Questa settimana il governo dovrebbe dare il via libera al Documento di economia e finanza (Def) per il 2022. Il Def prenderà atto del rallentamento della crescita, destinata – nella migliore delle ipotesi – a dimezzarsi rispetto agli oltre quattro punti previsti dalla Nadef dello scorso autunno. Di conseguenza, anche il deficit non potrà che peggiorare, rispetto alla stima (già preoccupante) del 5,6%. Abbiamo alle spalle un anno vissuto pericolosamente dal punto di vista delle finanze pubbliche, con ripetuti interventi a tappeto per mitigare i rincari energetici che hanno assorbito finora una ventina di miliardi di euro. Altre misure sono alle porte. La spesa pubblica, dunque, continuerà a gonfiarsi.
Il paese si trova così a pagare un tributo altissimo all’eccessivo ottimismo del governo, che aveva puntato tutto sulla speranza di una inarrestabile ripresa post-Covid. Non si può certo accusare l’esecutivo di non aver saputo prevedere l’invasione dell’Ucraina e le sue enormi conseguenze politiche ed economiche. Ma quando, a fine settembre 2021, è stata impostata la strategia di bilancio i segni della crisi energetica erano davanti agli occhi di tutti. Che la situazione fosse critica era talmente evidente che il governo stesso aveva già varato i primi decreti per tagliare la bolletta nel terzo trimestre e si apprestava a fare altrettanto per il quarto.
È antipatico citarsi, ma all’epoca commentavamo la Nadef sottolineando che – in un contesto macroeconomico apparentemente positivo – “i libri di testo suggeriscono di manovrare in senso restrittivo il bilancio pubblico, riducendo il deficit. Tanto più in un Paese sulle cui spalle grava un livello del debito che ha pochi precedenti nella storia”. E mettevamo in evidenza quanto fosse azzardata la scelta di rinviare l’aggiustamento di bilancio a dopo il 2024, dando per scontato l’aumento del Pil e anzi facendone il perno dei saldi di bilancio. Purtroppo siamo stati facili profeti: sicché il governo si trova, in un anno pre-elettorale e all’indomani di un’esplosione senza precedenti del debito, a gestire una situazione difficilissima e senza alcuno spazio fiscale da sfruttare per accompagnare il raffreddamento dell’economia.
Ancora una volta il nostro futuro sarà legato alle decisioni di un’Europa a cui continuiamo a chiedere di tenere conto dell’eccezionalità italiana. Solo che, questa volta, l’ondata recessiva travolge anche gli altri e forse perfino più duramente di quanto accade a noi. Finora la nostra strategia è stata quella di essere “too big to fail”. A forza di tirare la corda, si arriva a un punto in cui si spezza: la sensazione è che ci siamo pericolosamente vicini.
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