Quando circolò la notizia che Silvo Berlusconi intendeva candidarsi alla Presidenza della Repubblica, molti di noi pensarono che si trattasse solo di uno scherzo organizzato a sua insaputa da un gruppo di burloni tipo “Amici miei”; e che lui, alla fine, ne avrebbe riso cantando qualche vecchia canzone da piano-bar e magari facendo l’imitazione di Mattarella.
E invece no: era proprio vero. Soprattutto ci stupì che lui prendesse la cosa sul serio e dimostrasse di crederla possibile; nonostante l’età, gli acciacchi e una storia politica fatta di alti e bassi che sembrava definitivamente conclusa – credo – in primis ai suoi figli e agli amici di lunga data.
Quando poi Sergio Mattarella iniziò a fare i bagagli e a prepararsi per la pensione dorata sotto il sole della Sicilia, e il nome del più autorevole successore, Mario Draghi, fece tremare i polsi praticamente a tutti i leader dell’ampia maggioranza, la possibilità di Berlusconi al Quirinale passò all’improvviso dal livello Scherzi-a -parte al livello Defcon 2 (lo stato di allerta che precede una minaccia nucleare).
Berlusconi tornò per qualche settimana al centro dell’attenzione mediatica e, siccome lo standard generale dei media italiani è rimasto quello dei rotocalchi come Tv Sorrisi e Canzoni, cioè senza capacità di distinguere la realtà dalla fantasia, lui rilasciava interviste, parlava con ritrovata energia, sognava e, da abilissimo comunicatore qual è sempre stato, riusciva persino a trovare nuovi follower.
Poi le cose sono andate come sappiamo e, per fortuna, il principio di realtà almeno questa volta ha prevalso nel Parlamento; alla faccia dei populisti di destra e di sinistra che in quei giorni sparavano nomi assurdi come quello della stimatissima Signora Belloni, che però, essendo il capo degli 007, non era la persona più indicata a diventare la prima Presidentessa della Repubblica (magari in Russia sì, se vieni dal KGB hai buone speranze di diventare qualcuno).
Insomma Berlusconi si riconquistò un ruolo, e pensò che avrebbe potuto consolidare questa ritrovata centralità per presentarsi alla fine della legislatura con una maggiore capacità di scegliersi alleati e finanche di dare lui le carte.
Ma la Storia gli ha tirato un brutto scherzo e lo ha riportato nell’angolo, nella triste zona d’ombra del silenzio e dell’anonimato. Di punto in bianco Berlusconi è sparito dai media, non rilascia più interviste, non compare in tv: si è zittito, si è autorecluso, praticamente è sparito dentro una delle sue magioni protetto da un cordone di bodyguard e dal famoso cerchio magico (dicono che si sia risposato, ma solo per finta).
La Storia l’ha fregato in quanto il suo buon amico Putin, senza neppure fargli una telefonata, ha scatenato l’inferno sull’Ucraina ed ultimamente è arrivato persino a minacciare l’Italia e il nostro ministro della Difesa Guerrini. Da quando è iniziata questa maledetta guerra e Putin è apparso a tutto l’Occidente per quello che è – un dittatore e uno spietato criminale -, Silvio non ha avuto più il coraggio di mostrarsi o di rilasciare dichiarazioni su quello che in passato aveva definito un “autentico liberale”.
A onor del vero dobbiamo ricordare che Berlusconi non è stato il solo ad essersi invaghito di Putin. Beppe Grillo non diceva che la politica internazionale aveva bisogno di uomini forti come Putin? E che pensare della maglietta con la faccia di Putin che Matteo Salvini nel 2017 portava in giro sulla Piazza Rossa; maglietta che poi il sindaco della cittadina polacca di Przemysl gli ha praticamente sbattuto in faccia?
La morale di tutta questa storia è che il populismo in Italia (e il fascino esercitato dal dittatore populista russo lo dimostra ) è una questione terribilmente seria, perché ormai si è diffuso in tutte le formazioni politiche nate dal tracollo della Prima Repubblica e dalla fine dei tradizionali partiti di massa. Elementi di populismo erano presenti anche in passato nella Democrazia Cristiana come nel partito Socialista e nel partito Comunista; ma erano controbilanciati da una classe dirigente che si era formata sulla tradizione del razionalismo cristiano, liberale e marxista.
Quando poi Mani Pulite smantellò, nel giro di un paio di anni, tutto il sistema partitico nato alla fine della guerra, il giustizialismo prese il sopravvento nell’opinione pubblica e i movimenti populisti di sinistra e di destra si rafforzarono fino al culmine raggiunto con le elezioni del 2018, dove i Cinquestelle e la Lega di Salvini presero il cinquanta per cento dei consensi elettorali; da cui la nascita del governo Giallo-Verde di Giuseppe Conte, primo governo populista vero e proprio, in parte eguagliato dal Conte bis.
Il populismo rimarrà per sempre la caratteristica dominante della politica italiana? E’ la domanda cruciale che pongono Angelo Panebianco e Massimo Teodori alla fine del loro libro “La parabola della Repubblica”(Solferino). E la risposta molto condivisibile che essi stessi si danno è la seguente: “Il fattore Draghi ha per lo meno aperto una strada che potrebbe favorire una diversa evoluzione: una rinascita del “centro”, ossia di una forza politica liberale oggi mancante, senza la quale non resterebbe che la polarizzazione politica, la contrapposizione fra due opposti populismi”.
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