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luce inerme, irredenta luce
che bruci nel mondo inospitale
tra i solchi scellerati e i cancelli
fissati dalla mente criminale…
nell’angolo cieco o nel vuoto delle stanze
tu sei, o nel pianto del luminìo campale…
il faro ipocrita illumina le bande
ma tu esisti, e cerchi i tuoi fratelli
(Eugenio De Signoribus)
Questa poesia di Eugenio De Signoribus, inclusa nella raccolta Istmi e chiuse (Marsilio, 1996), è un’elegia asciutta e residuale, che rovescia la metaforologia canonica della luce come fonte di verità, grazia e salvezza in un disarmato atto d’accusa. Come in Paul Celan, la luce è qui coatta, è la luce sempre accesa del reparto psichiatrico e quella, anch’essa sempre accesa, dell’accampamento bellico. In questo vasto spazio luminoso – che è luminoso luogo del delitto – il tu cui il poeta si rivolge cerca i propri fratelli. Se il faro illumina le bande, è nell’ombra – che non è luce e nemmeno oscurità – che la social catena della fratellanza insegue Elpis, il demone della speranza. Con questi pochi versi, De Signoribus fa barcollare e infine implodere il mito della chiarezza e della nettezza, aprendosi un varco in un inquieto spazio di libertà fatto non di perspicuità e limpidezza, ma di minaccia e di penombra.
giuliano bianucci
complimenti per la bella iniziativa. C’è bisogno di poesia in un mondo che si avvita su se stesso. Giuliano B.
Massimo Pizzingrilli
Bravo Massimo per l’idea di portare la poesia sul campo aperto del riformismo, la più grande riforma è quella che opera la rivoluzione con la voce della poesia