Non siamo ancora usciti definitivamente dalla pandemia i cui effetti economici e sociali non sono affatto sotto controllo, che è iniziata una guerra che colpisce con inaudita ferocia un Paese libero e sovrano e il popolo ucraino, minacciando gravemente la sicurezza e il territorio dell’Europa. In che mondo viviamo?
Economia e geopolitica si fondono nel più cupo degli scenari, diffondendo ancor più sgomento, confusione e incertezza dopo la pandemia. Le notizie e le immagini di questi giorni, le torve minacce di Putin di annessione territoriale e ricorso alle armi nucleari fanno parte della rappresentazione di un pianeta del tutto diverso da quello finora conosciuto. Ian Bremmer, quando scriveva di un “mondo G-Zero”, intendeva delineare un ordine globale in cui, per la prima volta dopo molti decenni, vi era un vuoto assoluto di leadership e, per questa ragione, si poteva pensare al peggio, come una crisi sanitaria generale, il crollo delle istituzioni finanziarie o “uno Stato nucleare canaglia con un’orribile sorpresa”. Egli, per fortuna, non si limitava a constatare una realtà gravida di pericoli, ma indicava come riprendere le leve del governo e della cooperazione internazionale per indirizzarle al bene comune. Se oggi invita a individuare una via di uscita dall’escalationbellica, fatta di determinazione e saggezza dell’Occidente, bisogna ascoltarlo.
E in questa tragica vicenda ucraina l’Europa come si è mossa?
L’Europa ha risposto con notevole compattezza e sanzioni di eccezionale portata, riuscendo ad aggregare anche la Svizzera, decisiva per quelle finanziarie. Qualcuno ha provato a sminuire questa scelta, sostenendo che le guerre non si fermano con le misure economiche. Eppure, di fronte all’incombere di interessi materiali immediati e di rischi ponderosi per l’economia europea, si è badato a evitare gli errori più seri di smarrimento, pavidità o inerzia. Infatti, l’Unione Europea ha reagito con una mobilitazione di forze inedita e sta adottando interventi sempre più duri, culminati nel blocco selettivo del sistema dei pagamenti internazionali Swift, impedendo a un’ampia porzione del sistema bancario russo di compiere transazioni su scala mondiale.
Ma non c’è il rischio che questo rappresenti un impulso potente allo sviluppo delle criptovalute?
Non sono le sanzioni europee a determinare la diffusione delle criptovalute. Tuttavia, questa guerra insensata e feroce è probabilmente il primo grande conflitto finanziato con il crowfunding attraverso il sistema delle criptovalute. Del resto, l’irruzione delle piattaforme e di Internet è testimoniata dalla guerra in atto anche sul piano cibernetico. Putin, poi, ha interrotto l’iniziativa della Banca Centrale Russa per combattere la moneta virtuale, probabilmente pensando a un rublo digitale e a un collegamento con le attività, largamente diffuse in quella realtà, relative al mining (metodo per generare criptovalute e convalidate le transazioni) e al ransomware (programmi pirata impiegati per acquisire pagamenti dietro minacce).
Da un altro versante, va considerato che il congelamento delle riserve valutarie interne detenute dai Paesi più avanzati sta intaccando fortemente l’impiego di quei 640 miliardi di dollari che servirebbero da provvista per evitare una crisi all’interno della Russia.
Ma qualcuno (Davide Serra) ha scritto che, di queste riserve, 400 miliardi sono depositate in Germania
E su questa debolezza strutturale della finanza russa si basano le azioni di deterrenza europea, che non sono affatto una dichiarazione di guerra, ma tendono a mettere in rilievo l’essenzialità dell’integrazione dell’economia mondiale e la necessità di una pacificazione per permettere lo sviluppo di relazioni normali tra i mercati. Mica si può incidere sull’inflazione e sugli approvvigionamenti energetici e alimentari, attraverso lo strumento improprio della guerra, senza patirne alcuna conseguenza? Il conflitto ha un costo gravissimo in termini di vite umane e distruzioni, che è la prima cosa da bloccare, ma incide fortemente anche su aspetti cruciali dell’economia, indebolendo tutti: perciò, bisogna tornare a dialogare, facendo tacere subito le armi. Questo isolamento finanziario sta già comportando perdite esorbitanti per la Russia, che vede cadere a picco il rublo, chiudere la borsa, raddoppiare i tassi d’interesse, tagliare drasticamente il ratingdel debito della Federazione e fuggire i capitali. Il conflitto non è nell’interesse neppure di quella nazione.
Quindi L’Europa in questa crisi ha superato quei limiti tante volte evidenziati?
Vi sarà un tempo per approfondire e valutare gli errori passati e le divisioni dell’Europa, come del resto dell’Occidente, ma nella sfida attuale sta tornando a manifestarsi un protagonismo politico ed economico di questa parte del mondo, in stretta connessione con i suoi alleati, unico deterrente alla pervicace volontà espansiva e di scontro bellico di Putin. Oltre che un modo chiaro per mostrare il valore dei principi di libertà, democrazia e accoglienza dell’Europa, contro i quali, oltre che l’Ucraina e il suo popolo, si è iniziata questa guerra.
Quali conseguenze verranno sull’economia europea e mondiale dalla guerra e dalle sanzioni?
Le conseguenze economiche della guerra in Ucraina si materializzeranno in tutto il loro rilievo lentamente, come nota Jason Furman, anche se i mercati finanziari hanno reagito prontamente, con la discesa del principale indice dei titoli azionari (MSCI ACWI) al livello più basso in un anno, l’aumento del prezzo del petrolio a oltre 100 dollari al barile e l’incremento iniziale dei prezzi del gas naturale europeo di quasi il 70%. L’economia mondiale e, soprattutto, quella europea si troverà ad affrontare tre problemi di fondo, complicati dall’offensiva bellica, che inasprisce la crisi energetica, acuisce l’inflazione e riduce la disponibilità di prodotti alimentari, a cominciare da grano, mais e soia. In ogni caso, secondo Furman, “a lungo termine, la Russia sarà probabilmente il più grande perdente economico del conflitto”.
A sua volta, Nouriel Roubini, è convinto che quattro nuove potenze (Cina, Russia, Iran e Corea del Nord) stiano conducendo un attacco al lungo predominio degli Stati Uniti e all’ordine internazionale guidato dall’Occidente dopo la seconda guerra mondiale.
Ma Roubini ha riscoperto l’Impero del male evocato da Ronald Reagan o mi sbaglio?
Non credo affatto. Queste categorie che generalizzano tutto sono un errore, nel bene e nel male. L’ossessione imperiale di Putin non va confusa con l’anima di un grande popolo, che sta cominciando a scendere coraggiosamente in piazza e a manifestare le proprie idee a favore della pace, della libertà e della solidarietà internazionale. Roubini, che esprime sovente preoccupazioni e guarda ai rischi dell’economia reale, si è limitato a sollevare un tema di fondo, relativo ai profondi cambiamenti della geopolitica globale. Si può essere d’accordo o meno con le sue conclusioni, ma è indubbio che i Paesi occidentali e l’Europa, in particolare, debbano tornare a occuparsi di questi scenari, esercitando il ruolo di una “forza tranquilla”, determinata e consapevole, in grado di dialogare con tutti, che è la loro principale caratteristica.
Ma riprendendo il filo del discorso, quale scenario ci attende?
Roubini sostiene che, in questo contesto, è cominciata “una depressione geopolitica che avrà enormi effetti economici e finanziari ben oltre l’Ucraina” e che potrebbe sfociare in una recessione stagflazionistica generale. Roubini mette in guardia, appunto, contro il rischio che mercati e analisti politici sottovalutino le implicazioni di un ribaltamento geopolitico, commettendo lo stesso drammatico errore di quando quasi nessuno si rese conto dell’approssimarsi del primo conflitto mondiale. Speriamo, dunque, di non dover ripercorrere i ricordi dolorosi di Stefan Zweig, quando invocava, al cospetto delle lacerazioni della guerra, “il mondo di ieri”. L’idea della libertà e della collaborazione, nel periodo tra le due conflagrazioni globali, si frantumava e spariva dalla scena, dando spazio al ripiegamento in dittature spietate. Ora, al contrario, se l’Europa continua a svolgere il suo ruolo, può essere interprete fondamentale di un mondo del domani migliore.
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