Esproprio pochi mesi fa era un libro pronto. Frutto del lavoro di 6 anni di scritture. Rimozioni. Correzioni. Un libro pronto. Con un titolo. Una suddivisione ragionata in sezioni. E un editore1. Era pronto per la pubblicazione. Un libro denso di vita e di pensiero, almeno nella mia percezione.
Denso appunto. Forse troppo. Fatalmente persuaso di sé. Compiaciuto anche nel dolore. Consegnato a una tensione tra mito ed esperienza che non recava più traccia di alcuna reale catastrofe. Ecco perché ho deciso di farvi calare sopra un polveroso temporale estivo. Ho voluto vedere cosa restava. E sono rimaste in piedi 11 liriche. Liriche in cui il mito esiste drammaticamente solo nel nome proprio delle figure dell’esistenza terrestre, nella soffitta della memoria. Lascio in lettura un componimento. Ringraziando per l’opportunità.
Osservo le tracce,
i segni terrestri
di quando sedevi
al dattilo della mia vita –
o forse del soggiorno
– e poggiavi la schiena
sulla tiepida pietra del pavimento.
Ci siamo sfilati gli occhiali,
stavano fianco a fianco,
per questo pensavo
a come le cose – no:
le tue cose, e le mie –
possono raccontare di noi
più delle nostre
smilze molecole di parole.
Oggi stringo un nodo al fazzoletto,
per ricordarmi
di quello che ancora ha da essere
e di quello che avviene.
Ti vedo poggiare la cornetta all’orecchio
e declamare vaticinî
e arrivare alle cose
sempre di lato
dove massima è la luce
e massima l’ombra.
«Io sono così», sembri dire,
come se una danza antica
potesse parlare di sé,
e faccio ritorno
a una domenica mattina del secolo ventesimo:
l’abitacolo del padre
arriva in orario,
lo Spalding è stato gonfiato
e tutto deve ancora succedere.
MB 2/7/21
[1]Piccolo inciso. Qualunque poeta, anche assai più blasonato e talentuoso di me, sa bene quanto non sia facile trovare un editore, sempre che non si sia disponibili a quel gesto tanto pessimo quanto contraddittorio che consiste nel pagare per pubblicare, anche se non soprattutto quando la transazione è formalizzata nella pratica troiesca dell’acquisto di copie che all’autore non servono e che palesemente motivano solo una dazione di denaro che, come basamento motivante, sostituisce il mestiere stesso dell’editore, che non è tanto quello di stampare e promuovere, quanto quello di scegliere (e di escludere).
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