14 febbraio 1986, S. Valentino: esce il singolo del gruppo svedese Europe “ The Final Countdown”, un successo strepitoso destinato a durare nel tempo fino a divenire un evergreen.
Il conto alla rovescia ultimo, definitivo cominciava ma come tutte le profezie non indicava come e quando si sarebbe realizzata, quanto mancava all’ora zero, per chi e quando sarebbe suonata la campana.
Mattina, 28 aprile dello stesso anno: nell’impianto nucleare di Formarsk in Svezia gli apparecchi segnalano un improvviso picco nella radioattività, la cui origine viene subito individuata dai controlli nelle scarpe calzate da un tecnico che dall’esterno ha portato dentro l’impianto il pulviscolo radioattivo trasportato dai venti da Chernobyl in tutta Europa, dalla Scandinavia fino all’Italia.
A Chernobyl, orgoglio della tecnologia nucleare sovietica, un concatenarsi di eventi avversi ed errori umani – insieme a carenze di progettazione e costruzione – aveva causato ben due giorni prima, alle ore 1:23:54 (oralocale) del 26 aprile, l’esplosione del reattore numero 4.
Per due giorni interi era stato tenuto nascosto al mondo che l’inferno si era materializzato sulla terra, che le fiamme della Geenna ardevano inestinguibili: dopo l’allarme lanciato dalla Svezia, le autorità sovietiche facevano sapere prima all’Ambasciata di Svezia a Mosca di non avere notizia “di incidenti in centrali nucleari sovietiche”, poi tramite la Tass si ammetteva l’incidente: “Il danneggiamento di un reattore ha provocato oggi un incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, nella regione di Kiev, in Ucraina. Si sta dando aiuto a coloro che sono stati colpiti”.
Vse pod kontrolem, tutto è sotto controllo, così aveva dichiarato Mikhail Gorbaciov, segretario generale del Pcus, che appena qualche mese prima aveva ufficialmente avviato la politica di cambiamento in nome della glasnost(trasparenza) e della perestroijka(ricostruzione).
Ottobre 1986:cominciava il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan invaso nel 1979, ritiro che si concludeva nel 1989, l’anno del crollo del muro di Berlino: come scivolando su un piano inclinato inarrestabile arriva la fine dell’URSS, irriformabile nonostante tutti gli sforzi di Gorbaciov.
L’URSS si dissolveva come un castello di carte dopo il fallito golpe del 1991: un testimone diretto, Tiziano Terzani, in Buona notte, signor Lenin ha raccontato il camaleontismo dei dirigenti locali che, abbassata la bandiera con la falce ed il martello, innalzavano antiche bandiere mentre le antiche questioni nazionali, compresse con la violenza, riemergevano impetuose contro le minoranze russe così come si rinfocolavano tragici conflitti etnici e religiosi, come ci hanno raccontato le drammatiche testimonianze. riportate da Svetlana Aleksievicin Tempo di Seconda mano.
1991, 1 dicembre: unreferendum sanciva l’indipendenza dell’Ucraina, una separazione particolarmente sofferta per la Russia che perdeva là dove tutto aveva inizio nel IX secolo, una separazione che arriverà anche allo scontro armato per la questione della Crimea e del Donbass.
Gli antichi conflitti tra Russia ed Ucraina si collocano nelle tormentate vicende di quella Terra di Mezzo perennemente contesa tra le potenze egemoni, prima Russia ed Impero austroungarico e poi Reich tedesco, il mantice di una fisarmonica che ora si chiude schiacciando tutto quello che sta in mezzo e che ora si apre dando respiro.
Per questo è sbagliato leggere le vicende contemporanee dei paesi di questa Terra, dalle repubbliche baltiche all’Ungheria all’Ucraina, dimenticando che sono state merce di scambio nel secolo breve delle contrapposte politiche di potenza di Germania ed URSS che se le spartivano, aggiungevano o toglievano territori, generando così lacerazioni e risentimenti che hanno resistito all’oppressione dei regimi per riesplodere oggi con virulenza e che un Occidente dalla cattiva coscienza guarda con disprezzo.
E’ questo il caso dell’Ucraina: basta guardare una cartina storica per vedere quante volte è cambiata la geografia di quella nazione, incorporata con la forza delle armi nell’Unione Sovietica, un paese che ha nella sua memoria collettiva Holodomor.
A differenza del genocidio armeno, ormai acquisito stabilmente nella coscienza dell’occidente, l’Holodomor, il genocidio ucraino con dieci milioni di vittime delle politiche di Stalin, è ancora sostanzialmente ignorato nonostante il 23 ottobre 2008il Parlamento europeoabbia adottato una risoluzione nella quale ha riconosciuto l’ Holodomor come un crimine contro l’umanità.
Onore ai liquidatori
Attraverso la forza delle immagini e l’essenzialità dei testi, Simone Fagioli con questo suo lavoro ci rende partecipi di una storia le cui fiamme ancora ardono, ora alte ora trattenute sotto le ceneri.
A spengere le fiamme di Chernobyl furono mandati, senza consapevolezza di quel che era accaduto, senza piena coscienza dei pericoli, senza protezioni adeguate i liquidatori, seicentomila persone il cui compito era “liquidare” la portata distruttiva delle scorie radioattive.
Ci ha ricordato Svetlana Aleksievicin Preghiera per Chernobyl che tra di loro c’erano vigili del fuoco subito pronti a fare il proprio dovere ( come quelli che accorsero alle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001), volontari mossi dall’orgoglio di appartenere ad un grande popolo e ad un grande paese, comandati che non potevano rifiutare l’incarico.
Il loro sacrificio ha riscattato una parola che richiamava gli anni del Grande Terrore staliniano , quando compito dei liquidatori della NKVD, la polizia politica, era liberare anche fisicamente la patria del socialismo realizzato dalle “scorie” qualunque opposizione e voce critica.
Ai liquidatori di Chernobyl è dedicato questo volume.
Pubblicato in Simone Fagioli “Polvere. Viaggio a Chernobyl, Pripyat, Duga 3, Kiev. Sulle tracce di un impero dissolto” Settegiorni editore, 2017
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