La Spagna sembra uscita dai radar dei media, eppure il prossimo 28 aprile si vota per le elezioni politiche ma a nessuno interessa più di tanto: sono lontani i giorni dell’attenzione spasmodica alla vicenda catalana, al conflitto tra indipendentisti e governo centrale ed all’interno della stessa Catalogna tra secessionisti e sostenitori dell’unità nazionale.
Il contesto storico
Il paese, dopo la caduta del regime franchista, aveva goduto di invidiabile stabilità politica in virtù di un sostanziale bipartitismo che aveva assicurato – dopo la sparizione dell’UCD di Adolfo Suarez – l’alternanza tra i socialisti, il PSOE, guidato da Felipe Gonzales, ed il Partito Popolare con José María Aznar: nei 41 anni dal 1977 al 2018 in Spagna si contano 6 capi di governo, in Italia sono 24.
L’attentato alle stazioni ferroviarie di Madrid dell’11 marzo 2004 con 191 morti e 1898 feriti ad opera dei terroristi islamici di Al Qaeda nell’imminenza delle elezioni per il rinnovo delle Cortes fu, nell’immediato e strumentalmente a fini di politica interna, attribuito da Aznar ai terroristi baschi, l’ETA: l’elettorato punì duramente questo comportamento e contro ogni previsione vinse il segretario del PSOE José Luis Rodríguez Zapatero.
Con Zapatero sono state introdotte riforme in chiave laica della società spagnola e sul piano economico sostegni alle famiglie e rafforzamento delle riforme che assicuravano flessibilità del mercato del lavoro ma il governo fallì nella trattativa con l’ETA per la cessazione degli attentati terroristici: solo nel 2011 questa cessazione sarà annunciata ( lo scioglimento dell’ETA avverrà nel 2017) ma non servirà ad assicurare al PSOE la vittoria nelle elezioni anticipate del 20 novembre 2011. Zapatero, che non si ricandida, era stato costretto ad attuare, di fronte alla crisi economica del 2007/2008 con i conti pubblici ad un deficit a due cifre, misure di austerità per ridurre il deficit e realizzare riforme strutturali come quella del mercato del lavoro (2010) e delle pensioni (2011), e questo aveva messo
In crisi il rapporto con i sindacati.
Alle elezioni del 2011 torna al potere il Partito Popolare di Mariano Rajoy, avvantaggiato dal deterioramento dell’economia nazionale e dalla cattiva gestione del governo che si accompagnava ad un crescente scontento sociale.
Con Rajoy la Spagna ha superato la grave crisi finanziaria internazionale e rilanciato l’economia del paese: nel 2017 il PIL spagnolo era già risalito del 2,8 per cento sopra il livello pre-crisi del 2007 (quello italiano presentava ancora un ritardo di 5,2 punti percentuali rispetto allo stesso anno): a fine 2018 il rapporto debito pubblico/PIL in Spagna è al 97,2% contro il 132,1% dell’Italia, e la Spagna registra uno spread, rispetto al marco tedesco, di 117 punti contro i 256 dell’Italia (valori al 20 aprile 2019).
Mariano Rajoy ha tenuto testa alla Catalogna affermando di fatto e di diritto l’unità nazionale (gli indipendentisti alle elezioni del 2012 non hanno il consenso della maggioranza degli elettori fermandosi di poco al di sopra del 47%) ma non è riuscito invece ad arginare i gravissimi scandali di corruzione interni al Partito popolare con le condanne di esponenti anche di rilievo del suo partito, tra i quali alcuni suoi fedelissimi.
Ma già le elezioni politiche del 2016 avevano mostrato che il bipartitismo di fatto era già finito: i Popolari restavano il primo partito con il 33% dei voti e 137 seggi su 350, mentre ai socialisti andavano 85 seggi: emergono i nuovi protagonisti della politica, Podemos che si aggiudica 71 seggi (21%) ed i centristi di Ciudadanos cui va il 13% con 32 seggi.
La situazione politica attuale
Testimonianza dell’avvenuto cambiamento del quadro politico è l’approvazione della mozione di sfiducia presentata da Pedro Sanchez, nuovo leader del PSOE (dove ha sconfitto l’ala più moderata del partito con base nell’Andalusia) che costituisce un nuovo governo di minoranza (sostenuto da Podemos e dai nazionalisti baschi e catalani), caduto a febbraio di quest’anno per la mancata approvazione del bilancio.
Da qui la convocazione di nuove elezioni per l’elezione delle Cortes Generales, costituite da
- Camera bassa formato da 350 membri eletti in ogni provinciaa ciascuna delle quali spettano di diritto due parlamentari ( salvo Ceuta e Melilla che eleggono un solo deputato ciascuna) per un totale di 102 seggi mentre gli altri 248 sono attribuiti in modo proporzionale alla popolazione
- Senato formato di 266 senatori di cui 208 eletti direttamente dalle province e 58 indirettamente dalle Comunità autonome (in sostanza le regioni, 17 in totale)
Il PSOEsi presenta all’elettorato spagnolo con un programma imperniato su significative misure di welfare per lottare contro l’esclusione sociale e la disuguaglianza: sulla questione catalana, è favorevole al dialogo con gli indipendentisti, escludendo comunque il referendum sull’autodeterminazione.
Podemos, un esperimento dipopulismo democratico sviluppato tra gli indignados e mitizzato dai soliti benpensanti di sinistra borghese, ha rappresentato una sfida all’egemonia socialista sulla sinistra spagnola, fin quasi a conquistarla senza tuttavia riuscirci pur avendo un forte impatto sul PSOE, ed in particolare su Sanchez, spingendolo ad adottare la narrativa podemitaper superare senza troppi danni i rapidi mutamenti nella società spagnola. Vicende interne alla leadership hanno per ora fermato il volo di questa nuova formazione politica.
Ciudadanos,fondata nel 2006 in Catalogna come Ciutadans(“Cittadini”), è considerata da molti un “Podemosdi destra”, di cui condivide la giovane età dei capi, la critica alla “vecchia politica”, e le posizioni liberal-centriste, senza dichiararsi né di destra né di sinistra: con il 13,4% ottenuto alle elezioni del 2015-6, Rivera non riesce a sfondare. Ciudadanosvota con il PSOE ed il PP per la sospensione dell’autonomia regionale della Catalogna, l’incarcerazione ed il rinvio a processo degli indipendentisti accusati di ribellione e disobbedienza: il 21 dicembre alle elezioni in Catalogna ottiene il 25,4%, un voto contro il secessionismo catalano.
Il Partito Popolare anch’esso guidato da un giovane, Pablo Casado, si è spostato a destra, contrario ad alcuni cambiamenti in corso (uguaglianza di genere, integrazione degli immigrati) o in potenza (federalismo e nuove regole istituzionali, politiche sociali più inclusive).
Una sorpresa alle elezioni regionali in Andalusia è stato il successo di Voxche ha ottenuto l’11% dei voti: in una regione tradizionalmente di sinistra, il PSOE è stato mandato all’opposizione da un tripartito di destra Vox–PP–Ciudadanos.
Il partito, fondato da Santiago Abascal, ex iscritto al PP e discendente da una famiglia di amministratori locali della destra spagnola e della dittatura nei Paesi Baschi, ha attirato militanti ed amministratori del Partito Popolare.
Ha assunto in tempi recenti un orientamento posizioni di ispirazione trumpiana: contro l’aborto, a favore dell’espulsione degli immigrati privi di documenti e disposto ad aprire dibattiti nazionali sul femminismo, la violenza di genere, il possesso di armi.
I Sondaggi
La legge elettorale penalizza la troppa competizione: i partiti di destra sono tre mentre quelli di sinistra sono due ma nessuno dei cinque è forte abbastanza da governare da solo anche se il partito socialista può sperare, per la concorrenza indebolita di Podemose per una destra schiacciata su posizioni radicali, di essere il primo partito con un certo distacco sui concorrenti.
I sondaggi danno il PSOE tra il 27,1% e il 31,5% seguito dal Partito Popolare tra il 16,7% e il 24,1%, poi da Ciudadanostra il 13,5% e il 16,4% e da Podemostra l’11,4% e il 14,4%: rilevante appare è il progresso di Vox che potrebbe conquistare più del 10% dei voti: occorre aver presente che assieme ai partiti nazionali ci sono i diversi partiti regionali, con le loro forze specifiche nelle varie Comunità .
Gli sbocchi possibili? Con il successo del PSOE Sánchez potrebbe costituire quel governo che la sinistra tradizionale di tutta Europa sogna, quel modello portoghese con i socialisti in coalizione o collaborazione con la sinistra radicale, con l’appoggio dei nazionalisti baschi e catalani.
Sánchez ha anche una opzione centrista proponendo l’alleanza a Ciudadanos: avrebbe vantaggi tattici con lo sfaldamento della coalizione avversaria, presidierebbe il centro dello spettro politico come arbitro della politica spagnola, liberandosi da rivendicazioni radicali e dagli alleati catalani che il resto della Spagna detesta. L’alleanza con Ciudadanos assicurerebbe il rispetto delle politiche europee. E darebbe un segno di ricucitura con quei pilastri della politica spagnola del passato scossi negli ultimi anni.
Tre strade in sintesi davanti agli spagnoli: una verso Lisbona, una verso Washington l’altra verso Bruxelles
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