«Voglio essere un uomo di pace, non sono un pacifista!». Quanto volte ho ascoltato padre Ernesto Balducci reclamare questa distinzione apparentemente sofisticata. Invece chiariva atteggiamenti ben diversi. Erigere un fine a categoria inattaccabile e porlo a base assoluta di un’ideologia totale immette in una cattiva strada, ambigua e fuorviante. Battersi per la pace, per creare condizioni che escludano il ricorso alle guerre, non significa negare l’eventualità di impugnare le armi a difesa di un principio nobile e irrefutabile. «Noi non siamo – scrisse con ardore profetico – uomini di pace: immersi negli spessori della necessità, non possiamo esserlo che in parte. Il nostro riscatto è nel volerlo essere il più possibile, anticipando nella fede morale quella che dovrà essere in un modo spontaneo e naturale la vita degli uomini del futuro». La guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina e le sanguinose distruzioni che ne seguono ci dicono che quel futuro è ancora da conquistare, chissà con quali tempi e con quali mezzi. Di fronte alla lacerazione che provoca, occorre chiedere il massimo dell’impegno per far tacere le armi e avviare una trattativa ragionevole. Ma intanto? Non è consentito non scegliere da che parte stare. Ogni conflitto, e tanto più un conflitto di questa portata dalle risonanze e dagli effetti globali, investe tutte e tutti. Obbliga a stare da una parte, non rinunciando a promuovere contatti diplomatici e a ipotizzare urgenti soluzioni d’uscita. Duole vedere che, invece di rinsaldare unità di intenti, il dramma che ci offende accende, proprio a Firenze, manifestazioni in due piazze contrapposte. Da un lato si lanciano addirittura accuse di militarismo contro il governo e decisioni assunte dal Parlamento da una maggioranza larga e inevitabilmente differenziata, dall’altra si ribadiscono realistiche esigenze fondamentali in un momento tragico della storia d’Europa. S’impone rispondere con onestà a una domanda. La guerriglia combattuta dagli ucraini è o no una guerriglia di Resistenza contro una brutale invasione? Se la si considera tale non c’è nulla di assurdo o di anticostituzionale nel consentire aiuti che sovvengano almeno nel limitare i danni già enormi, nell’ostacolare un atto che prosegue una strategia tesa a restaurare un oppressivo dispotismo imperiale. Quanti si rifanno alla forza militare e morale che permeò in Italia la Resistenza dei partigiani e degli alleati per por fine alle atrocità del nazifascismo non possono ignorare che fu doloroso ma necessario affrontare con coraggio armato una terribile condizione. L’ora delle scelte non coincide con i distinguo, pur legittimi, né concede i tempi delle analisi storiche. Per promuovere una diplomazia leale ed una trattativa tra le parti con pari dignità la forza non è disgiungibile dalle volontà. Né una mediazione che conduca a compromessi è percorribile se gli arbitri non hanno a che fare con soggetti vivi, sovrani e storicamente definiti. Sono stati commessi gravi errori: abbattuto il Muro nel 1989, in Europa si credette a portata di mano la costruzione di un continente emancipato da secolari divisioni. Invece di negoziare un sistema di sicurezza nuovo quanto nuova era la situazione che si andava creando, ogni Stato inseguì una sua strategia. E la Nato preferì più una penetrazione soft di espansione che la ricerca di un condiviso sistema di relazioni nel reciproco interesse. Si temette da molti il dominio del pensiero unico anziché far prevalere il teorizzato ruolo di un’Europa «potenza civile», desiderosa di diffondere diritti e eguaglianza. Ci si è trovati davanti alla ripresa di truci nazionalismi dati per morti. Sull’orlo dell’abisso scocca l’ora, non solo per l’Ucraina, di resistere per trattare ed approdare ad una pace durevole. Da uomini e donne di pace.
(articolo già pubblicato dal “Corriere Fiorentino”, 12 marzo 2022, e ripreso con il consenso dell’autore)
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