Si sente parlare spesso di Unione europea e della sua riforma come se si trattasse di realizzare un qualche preparato in laboratorio e non si dovesse operare in un mondo che muta incessantemente costringendo alla continua ricerca di nuovi equilibri per stare in piedi. Il contesto è fondamentale, ignorarlo porta ad errori gravissimi di valutazione e di strategia.
Così son procedute sinora le nostre interviste così con questa intervista . Alla caduta del muro di Berlino, qualcuno parlò di fine della storia, ma la Storia ebbe subito a riprendersi la sua rivincita.
Qual è il contesto in cui si collocano a inizi anni Novanta alcuni snodi decisivi nella vita dell’Unione (Maastricht, SME)?
Inizio ricordando alcuni eventi di quarant’anni fa, che spesso si dimentica, ma che invece inaugurarono la fine della guerra fredda ed il ruolo degli USA nella gestione delle crisi internazionali senza più il confronto con l’URSS. Si tratta della guerra, la prima guerra del Golfo (1991) e del fallito colpo di stato a Mosca nell’agosto dello stesso anno. Quando il capo del KGB, il Ministro degli Interni e della Difesa, il vicepresidente dell’URSS tentarono di fermare il corso delle riforme e la crisi dell’impero sovietico chiedendo a Gorbaciov di formare un nuovo governo sovietico, la risposta popolare guidata da Eltsin, arrivò ad assediare il Parlamento. Gorbaciov rifiutò di formare un nuovo governo e le truppe si rifiutarono di sparare sulla folla. Non ci fu bisogno di spargimento di sangue. Era la dimostrazione che il regime comunista era irriformabile. La maggioranza dei cittadini delle città e di Mosca considerava il regime ed il partito comunista autoritario, corrotto e inefficiente. Intanto le rivoluzioni nazionali, senza spargimento di sangue, tra il 1989 ed il 1991 posero fine ai regimi comunisti in Europa Orientale. Di fatto il comunismo cadeva per disgregazione ed implosione interna.
Con questo abbiamo sistemato il fronte orientale. Ma nel Mediterraneo e nel Medio Oriente mi pare si siano rumori di guerra vera. Che succede là?
La prima “guerra del golfo” scoppiò nel quadrante mediorientale, vero vulcano, dopo i Balcani ed il Sud est asiatico, di sommovimenti e conflitti sanguinosi.
Dopo la terribile guerra contro l’Iran, dominato dall’integralismo sciita, nonostante gli aiuti profusi da USA ed URSS in funzione anti-khomeinista, Saddam Hussein, vittorioso ma pieno di ambizioni e di debiti da pagare, volse le sue truppe alla conquista del Kuwait, che non solo era ricco di petrolio, ma aveva prestato una montagna di soldi al dittatore iracheno. Il Kuwait era uno sceiccato indipendente dal 1961, ma in realtà sotto la protezione occidentale per la sua posizione strategica nell’area cruciale del golfo del petrolio. L’aggressione di Saddam sembrava ingiustificata e pericolosa per il controllo di un’area strategica, tanto è vero che l’Iraq riscosse la condanna del mondo arabo con l’eccezione della Libia e dell’OLP. Si noti bene che questo fatto dimostrava come fosse in corso un processo di radicalizzazione e nazionalizzazione in un mondo islamico sempre più diviso e conflittuale per antiche e nuove fratture religiose e politiche. Come era accaduto nell’Europa cristiana, anche l’Islam conosceva ormai processi di risveglio politico e religioso., che però non trovavano la via della democrazia nazionale per la ragione che, sia nella versione sunnita che sciita, l’Islam non poteva separare la politica dalla religione. La modernizzazione del mondo islamico passava per le dittature militari e nazionali, alle quali i fondamentalisti si rivoltavano.
Il presidente americano Bush senior scelse di rispettare il ruolo dell’ONU, ma forzò la mano con una campagna di comunicazione ben orchestrata, finalizzata a presentare Saddam Hussein come un “mostro” . La guerra, dopo un ultimatum (gennaio 1991), fu autorizzata dall’ONU ma sostenuta principalmente dall’esercito americano e dalle basi in Arabia Saudita. Reparti inglesi, francesi, italiani e sauditi si unirono agli USA che bombardarono Bagdad per due mesi, provocando centinaia di migliaia di vittime civili. Saddam si salvò ma il blocco commerciale contro l’Iraq provocò altre morti per denutrizione e malattie. L’Iraq era rimasto in piedi, ma sempre più diviso e compresso fra la minoranza sciita al Sud e quella curda al Nord. I curdi, sempre divisi tra Siria, Iran, Iraq e Turchia, erano un altro popolo disperso e perseguitato, a cui l’ONU tentò di assicurare una relativa protezione.
Già, l’Onu e la sua crescente impotenza
Il ruolo dell’ONU sembrò cresciuto per aprire la via ad un mondo “pacificato”. Non si poteva, però, ignorare l’ipoteca dell’egemonia militare degli Stati Uniti, né la conflittualità che si nascondeva nelle “rinascite” nazionale dei paesi ex comunisti e nelle difficoltà che incontravano i processi di democratizzazione, specialmente nelle società tribali africane e in quelle vaste aree del mondo islamico investite dall’integralismo.
Mentre viaggiatori arrivati a Hong Kong raccontano che a Pechino
Nonostante la mobilitazione degli studenti ed il massacro di Tien an Men, la Cina riusciva a mantenere il sistema totalitario a partito unico, abbinato alla “liberalizzazione controllata” del sistema economico. Addirittura, nel 1992 si abolì il controllo statale sui prezzi, che in Russia non era riuscito a Gorbaciov.
Oltre che in Cina, il comunismo sopravviveva senza più slancio ideologico ma come puro sistema di potere in Corea del Nord, una sorta di monarchia comunista ereditaria, in Vietnam, dove più di mezzo milione di persone se n’erano andate e dove si tentò, come in Cina, la via della liberalizzazione del mercato agricolo. Finiva invece in Cambogia il regime dei Khmer rossi che avevano sterminato oltre un milione mezzo di persone, nell’opera di rieducazione delle masse… una cancel culture attuata con soluzioni estreme, verrebbe da dire.
Ma poi la guerra rimette piede di nuovo in Europa, in quella polveriera che è sempre stata ed è la penisola balcanica
Con un mondo reale per nulla pacificato e democratizzato, il ruolo egemone degli USA rischiava di non essere più sufficiente . Lo si vide con la crisi della Jugoslavia, quando la Slovenia e poi la Croazia, con il riconoscimento immediato della Germania e poi della stessa Comunità europea, proclamarono la loro indipendenza . La repubblica serba, guidata da Slobodan Milosevic, il leader della lega dei comunisti, ribattezzata nel 1990 come Partito Socialista (lo stesso avvenne in altri paesi dell’Est), si oppose con la guerra e la pulizia etnica alla secessione di Slovenia e Croazia. Conseguenze anche più gravi si ebbero nel 1992 con l’uscita dalla Federazione jugoslava della Bosnia Erzegovina. La guerra provocò centinaia di migliaia di vittime civili. In quelle guerre alle porte dell’Europa balcanica si manifestarono con violenza le differenze religiose: la Slovenia e Croazia cattoliche, l Serbia ortodossa, la Bosnia con maggioranza di musulmani. Si profilava quel conflitto di civiltà che inficiava la visione progressista delle cose del mondo, tipica della cultura di sinistra, ora democratica, in Europa e in America.
In questo scenario globale, altamente conflittuale, cosa succede in Europa, come si attrezza l’Unione Europea per riuscire a mantenere un ruolo non marginale?
E’ chiaro che l’Europa, la Comunità Europea, andava a rimorchio degli eventi che sconvolgevano il mondo dopo la fine della guerra fredda. Senza, peraltro, riuscire a superare le sue difficoltà di assetto istituzionale e la piena legittimazione democratica, proprio mentre dalle rovine dell’impero sovietico rinascevano vecchie e nuove nazioni che bussavano alle porte dell’Unione.
Accanto al Consiglio dei ministri europei, si affermò il Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, al quale spettò la funzione di impulso politico fondamentale per quella che dal 1992 assunse la denominazione di Unione Europea. Mentre il Parlamento europeo, promosso nel 1976 dal presidente francese Giscard d’Estaing, con l’elezione a suffragio diretto dei cittadini di tutti gli stati membri (1979), conferì una legittimazione democratica all’Unione. Con la politica di coesione a sostegno delle regioni più deboli d’Europa, la Commissione europea cominciò ad esercitare funzioni di governo.
Il Presidente della Commissione, il socialista francese Jacques Delors (che restò in carica dal 1985 al 1995) fu l’artefice del passaggio dalla Comunità all’Unione.
In questa fase prese forma la complessa architettura dell’Unione: il Parlamento, la Corte di Giustizia, europea, il consiglio con il potere di proposta riservato alla Commissione e senza un ruolo attivo del parlamento, al quale spettava un potere di censura. La Commissione, quindi, svolgeva funzioni di governo con poteri in materia di concorrenza e funzioni di “sentinella dei Trattati”
La Corte di Giustizia non svolse solo un ruolo giurisdizionale, ma di fatto anche costituzionale con decisioni applicabili all’interno dei singoli stati.
E’ il momento delle decisioni epocali , lo SME ed il Trattato di Maastricht
Fin dal 1990, dopo il crollo del Muro, Germania e Francia accelerarono i tempi per arrivare al trattato sull’Unione economica e Monetaria . Il cancelliere tedesco Kohl ed il presidente Mitterand a Dublino nel giugno 1990 acceleravano anche il processo per arrivare all’Unione europea . Nel frattempo, il 3 ottobre 1990, si compiva la riunificazione tedesca. La Germania diventava il primo contribuente netto al bilancio della UE ma ne era anche il terzo beneficiario, dopo la Grecia e l’Italia. Proprio la Germania, con l’Olanda, impose che la politica monetaria dell’Unione dovesse perseguire la stabilità dei prezzi ed il rigore di bilancio, mentre l’idea di una politica estera e di sicurezza stentava a prendere forma.
Francia e Germania costituivano l’asse dell’Unione.
In questa fase, sempre su impulso di Delors, ma con il sostegno dell’asse Francia più Germania ed Italia, prese forma il passaggio dal Sistema Monetario Europeo (SME) alla moneta unica. E dire che l’Italia, con un debito pubblico elevato, giocava con frequenti svalutazioni monetarie, alterando il meccanismo della concorrenza.
Si arrivò, così, al progetto della moneta unica europea, gestita da una Banca centrale (BCE), dotata del massimo grado di autonomia, proprio sul modello della Bundesbank.
Il momento (ri)-fondante dell’Unione Europea è comunque Maastricht
Il trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 dai dodici paesi che entrarono a far parte dell’Unione, trovò invece l’Italia in una situazione di crisi sia finanziaria che politica.
L’Unione nascente faceva paura a troppi soggetti ed agli stessi americani. Così molti soggetti, a livello internazionale, avevano interesse a destabilizzare l’Unione. Con manovre che misero in crisi, con assalti speculativi sulle monete ed altro ancora, non solo l’Italia ma persino l’Inghilterra.
Il Trattato istituì la cittadinanza europea, che ancora oggi in Italia molti non hanno capito. Altrimenti avrebbero trovato procedure più rapide per concedere la cittadinanza italiana agli immigrati, che sarebbero così diventati cittadini europei e sarebbero migrati nei paesi più ambiti della UE, essendo cittadini italiani e cittadini europei automaticamente.
Maastricht sancì il principio di sussidiarietà, quale criterio per attribuire all’Europa e alle sue istituzioni quelle scelte che non potevano trovare soluzione adatta a livello nazionale
Estese la competenza dell’Unione alla politica estera e di sicurezza: il famoso ed effimero “Secondo Pilastro” , e alla politica interna e di giustizia, il “Terzo Pilastro”, basando il tutto sul metodo intergovernativo, fondato sul principio dell’unanimità dei vari governi.
Mentre la UE avvia il cammino verso l’unificazione l’Italia, nel mezzo di una gravissima crisi morale e politica(l’uccisione di Falcone e Borsellino con le loro scorte, mani pulite ed il tracollo dei partiti e della Prima Repubblica) è costretta, per una gravissima crisi finanziaria, alla svalutazione della lira ed alla fuoriuscita dal Sistema Monetario Europeo, insieme alla Gran Bretagna.
La svalutazione della lira, come poi la fuoriuscita dal Sistema Monetario Europeo dell’Inghilterra e dell’Italia, furono dovute con parecchia evidenza a manovre speculative interne ed esterne. Gli USA avevano a lungo appoggiato il processo della Comunità europea, ma ora stava nascendo un colosso economico e commerciale che poteva ambire a entrare nel gioco di forze a livello internazionale.
Senza ricorrere al complottismo, non c’è dubbio che qualcosa del genere accadde in Italia, anello debole dei paesi fondatori dell’Europa. E fu lo scatenamento della rivoluzione mediatica e giudiziaria, detta di “Mani pulite”. Lo sporco c’era, ma le mani pulite assai di meno, specialmente fra coloro che cavalcarono la rivoluzione per conservare non le bandiere ideologiche, ma il potere che già avevano. Con ciò stravolgendo il sistema dei partiti, base della prima repubblica ma anche della democrazia.
In Italia, un partito come il PCI che rischiava di essere travolto dalle macerie del muro di Berlino, non poteva che avere dei vantaggi dall’attacco che alcune procure, Milano e Palermo in testa, portarono ai partiti di governo, come se il finanziamento illecito riguardasse solo loro. Mentre in un sistema di “democrazia consociativa”, tutti i partiti, compreso il PCI, avevano partecipato alle logiche del finanziamento illegale. In più il PCI non aveva più le risorse ingenti provenienti dal PCUS, indispensabili per mantenere un vasto apparato e una forte influenza sui mezzi di comunicazione.
Il percorso verso l’euro è faticoso e Ciampi, ministro del Tesoro con Prodi, gestisce la faticosa trattiva per la fissazione del cambio: come va giudicato il risultato?
In effetti, il dopo Maastricht e il percorso dell’Italia verso l’euro fu particolarmente tormentato. Ci vollero ben due governi tecnici , quello di Ciampi (1993) e quello di Lamberto Dini (1995), tutto e due dirigenti di vertice della Banca d’Italia, per affrontare le emergenze finanziarie e la crisi politica di una democrazia malata come quella italiana. Una democrazia dove non esisteva più l’equilibrio dei poteri ed i partiti erano sempre più legati ad un leader e al sistema di potere scaturito da Tangentopoli[1]
Per l’Italia, il problema era quello di rientrare nei famosi parametri riguardanti, fra l’altro, il debito pubblico che, dopo tangentopoli, cresceva ancor di più mentre cresceva anche la pratica della svalutazione competitiva della lira. Per cui si poteva chiudere un occhio, pur di far entrare un grande paese come l’Italia nella moneta unica, anche se i parametri rimanevano un sogno.
Qualcuno, come Prodi, ritenne i parametri poco intelligenti .Dei cinque parametri fissati a Maastricht per entrare nell’Unione economica e monetaria ( deficit al di sotto del 3%, debito pubblico inferiore al 60% tasso di interesse non superiore alla media dei tre tassi più bassi, non superiore dell’1,5% sulla media dei tre paesi a inflazione più bassa, cambio stabile) l’Italia nel 1991 ne soddisfaceva solo uno: quello del cambio. Nel 1996, a tre anni dalla nascita della moneta unica, nemmeno uno. [2]
Ci volle la riforma delle pensioni, impostata con il governo Berlusconi ma realizzata dallo stesso Dini diventato capo di un governo tecnico appoggiato dalla sinistra, un governo che spianò la strada alla vittoria dell’Ulivo, che si portava dietro il corpaccione di Rifondazione comunista. Una eredità pesante che impediva all’ex PCI una evoluzione chiara in senso socialdemocratico. Post-comunisti e post-democristiani, con l’aiuto di alcuni post-socialisti, finivano così, nella logica del potere che aveva assecondato l’opera di Tangentopoli: gruppi industriali e finanziari, grandi giornali di loro proprietà, apparati dello stato e degli enti pubblici ecce cc.
Cosa si dovette concretamente fare per rientrare dentro i parametri di Maastricht?
Di fronte alle sfide del mercato globalizzato, i maggiori paesi europei avevano iniziato la dismissione delle imprese pubbliche, che in Italia avevano avuto un ruolo importante nella fase del miracolo economico, ma ora rappresentavano un sistema di poter, dove si annidava il consociativismo e l’intreccio tra pubblico e privato, tra corporazioni e partiti.
“Con il meccanismo dello scambio, gli imprenditori si assicuravano un mercato protetto”, specialmente nel settore delle opere pubbliche e degli appalti. E sempre sullo scambio si era creata l’alleanza fra sindacalismo, clientelismo politico e lobby private. Un sistema che stringeva al collo la repubblica dei partiti. Non era facile riformare un sistema così strutturato. Lo scontro visibile e invisibile era tra i gruppi che volevano l’integrazione europea e la liberalizzazione del mercato e tutti coloro che volevano mantenere il vecchio sistema di poter, senza troppi scrupoli nel conservare il nostro sistema istituzionale della democrazia consociativa, cara ai post-comunisti, alla sinistra democristiana ed ai molti interessi che al sistema si erano aggregati. Il debito pubblico e la razionalizzazione dello stato sociale con la spesa per le pensioni fra le più altre d’Europa in percentuale, potevano attendere[3].
[1] Cfr. Z. Ciuffoletti S. Nourret “ I modelli di democrazia in Europa e il caso italiano” Firenze, Ponte alle Grazie, 1992 ;
- Ciuffoletti G. Mammarella “ Il declino. Le origini storiche del caso italiano” Mondadori, Milano, 1996 “Craxi, le riforme la governabilità, a cura di E. Tabasso, saggio introduttivo di Z. Ciuffoletti, L. Pugliese editore, Firenze 2019)
[2] Cfr. G. Mammarella ”L’Italia di oggi. Storia e cronaca di un ventennio. Milano Bologna 2012, p. 209).
[3] Cfr. G. Mammarella, op. cit., p. 22
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