Molto è già stato scritto a proposito della profonda differenza tra l’amore per la pace, il desiderio di pace e il pacifismo come ideologia. Tuttavia qualche ulteriore riflessione, soprattutto di tipo storico, può servire. Il primo è un sentimento autentico, largamente condiviso, il secondo è una costruzione ideologica e come tale si presta a ogni distorsione e a ogni strumentalizzazione.
Il pacifismo ha conosciuto il suo momento più autentico al tempo della Prima Guerra mondiale, perché era largamente diffuso il rifiuto dell’”inutile strage” e nessuno dei contendenti poteva invocare a proprio vantaggio indiscutibili ragioni morali. Era uno scontro tra opposti nazionalismi e, nonostante l’evidente ruolo che ebbe il militarismo prussiano, non si può certo dire che la Francia e la Gran Bretagna fossero prive di motivazioni basate sul desiderio di potenza.
Le cose cominciarono a cambiare già alla fine degli anni ’20 del ‘900 e soprattutto nella seconda metà degli anni ‘30, quando il pacifismo divenne uno strumento per indebolire le democrazie occidentali e, di fatto, per essere, più o meno consapevolmente, uno strumento che favorì l’espansionismo di Hitler. Una figura emblematica di questa degenerazione è rappresentata dal figlioccio di Gaetano Salvemini – di cui si occupò “Moked” il 27 dicembre 2018 – che, partito da posizioni ultrapacifiste, finì, dopo la capitolazione della Francia, per aderire al regime di Vichy diventando nella fase finale ministro di quel regime. Alla fine della guerra fu processato, condannato a morte e fucilato.
Proprio la Francia della III Repubblica rappresenta l’esempio più chiaro delle conseguenze del pacifismo ideologico: a forza di convincersi che si doveva fare qualsiasi cosa pur di scongiurare la guerra (“morire per Danzica?”), la Francia si trovò, più che militarmente, culturalmente e psicologicamente impreparata di fronte all’aggressione di Hitler.
Anche la Gran Bretagna rischiò di fare la stessa fine che fu evitata con la sostituzione del premier Neville Chamberlain con Winston Churchill, la cui volontà di continuare a lottare contro il nazismo alla fine prevalse.
Un altro esempio lo troviamo nel secondo dopoguerra, quando Stalin promosse nel 1949 il Movimento dei Partigiani della Pace che l’anno successivo si diffuse in Occidente e anche in Italia per mezzo del cosiddetto Appello di Stoccolma che altro non era che uno strumento dell’Unione Sovietica per disarmare politicamente e psicologicamente i Paesi occidentali e che ebbe per tutti gli anni ’50 una notevole influenza.
Ai nostri giorni abbiamo sotto gli occhi il tentativo di alcuni intellettuali e politici di impedire all’Ucraina di difendersi dall’aggressione russa arrivando ad auspicare una resa di Kiev pur di arrivare alla pace. Nel migliore dei casi colpisce la mancanza di memoria storica da parte di persone che dovrebbero avere tutti gli strumenti per averla e che prendono posizione solo sulla base di reazioni emotive.
Epoche e situazioni diverse, ma uguale trasformazione, anche se in buona fede, del bisogno e del desiderio di pace in uno strumento per sconfiggere l’avversario.
(articolo già pubblicato in Moked Attualità il 05/05/2022)
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