Le riforme del Governo in tema di giustizia penale sono connotate da un esasperata carica ideologica di giustizialismo imperante, anche se la strada era già stata aperta dai precedenti esecutivi già inclini a risposte talvolta demagogiche a problemi anche reali.
Esse mirano oggi a disegnare un diritto penale massimo, allargato e assai generico nelle fattispecie, fondato sulla repressione e sull’inasprimento ossessivo delle pene.
Una vera e propria passione del punire ed in particolare verso categorie di persone che di volta in volta sono individuate e consegnate alla ossessiva rappresentazione mediatica.
Il cattivo va spazzato via e fatto marcire in galera.
Chi snocciola i numeri degli aumenti di pena o interventi di ”pulizia” repressiva li presenta come un rafforzamento delle tutele.
In realtà ciò è veramente discutibile.
Le pene inflitte, infatti, e da eseguire, presuppongono l’inosservanza della legge e, quindi, proprio il non funzionamento della tutela. Segnalano problemi non risolti. Una politica ridotta a politica penale è una fuga dalle responsabilità di governo politico dei fenomeni sociali.
Pensiamo al tema della violenza sulle donne, a quello della diffusione della corruzione o dei reati contro l’ambiente.
L’Avvocatura tutta da tempo è seriamente preoccupata delle iniziative legislative in materia penale che segnano un progressivo ed inesorabile allontanamento dai principi liberali e democratici del processo disegnato dalla nostra Costituzione.
Anche la riforma della prescrizione va in questa direzione. Essa, ben lungi dall’ottenere il risultato per il quale sarebbe stata prevista, non garantisce tempi ragionevoli di svolgimento dei processi, rende l’imputato un perenne giudicabile, sacrifica i diritti individuali alle inefficienze del sistema, attizza il fuoco della punizione eterna inflitta per fatti che – per decorso del tempo- non possono destare più lo stesso allarme sociale.
Non si affrontano veramente i nodi dei tempi del processo e della organizzazione del servizio Giustizia.
Da tempo l’Avvocatura, ma anche il mondo Accademico insieme ad una parte della Magistratura più illuminata propongono la strada di una seria depenalizzazione, il potenziamento di riti alternativi (in senso esattamente opposto va la riforma appena approvata per il rito abbreviato) ed anche un investimento culturale e di risorse sulla giustizia riparativa volta ad un percorso di maturazione per il condannato e di serio riconoscimento per i diritti della vittima.
Un grido di allarme, un monito a vigilare anche per il cittadino comune: è evidente e clamoroso abbandono dei principi della nostra Costituzione.
Il sistema penale in uno Stato democratico non può che essere contenuto nello spazio definito della puntuale tipizzazione dei fatti che costituiscono reato, nel tempo della ragionevole durata, nei valori umani di civiltà e proporzionalità della pena, ove la funzione rieducativa deve prevalere su ogni altro scopo.
Cecilia Turco Avvocato – Presidente Ordine Avvocati Pistoia
Lascia un commento