In questi giorni, in cui la cronaca politica è inondata dalle scelte del progetto populista, che nel nostro Paese si traduce in azione Governo, in Italia si stanno svolgendo, anche se nel quasi totale disinteresse dei più, le fasi preliminari, in vista del Congresso Nazionale del Partito Democratico. Si è iniziato con il voto tra gli iscritti per esprimere una scelta tra sei candidati alla carica di segretario nazionale. Una prima scrematura è servita a selezionare i primi tre: il più votato è risultato il Governatore della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, al secondo porto si è classificato il segretario uscente, Maurizio Martina, in tandem con l’onorevole Matteo Richetti, al terzo l’ex candidato sindaco al Comune di Roma, Roberto Giachetti, in ticket con la giovane deputata, Anna Ascani. Sono loro che il prossimo 3 marzo si sfideranno per le Primarie. Fuori gioco gli altri candidati: Francesco Boccia, Dario Corallo e Maria Saladino. Per la cronaca Nicola Zingaretti ha raccolto: 88.918 voti, pari al 47,38 %; Maurizio Martina: 67.749 preferenze pari al 36,10 % dei voti e infine Roberto Giachetti: 20.887 voti pari all’ 11,13% degli iscritti votanti. Francesco Boccia aveva invece ottenuto 7.537 voti pari al 4,02%, Maria Saladino 1315 voti e lo 0,70%, Dario Corallo 1.266 voti pari allo 0,67%. Un risultato che, al momento, ribalta le gerarchie, rispetto al recente passato, dato che Zingaretti si candida (non si danna certo a smentirlo) a mettersi alle spalle i governi di centrosinistra, mentre Martina si presenta come il candidato della mediazione tra le due anime del Pd, quella riformista e quella della conservazione. Giachetti, una candidatura sorpresa dell’ultimo secondo (ci sono stati anche dei timidi tentativi a mettere in discussione le firme raccolte in un paio di giorni), che si è presentato come il baluardo contro la riammissione degli scissionisti della cosiddetta “ditta”, i cui principali esponenti sono Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza, confluiti nella già disciolta Leu, il cartello elettorale della sinistra cosiddetta radicale. Giachetti ha anche pubblicamente dichiarato di opporsi a qualsiasi ipotesi di futuro accordo del Pd con il M5s. Il 3 Marzo come detto ci saranno le primarie, una consultazione elettorale autogestita dal Partito Democratico, cui sono ammessi tutti gli aventi diritto al voto, con l’aggiunta dei sedicenni e i diciassettenni, purchè registrati in un apposito portale. La condizione richiesta è quella di dichiararsi potenziali elettori del PD. Qui i candidati ripartiranno da zero, con una platea senz’altro diversa e tutto si potrebbe ribaltare. È ciò che si augura soprattutto Giachetti, mentre Zingaretti parla già come segretario in pectore. Una lotta intestina di cui probabilmente non c’era bisogno e certamente non appassiona. Zingaretti si è attestato quale esponente dell’ala sinistra del partito, dichiarando: “Dobbiamo avviare una ricollocazione politica e sociale della sinistra, riacquistando la capacità di stare dentro alla società e scommettendo su un grande movimento popolare unitario”; Martina, ha marcato la sua vocazione di aspirante mediatore: “Mi candido e ci candidiamo al plurale, con l’idea di portare al Pd una squadra di uomini e donne che hanno voglia di lavorare insieme e pensare al futuro dell’Italia, investendo sulla partecipazione”. Meno politichese appare il linguaggio di Giachetti, che rivendica l’azione di Governo e ammonisce i colleghi di partito: “per cinque anni abbiamo esibito un racconto delle cose ad noi realizzate peggiore di quello fatto dai nostri avversari”. Dicevamo che si tratta di un dibattito che non appassiona nemmeno gli iscritti, dato che la percentuale dei votanti ha fatto registrare un vero e proprio crollo, rispetto alla consultazione precedente, che incoronò Matteo Renzi con il 70% dei consensi, rispetto al 25% ottenuto da Orlando (il primo ex Ministro del Governo guidato da Renzi a mettersi di traverso) e al 5% raccolto dal Governatore della Puglia, Michele Emiliano. Tutto ciò accadde i primi giorni di aprile 2017, ma pare un’era geologica: nel frattempo si è registrata una serie di sconfitte del PD alle elezioni amministrative, ma soprattutto alle Politiche del 4 marzo 2018, che hanno fatto registrare uno striminzito 18,7% per il Partito Democratico, che comunque si è classificato come seconda forza politica italiana, staccata nettamente dalla prima che, a sorpresa come dimensioni, è risultata il M5s con il 32,7%. Adesso siamo ad una sorta di resa dei conti, ma il PD agli occhi della gente, ancor più che tra gli addetti ai lavori e gli “esperti”, appare essere diviso tra due posizioni probabilmente inconciliabili: il riformismo, inaugurato dalla premiership di Matteo Renzi e confermato dai Governi a guida Gentiloni, oppure un riavvicinamento alla sinistra radicale e alle posizioni della Cgil, la cui guida è passata da poco a Maurizio Landini, delfino (ma non troppo, a giudicare dalle prime scelte da segretario nazionale) di Susanna Camusso, strenua oppositrice del JobsAct e altre riforme sul lavoro attuate dal Governo Renzi.
Stefano Baccelli
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