L’Italia avrà o no il suo “Freedom Day”? Ossia la fine di tutte le restrizioni imposte e i protocolli sanitari di ogni tipo. In altre parole: girare per strada, andare nei posti e non vedere più niente che faccia pensare alla pandemia. E quando? Si tratterebbe di un booster di grande fiducia, enorme ottimismo e rappresenterebbe un volano incredibile per una vera ripresa della vita economica, quindi della ricchezza privata e della ricchezza pubblica. Ma è quello che la maggioranza vorrebbe? Forse per opportunità o ragioni psicologiche diverse e soggettive, no.
Non si può infatti escludere che la maggioranza gradisca invece il conforto, la sicurezza e l’orizzonte di senso offertole da tangibili restrizioni che potrebbero rimanere – perché no? – a tempo indeterminato. Del resto, sarebbe un sentimento umano e comprensibile dopo lockdown durissimi e due anni così. Se la massima precauzione è valsa nel passato, perché non dovrebbe valere come prevenzione?
Si potrebbe obbiettare che adesso ci sono vaccini di successo e altamente funzionanti contro ogni variante fin qui apparsa. D’altra parte, l’aver lasciato restrizioni anche nel 2022 potrebbe aver ingenerato plausibilmente la convinzione in diverse persone che i vaccini da soli non bastino a proteggerli. Provate a pensare ai vostri amici: probabilmente non pochi di loro si diranno preoccupati del covid per loro stessi nonostante siano vaccinati. Una paura antiscientifica e infondata, essendo infinitesimale la possibilità per un vaccinato di morire di covid o di ammalarsi seriamente. Queste persone, comunque, per paura o per una sorta di umana ed atavica scaramanzia, potrebbero addirittura dirsi apertamente a favore di restrizioni “finché sarà necessario”. E anche loro giustamente sono cittadini elettori.
Potrebbero poi esserci anche altre ragioni a favore del mantenimento delle restrizioni, ma di tipo “ideale”: in questi due anni sono stati diversi i tentativi di dare un senso al Covid (“andrà tutto bene”, “ne usciremo migliori”), quasi che la pandemia potesse essere un’ “occasione” per risolvere vecchie questioni, dare maggiore potere allo stato per risolvere i problemi, migliorare il senso civico delle persone attraverso il rispetto delle “regole”, cambiare le abitudini per tutelare l’ambiente vivendo in modo più sobrio e spartano, oppure, più pragmaticamente e comprensibilmente, evitare il rientro in ufficio per i pendolari tramite il lavoro a distanza.
D’altra parte, smart working a chi piace a parte, qualsiasi cosa era meglio nel 2019. Infatti, per fare il “mondo nuovo”, magari sarebbe opportuno ripassare dal vecchio: le finanze pubbliche e private erano migliori, la gente si guardava in faccia e si dava la mano, i bambini stavano senza mascherina e avevano una vita scolastica normale. Poi arrivò il lungo incubo. Uno sconvolgimento anche psicologico che non poteva non impattare fortemente anche sulla politica, i suoi simboli e le sue linee di frattura. Ma oltre al “come” e al “se”, magari occorre chiedersi “quanto” la domanda e le preferenze siano cambiate. Potrebbe infatti essere utile chiedersi quanto le necessarie politiche anticovid siano state intense nei vari sistemi politici e quanto queste abbiano cambiato il tipo di domanda di rappresentanza nei diversi sistemi politici. Lo straordinario successo dei vaccini ha ripristinato le preferenze e le priorità di prima? O la guerra al covid a qualsiasi costo è rimasta la prima priorità nella gran parte degli elettori? Sarà tema per sondaggisti e istituti di ricerca ovviamente.
Come è naturale, anche su un tema cruciale e preminente come quello del vero ritorno alla normalità, la politica si farà influenzare dal basso da quella che ora è la domanda che due anni di restrizioni di una certa intensità hanno prodotto. E i rappresentanti prestano ovviamente massima attenzione a ciò che la gente sente, al di là delle varie e diverse interpretazioni scientifiche presenti nell’arena del dibattito pubblico.
Assumiamo ora che sia ancora presente una maggioranza della pubblica opinione in favore di restrizioni, cioè di rimandare a data da destinarsi la convivenza con il covid, nonostante il trionfo della campagna vaccinale. E’ lecito chiedersi a questo punto: sarebbe eticamente giusto che una maggioranza possa imporre delle qualsiasi restrizioni ad una minoranza? Si tratta di un tema che speriamo sia oggetto di pacato approfondimento in sede parlamentare, così come di analisi nel mondo intellettuale delle scienze sociali. Detto questo, i leader si stanno comprensibilmente già muovendo. In Italia parrebbe che coloro che hanno avuto fin dall’inizio approcci particolarmente “chiusuristi”, seguendo le previsioni più pessimistiche degli scienziati, intendano posizionarsi sul mantenimento di diversi obblighi e meccanismi d’emergenza, mentre i leader che in passato hanno apertamente parlato di esagerazioni delle restrizioni, financo di “terrorismo psicologico”, appoggiandosi su altre analisi del mondo scientifico, si stiano posizionando a favore del ritorno della vera normalità. La cosa interessante è che questa nuova e fondamentale frattura politica attraversa i partiti stessi e i loro elettorati anche al loro interno, sia pure in modo diverso. Data la velocità della politica odierna, tutto ciò potrebbe cambiare. E ciò che fanno gli altri stati nel mondo potrà influenzare anche noi, a cominciare dagli Stati Uniti e le grandi democrazie europee, UK, Germania, Francia.
In ogni caso, abbiamo visto quanto vivere sotto il peso di restrizioni covid, anche senza confinamento, influenzi terribilmente la nostra routine, i nostri gesti e in nostri pensieri, il nostro tempo, le nostre relazioni interpersonali, la scuola dei nostri figli e nipoti, i nostri comportamenti. E l’economia ne risente. Plausibilmente però, una forma di stato democratica potrebbe comunque andare avanti nella nuova normalità e sotto la spada di Damocle di restrizioni per moltissimo tempo. Certo il prezzo sarebbe elevatissimo.
Potrebbe quindi essere saggio fondare prossime decisioni sui dati che abbiamo già, guardare a chi già è tornato alla normalità, e cercare di apprendere se ci siano inequivocabili evidenze nelle democrazie che i modelli severi di politica anticovid abbiano mitigato l’impatto sul sistema sanitario della malattia, più di quelli leggeri in questi due anni. Sembrerebbe di no, ed anche solo in termini di indicatori di mortalità in eccesso. E non parliamo solo del caso di Stoccolma, ma di altri stati e metropoli del nord Europa e americani dove, ad esempio, praticamente non si è mai fatto ricorso ai lockdown e alle mascherine. Questo dibattito non solo servirebbe a trarre utili indicazioni per il futuro, ma pure a dare conto al pubblico di quanto richiesto in termini di sacrifici e risorse di ogni tipo e a depotenziare atteggiamenti antiscientifici di qualsiasi genere.
E comunque ancora occorrerebbe sempre ricordarsi di un piccolo dettaglio: il successo schiacciante della cavalleria dei vaccini nella guerra al virus. I vaccini hanno rappresentato uno dei traguardi scientifici più incredibili mai raggiunti dall’umanità. L’unico elemento forse “epico” nella cupa narrativa del covid, oltre all’eroico e tragico sacrificio dei sanitari, è stato proprio l’arrivo dei vaccini. Nemmeno le varianti li hanno bucati.
E allora perché non dovremmo tornare subito alla normalità? Perché occorre “gradualità”? Si giustifica ancora la “massima precauzione”? Che evidenze ci sono a favore dei risultati empirici dei modelli fondati sulla “massima precauzione”? In diversi stati europei e americani, la vecchia normalità è tornata davvero. Che cosa abbiamo noi meno di loro? Perché anche noi non dovremmo poter dimostrare resilienza e convivere con il virus a questo punto? Forse, semplicemente, perché non lo vogliamo. O almeno non lo vuole la maggioranza dei rappresentanti e dei rappresentati. Ma, a questo punto, può il solo consenso maggioritario giustificare restrizioni permanenti?
Mi metto nei panni di un politico e comprendo quanto potrebbe essere difficile ignorare questa domanda di restrizioni senza scadenza e di politiche volte all’obbiettivo del “contagio zero”. Però attenzione a giocare sulle libertà fondamentali solo per il consenso. Gli effetti sarebbero imprevedibili naturalmente. Tutt’ora non possiamo certo considerarci tornati nella società aperta e liberale precedente. Ricordiamoci sempre che solo una piccola percentuale dell’umanità ha conosciuto la vita in democrazie liberali mature. Nulla vieterebbe di andare verso inediti sistemi diversamente democratici, costantemente sotto la spada di Damocle delle restrizioni sanitarie e del distanziamento sociale ancora per molti anni a venire e ciò necessariamente attraverso un crescente peso dello Stato nella vita individuale.
Personalmente, come spero e credo anche i più, tornare a quella buona vecchia normalità non mi dispiacerebbe affatto. Mi pare però che stia passando così tanto tempo che molte persone, per un legittimo spirito di adattamento e fisiologico conformismo, si stiano abituando a questa nuova normalità in via di definizione, come se i vaccini non esistessero.
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