Lo scorso 5 aprile il Senato ha approvato in via definitiva un disegno di legge bipartisan con il quale si dichiara il 26 gennaio “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini”.
L’art.1, comma 1, del testo approvato dichiara che: “La Repubblica riconosce il giorno 26 gennaio di ciascun anno quale Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, al fine di conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la Seconda Guerra mondiale, nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli Alpini incarnano.”
La scelta della data ha sollevato non poche eccezioni di ordine politico e storico, sia per il riferimento all’evento bellico conseguente alla guerra di invasione dell’Unione Sovietica voluta dal regime fascista, sia per la vicinanza con altre ricorrenze civili molto importanti: il 27 gennaio – “Giorno della Memoria” istituito a livello internazionale per commemorare la Shoah; il 10 febbraio – “Giorno del Ricordo” istituito a perenne ricordo dei massacri delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata.
Date con significati diversi le cui ricorrenze molto vicine, a detta di chi ha espresso critiche sulla scelta del 26 gennaio per l’istituzione della Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, può creare confusione e generare interpretazioni storiche errate.
A seguito di queste critiche, alcuni Parlamentari si sono immediatamente mossi dichiarando la disponibilità a rivedere la data. Queste dichiarazioni consentirebbero di scrivere fiumi di inchiostro sul pressappochismo con il quale alcuni Parlamentari svolgono il loro compito, salvo poi, con un’abbondante dose di opportunismo, cercare di cavalcare l’onda del consenso rimangiandosi qualsiasi tipo di decisione. Basti infatti pensare che la data del 26 gennaio e il riferimento alla battaglia Nikolajewka si trovavano presenti già nel testo presentato alla Camera dei Deputati il 15 maggio 2018, poi approvato dall’Assemblea in data 25 giugno 2019, dopo essere stato discusso dalla Commissione Difesa in sede referente. Il risultato della votazione alla Camera è stato il seguente: presenti: 466; votanti: 459: astenuti: 7; favorevoli: 459; contrari: 0.
Il provvedimento legislativo è quindi approdato in Senato il 27 giugno 2019, per essere posto all’esame della Commissione Difesa in data 2 luglio 2019. Da qui l’approvazione dell’Assemblea avvenuta il 5 aprile 2022 con il seguente esito: presenti: 191; votanti: 190; favorevoli: 189; contrari: 0; astenuti: 1.
A fronte di queste attività di Camera e Senato, sorge spontanea la domanda: i Parlamentari, che ora si dichiarano disponibili a rivedere la data del 26 gennaio magari spostandola al 15 ottobre, ricorrenza che quest’anno cadrebbe anche con il 150° anniversario dell’istituzione del Corpo degli Alpini, dov’erano quando le loro Assemblee hanno discusso il testo della legge? Forse fra gli assenti? O forse hanno votato senza avere ben chiaro che cosa fosse stato loro sottoposto a discussione e approvazione? La data del 26 gennaio l’hanno ragionata? Conoscono essi ciò che è avvenuto a Nikolajewka durante la Seconda Guerra mondiale? Quanto accaduto ha o no un peso nella storia? Perché, fin dal maggio 2018, la data del 26 gennaio è stata accettata e ora si renderebbe necessario correre ai ripari per cambiarla?
Lascio ai lettori dare le risposte che meglio ritengono valide. Da parte mia preferisco entrare nel merito dei fatti accaduti a Nikolajewka, in quel tragico gennaio del 1943, per provare a tracciare una linea di pensiero.
Gli storici mi perdoneranno se non sarò preciso come lo sarebbero loro, tuttavia evidenzio che le informazioni qui riportate sono estratte dagli Atti del Convegno “Gli italiani sul fronte russo 1941-1943”, organizzato il 19, 20, 21 ottobre 1979 dall’Istituto storico della Resistenza di Cuneo e Provincia[1] (ora Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea in Provincia di Cuneo).
Il contesto militare, storico e geografico nel quale avvengono i fatti di Nikolajewka è ben chiaro e può essere così sintetizzato nei suoi tragici connotati:
- subalternità del regime fascista alla Germania nazista, finalizzata a perseguire strategie imperialiste, in presenza di una invincibilità dell’esercito tedesco già riconoscibile come fallita sul finire del 1941; a questo proposito giova ricordare che l’Italia invase l’URSS senza che il suo intervento fosse stato richiesto dalla Germania, ma fu finalizzato a rivendicare una posizione autonoma dell’Italia destinata a rimarcare la sua ferma alleanza con la Germania nella politica antibolscevica,
- chiara lucidità e premeditazione del Governo e delle Autorità militari a mandare al fronte truppe, prima nell’ambito del Corpo di spedizione italiano in Russia – CSIR – (estate del 1941), poi dell’Armata italiana in Russia – ARMIR – (estate 1942), mal equipaggiate in termini di armamenti, materiali e con vestiario del tutto inidoneo a sopportare i rigori dell’inverno russo,
- l’ambiente nel quale furono mandate a operare le truppe italiane, connotato dalle immense pianure bagnate dai fiumi Dniester, Dnieper, Donez, Don, che si rilevò ben presto essere più congeniale alla tattica difensiva sovietica, che non a quella offensiva italo-germanica.
In questo quadro di riferimento, Nikolajewka rappresenta il simbolo del sacrificio e dell’eroismo pagati a caro prezzo da più di 200.000 giovani mandati al massacro. La ritirata dell’Esercito italiano nella gelida steppa russa fu una tragedia nella tragedia.
Cito dagli Atti del Convegno sopra citato: “…Costrette ad aprirsi la strada lottando in una serie di aspri combattimenti, muovendo in condizioni metereologiche terribili con i reparti a piedi sempre sopravanzati dai reparti motorizzati sovietici, le colonne delle divisioni alpine dettero il meglio di sé per superare gli sbarramenti successivi, riuscendovi solo in parte anche a causa del mancato collegamento radio e aereo, nonostante l’eroica determinazione di tutti nella pur impari lotta. I resti delle divisioni alpine “Julia” e “Cuneese” e della divisione di fanteria “Vicenza” rimasero infatti totalmente in mano ai russi, mentre la sola “Tridentina” poté sottrarsi a tutti gli accerchiamenti, l’ultimo quello vittoriosamente superato il 26 gennaio 1943 a Nikolajewka, riuscendo, dopo altri 5 giorni di marcia al di fuori della pressione nemica, a raggiungere il 31 gennaio Glunan Scebekino, dove in pratica si concludeva l’attività operativa dell’Armata italiana.
…….A conclusione della battaglia, quando i superstiti giunsero nelle località di raccolta per il rimpatrio, mancavano complessivamente all’appello 84.300 uomini. Caduti e dispersi: 3.010 ufficiali su 7.130; 81.820 fra sottufficiali, graduati e soldati, su 221.875. Feriti e congelati: 26.690. Degli 84.830 uomini mancanti all’appello, l’Unione Sovietica ha restituito 10.030 prigionieri. Il numero di combattenti non tornati in Italia dal Don ammonta, pertanto, a 74.800 uomini.”
Non pochi superstiti della guerra di Russia, al rientro in Italia, si unirono alle formazioni partigiane partecipando attivamente e con ruoli importanti alla Resistenza. Segno tangibile che la sopravvivenza alla guerra voluta dal regime fascista richiedeva un ulteriore impegno per porre fine a quello stesso regime, anche a costo di perdere quella vita così faticosamente salvata nella steppa russa.
Nel Dopoguerra, la Ritirata degli Alpini dalla Russia è stata oggetto di una nutrita letteratura prodotta da superstiti i quali narrarono la tragedia vissuta affinché la memoria, tramandata di generazione in generazione, facesse sì che essa non dovesse mai più accadere.
Cito tre autori e i loro romanzi che, fin da ragazzo, hanno colpito il mio interesse e la curiosità di saperne di più, di approfondire ciò che accadde, attingendo informazioni e narrazioni da fonti diverse:
- Mario Rigoni Stern – “Il sergente nella neve”,
- Nuto Revelli – “La strada del davai”,
- Giulio Bedeschi – “Centomila gavette di ghiaccio”.
In questi romanzi, come nelle migliaia di testimonianze che si trovano nella ricca storiografia disponibile (ad esempio nella collana “Fronte russo: c’ero anch’io”), non c’è traccia di odio verso quello che fu il nemico, semmai la narrazione dell’adempimento di un dovere che i nostri soldati furono chiamati ad assolvere e la forte convinzione che la guerra è il frutto della follia umana. Una follia che acceca i potenti e manda al massacro intere popolazioni.
Mentre scrivo queste riflessioni, le pianure che durante la Seconda Guerra mondiale furono teatro della tragedia umana vissuta dal CSIR e dall’ARMIR, rivivono un’altra orrenda guerra di invasione: l’aberrante guerra mossa dalla Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina. Altri massacri, altre distruzioni, altri eserciti che si scontrano nel cuore dell’Europa, donne, uomini e bambini che, nel nome di interessi che governano i rapporti di forza fra le Superpotenze, a loro del tutto estranei, muoiono, subiscono atrocità, vengono privati del diritto di vivere in pace e di decidere il loro destino.
La sfilata della 93a Adunata degli Alpini, che si è tenuta a Rimini il 7 e 8 maggio scorsi, è stata aperta da un Alpino di 105 anni, reduce della Campagna di Russia. Intervistato dagli organi di stampa, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Quello lassù deve aver deciso che devo restare ancora qua per raccontare. Per far ricordare di tutti quei morti nella guerra”. Morti per niente, per niente! In guerra si muore sempre per niente”.
Queste frasi, lette anche alla luce del recente invito del Capo dello Stato Mattarella affinché il 4 Novembre sia il giorno di tutte le Forze armate a ricordo del senso del dovere e del sacrifici di tutti i soldati, ben indicano come dichiarare il 26 gennaio “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini” non sia stato un incauto errore, un gesto che rischia di commemorare una guerra di invasione o di confondere diverse “memorie”, bensì un atto finalizzato a:
- conservare la memoria di una tragedia affinché, al pari di altre, essa non debba mai più essere vissuta,
- operare per la Pace e la diplomazia, perché esse siano le uniche “armi” con le quali poter dirimere ogni controversia nel mondo,
- sottolineare che il pacifismo, di oggi, trae la sua forza anche dal ricordo di chi, ieri, non ha potuto scegliere se marciare per la Pace o inneggiare alla guerra, ma è stato mandato a marciare e a sacrificare la sua vita nella steppa russa, come su altri fronti di battaglia.
Stiano tranquilli i Parlamentari che si sono mossi per trovare un’altra data nella quale celebrare la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini”. La legge approvata in via definitiva dal Senato il 5 aprile scorso è stata promulgata. Continuino a dormire sonni sereni, per una volta tanto la loro disattenzione si è rilevata essere positiva.
[1] Si rimanda alla consultazione della pubblicazione “Gli italiani sul fronte russo” – Ed. De Donato – 1982
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