No. Non sono fra gli “indignati” di professione. E neppure fra i dilettanti. Il Presidente della Repubblica è uscito all’ottava votazione e con 759 preferenze: il secondo numero di voti di sempre. Dopo gli 832 voti di Pertini del 1978 e prima dei 752 di Cossiga del 1985. Capisco che gli italiani, abituati a scontrarsi per ore prima di trovare un accordo in Assemblea di Condominio per la nuova illuminazione nell’ingresso del palazzo, si sentano esasperati dalla lunghezza e dalle farraginosità delle procedure per arrivare ad un accordo fra opposte visioni. Ma la situazione era oggettivamente complessa.
Intanto c’erano due blocchi contrapposti nessuno dei quali aveva una maggioranza sufficiente ad eleggere, da sola, il capo dello Stato. Ed è del tutto evidente che il Presidente della Repubblica non può essere eletto da un blocco a cui si aggiunge, per opportunismo, qualche truppa “ciampolillese” scelta a caso. E quindi era evidente fin dal primo giorno che occorreva un accordo fra i blocchi.
Oppure, strada tentata anche questa senza un grande successo, la convergenza tetragona di un blocco su un candidato e la scomposizione di un partito o di un pezzo di un partito dell’altro blocco.
Insomma la situazione richiedeva giocatori capaci di cimentarsi sulle strategie degli scacchi. Ed invece al massimo abbiamo avuto, nel guidare il processo, giocatori appena capaci di giocare a dama. E forse neppure a quella.
La situazione era inoltre resa complessa dalla presenza in Parlamento di una massa di “peones”, sostanzialmente “liberi” da legami di partito o da convinzioni ideologiche, il cui unico interesse era restare il più possibile nel “posto di lavoro dalle uova d’oro”. Un posto a cui erano arrivati per caso e a cui con molta probabilità non sarebbero mai più arrivati. Questa truppa era sì scomponibile con una certa facilità ma solo ad una condizione: che si mantenesse il più possibile lo “status quo” e si intaccasse il meno possibile la tenuta del Governo in carica.
E allora veniamo allo stratega principale: il prode Salvini. E’ chiaro che aveva due sole strade davanti. La prima, più istituzionale e più adeguata ai tempi, era quella di cercare fin da principio un accordo con l’altro blocco. E qui le possibilità erano ampie e potevano portare a diversi nomi. Forse anche ad alcuni di quelli fatti nella lunga sequela di “figure panini” presentate dal “King Maker” nella sua goffa battaglia. E’ che il metodo doveva essere diverso. E questo purtroppo Salvini non l’ha capito. Non è nelle sue corde il linguaggio istituzionale. Gli manca la grammatica politica.
La seconda era più complessa ma poteva essere tentata. Cercare di attrarre verso un nome di centro sia IV che la pattuglia dei senza partito scegliendo una personalità che non fosse invisa al Presidente del consiglio e che non risultasse pertanto una “sfida” nei suoi confronti.
Insomma tutto il contrario di quanto fatto da Salvini e anche di quanto tentato all’ultimo tuffo, in quello strapazzato accordo con Conte sul nome, peraltro di grande prestigio tecnico, della Belloni.
Insomma il Presidente della Repubblica doveva risultare da una convergenza dei due blocchi principali e non doveva apparire come uno “sgarbo” al Presidente del Consiglio Draghi. Questa era l’unica possibilità reale e, in questo caso, coincideva anche con l’interesse del paese. Che non si poteva permettere in questa situazione una “rottura” fra le due principali Istituzioni del paese e non poteva avventurarsi dentro una inopportuna crisi di Governo.
Qualche nome poteva emergere da questo processo di ricerca di un accordo. Ma la goffaggine di Salvini, l’assenza di Berlusconi e l’interesse evidente della Meloni di “sfasciare il giocattolo”, hanno messo il centrodestra di fronte all’impossibilità di giocare un ruolo di primo piano.
Ed allora non c’è stata altra possibilità di Mattarella. Spinto “dal basso” dal Parlamento e accettato “dall’alto” come unica soluzione possibile.
E quindi ci troviamo di nuovo la coppia Mattarella e Draghi. Davvero una bella coppia. La speranza è che, dalla forza che deriva loro da questa vicenda, la coppia si senta in grado di aumentare la velocità e la profondità delle cose da fare. E metterei tre cose in primo piano: la giustizia, l’economia e il lavoro e una nuova PA per riuscire ad essere davvero lo strumento di attuazione del PNRR.
Le condizioni per un “nuovo slancio” ci sono: gli “sfascisti” e gli “incapaci” hanno la coda fra le gambe. Il pericolo è passato. Al lavoro! E che sia un “buon lavoro”.
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