lo scarso rapporto tra quello che accadeva in Consiglio Comunale e quello che accadeva in città.
Abbiamo pensato che ci fosse il bisogno di dare una risposta a questa crisi di rappresentanza, di colmare un vuoto, di dare voce a chi non ha voce, e che di anno in anno è andato ad aumentare le file dell’astensionismo. Abbiamo raccolto l’invito delle tante persone che abbiamo incontrato in questi anni a dare un’alternativa nel modo di fare politica e nel dare continuità al lavoro. Non abbiamo bisogno di nuovi comitati elettorali a sostegno di quello o quell’altro candidato, ma abbiamo bisogno di un tessuto che si radichi sul territorio e con il territorio ricostruisca un’idea condivisa di città.
Questa idea manca. Nei programmi dei principali – sulla carta – candidati alla carica di Sindaco leggiamo obiettivi pressoché sovrapponibili: l’uno promette di fare meglio quello che anche l’altro propone. Mancano i punti che dovrebbero essere unanimemente condivisi, e mancano le discriminanti.
Noi non pensiamo di avere le risposte giuste a tutti i problemi, ma su tutti i problemi abbiamo un’idea. E’ stato naturale proporsi a sostegno della candidatura di Francesco Branchetti, perché ne condividiamo l’impianto e le proposte di fondo: l’idea della cura è anche per noi la cifra con la quale renderci responsabili della città.
La cura della città e la città della cura vanno di pari passo, e prendono inizio dalla centralità della cultura. La cultura è il lievito della crescita sociale, economica e ambientale, secondo la visione che aveva ispirato il progetto per la capitale italiana della cultura: che non era mettere in vetrina Pistoia per un anno con eventi più o meno pirotecnici, bensì era avviare un processo di rigenerazione urbana, economica e sociale, che aveva nel progetto di trasformazione dell’area del Ceppo il suo centro propulsore, con la Casa della Città e la riorganizzazione dei musei civici nella parte storica e monumentale, e la Casa della salute e i principali presidi sociosanitari sulla parte che affaccia su Viale Matteotti.
La demolizione del Padiglione Nuove Degenze ha compromesso largamente questo progetto, ma ciò non significa che – mancando qualsiasi nuova previsione e mancando le proposte concrete di destra e PD – non si debba rilanciare la sostanza di quel progetto: anzi, è proprio necessario, perché cultura e salute sono inestricabilmente i due poli che devono stare connessi nell’area per la storia e per i nuovi bisogni sociali.
Così come per le Ville Sbertoli, le parole a metà dei “principali” candidati sulla strada da percorrere, che cela la volontà di privatizzare sostanzialmente un’area di grande pregio paesaggistico, non possono bastare: occorre riacquisire pienamente una proprietà pubblica, con una pianificazione comunale in linea con gli esiti dei processi partecipativi: anche in questo caso, storia e salute devono essere i due punti di riferimento per ogni progetto, assieme all’ambiente, alla tutela dell’ecosistema naturale del parco.
Se si ha una forte volontà di investire davvero sulla cultura, primo obiettivo non può che essere la riapertura del Museo Marini, con la consapevolezza di dover sostenere una battaglia con tutti gli strumenti utili dentro la Fondazione. Se le opere del Maestro sono ancora al Palazzo del Tau, e se ancora il Comune di Pistoia può avere un ruolo, è soltanto grazie alla Sovrintendenza, che ha fissato il vincolo pertinenziale, e al Prefetto, che ha impugnato le delibere di riforma statutaria. Quindi è incredibile che il Comune di Pistoia non abbia intessuto un’alleanza forte con queste istituzioni, e non abbia preso un’iniziativa con il Comune di Firenze, per una chiara definizione dei ruoli tra le due città e la massima valorizzazione dell’opera di Marino. Ci preoccupano le proposte che leggiamo qua e là di altri spazi da individuare: il vincolo pertinenziale è una garanzia, non un limite, e va rispettato nel solo modo possibile, cioè la ristrutturazione del Palazzo del Tau, in rapporto con il Palazzo Fabroni.
Potremmo proseguire a lungo sulle discriminanti: sulla mobilità dolce e ciclopedonale, sul trasporto pubblico locale, sulla grande viabilità che deve essere ridotta a pochi ma strategici interventi. Anche qui, leggiamo dai programmi dei “principali” candidati l’elusione dei tre nodi principali di Pistoia, il completamento dell’asse dei vivai, lo scarico del Viale Adua dal traffico pesante e la strada-parco a nord-est – validati da analisi di flussi di traffico e studi di fattibilità – , mentre si parla di varianti mai sottoposte a nessuno studio tecnico.
Infine, il tema sul quale pensiamo si deve trovare il più possibile un accordo tra tutte le parti riguarda la multiutility dei servizi pubblici. Il tema non è soltanto la marginalità di Pistoia – che allo stato attuale è un fatto incontrovertibile – bensì la tutela del patrimonio dei cittadini pistoiesi depositato nelle aziende e la qualità dei servizi che queste aziende dovrebbero erogare. Rilanciando il progetto di raccolta differenziata porta a porta con tariffazione puntuale, e pensando ad un investimento verso le energie rinnovabili, in alternativa al metano. Noi pensiamo che il bene in assoluto da tutelare debba essere l’acqua; la ripubblicizzazione del servizio idrico, promessa da tutti e da tutti di fatto non voluta, non può essere uno slogan che si pronuncia in campagna elettorale, ma un obiettivo concreto da perseguire. Partiamo da qui, e discutiamo di tutto il resto, alla luce del sole e con trasparenza davanti ai cittadini.
Carlo
Condivido la tua iniziativa e spero che abbia successo.Purtroppo il differenziarsi delle forze politiche prescindendo dalla realta’ e’ un vizio di origine. Il centrosinistra nella sua storia non riesce a fare un passo avanti perche sui problemi rilevanti si incagliano e si dividono.Il sottrarsi al confronto e’ sempre perdente.Le soluzioni politiche se’ si vogliono veramente si trovano sempre.I migliori auguri.