Niccolò’ Machiavelli in una parte del XXV capitolo del Principe parla della forza impetuosa della fortuna. Il sottotitolo: é «Quanto possa la Fortuna nelle cose umane, et in che modo se li abbia a resistere». Nella concezione di Machiavelli la Fortuna – per quanto dotata di una forza straordinaria – non è la Dea onnipotente di Lucrezio né la Ministra divina di Dante – creatura beata e provvidenziale. Per Machiavelli di fronte alla sorte avversa il principe non deve necessariamente arrendersi al destino. Machiavelli scrive «E’ non mi è incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi» .
Per Niccolò Machiavelli l’azione politica conserva consistenti margini di manovra rispetto alla Fortuna, ma a due condizioni: a) che il leader politico sia «adatto» alle circostanze; b) che egli sappia cogliere il mutamento e l’occasione (oggi diremmo la finestra di opportunità). Egli, infatti, scrive: «Credo, ancora, che sia felice quello che riscontra nel modo del procedere suo con la qualità de’ tempi; e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e tempi».
Per la sfida del Quirinale chi decide non sarà il principe, ma un migliaio di grandi elettori. La domanda che nasce spontanea é la seguente: i mille sapranno cogliere la qualità de’ tempi di cui parla Machiavelli? Nel segreto dell’urna i grandi elettori del Presidente potrebbero ignorare il momento storico in cui sta vivendo l’Italia ( e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e tempi» per riprendere testualmente ‘efficace lessico machiavelliano. Il timore purtroppo fondato é che i mille ignorino o sottovalutino i molteplici e gravissimi rischi che una scelta sbagliata potrebbe comportare per l’Italia. Sempre Machiavelli nel XXIV capitolo del Principe scrive: «E’ comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta».
Secondo le indiscrezioni de Il Messaggero, Silvio Berlusconi sarebbe orientato a ritirarsi dalla corsa al Quirinale in cambio di questo possibile scenario: Mario Draghi Capo dello Stato, Gianni Letta Segretario Generale del Quirinale (il ruolo di Maccanico con Sandro Pertini), Romano Prodi e Silvio Berlusconi stesso futuri senatori a vita. Non é da escludere che un quotidiano serio come il Messaggero possa essere stato vittima di fake news, ma supponiamo per un momento l’ipotesi prospettata dal Messaggero si realizzi. In tempi normali essa potrebbe costituire uno scenario più o meno accettabile. Ma non sono tempi di bonaccia, in Italia la tempesta di cui parla Machiavelli si sta avvicinando e é sempre più minacciosa.
Per essere più precisi la minaccia é la tempesta perfetta: disoccupazione (di tanti giovani e meno giovani), povertà, pandemia, debito pubblico, inflazione. inefficienza della pubblica amministrazione, dipendenza energetica dalla Russia e dipendenza digitale dalla Cina nella fase più acuta delle tensioni internazionali.
La ripresa economica e le vaccinazioni fanno intravedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, ma l’Italia é sul crinale. Guai a dimenticarsi che per non essere travolta dalla tempesta l’Italia ha una sola arma a disposizione e che essa é un’arma a doppio taglio: i 200 miliardi europei del PNRR e le riforme ad essi collegate. Per ottenerli l’Italia si é unita. Penso a Davide Sassoli, Gentiloni, Amendola, Conte, Tajani, Calenda, Renzi, Speranza nonché all’impegno dei gruppi di Lega e FdI nel Parlamento Europeo.
Tuttavia non basta averli ottenuti, é imperativo spenderli bene e nei tempi giusti. Da Bruno Vespa Giorgia Meloni ha criticato aspramente chi santifica Mario Draghi e il suo governo. Ma tutti gli osservatori indipendenti riconoscono (con l’eccezione della riforma della giustizia penale) che i passi compiuti si qui (con inedita velocità ed efficienza) vanno nella direzione giusta. La partita decisiva sarà il lavoro del governo nei prossimi sei mesi. con la verifica del PNRR prevista dalla UE il 30 giugno prossimo, ovvero domani. Il sentiero da ancora percorrere é impervio e pieno di ostacoli (burocrazia, corruzione, localismi e ancor peggio una cultura amministrativa ancora dominata – nonostante le promesse di semplificazione – da una stratificazione di procedure e controlli giuridici e giurisdizionali che non guardano ai risultati, anzi li ostacolano).
I cittadini italiani devono aver ben chiaro in testa che qualora le spese italiane del PNRR dovessero risultare – per usare le parole di Draghi “debito cattivo” per l’Italia sarebbe una catastrofe.
Per queste ragioni spostare Mario Draghi da Palazzo Chigi potrebbe costituire un vero e proprio salto nel buio, chi spinge in questa direzione potrebbe – per quanto in buona fede – rischia di compiere un tragico azzardo per la credibilità internazionale dell’Italia ed il futuro del nostro paese.
Siamo alla vigilia dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica (che da sempre in Italia è fonte di gravi perturbazioni tra i partiti e nei partiti) alto è il rischio di deriva. Per descrivere la gravità dei pericoli a cui va incontro il paese possiamo – ancora una volta – far ricorso ad una fulminante metafora coniata da Niccolò Machiavelli nel XXV capitolo del Principe: «E se voi considerrete l’Italia (…) vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo». Ne gli Spiriti Beati Machiavelli scrive: «Tant’è grande la sete di guastar quel paese ch’a tutto il mondo diè le leggi in pria che voi non v’accorgete che le vostre contese a li nimici vostri aprin la via. Il signor di Turchia aguzza l’armi, e tutto par ch’avvampi per inundar i vostri dolci campi». prima di giocare la carta Draghi i leader di partito dovrebbero ricordarsi quanto «le contese (interne ndr) a li nimici aprin la via» Ho già accennato al fatto che per Machiavelli l’azione politica non deve necessariamente arrendersi alla Fortuna. Nel XXV capitolo del Principe egli paragona la Fortuna «(…) a uno di questi fiumi rovinosi che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lievano da questa parte terreno, pongono da quell’altra». Ma subito si preoccupa di precisare: «Similmente interviene della fortuna: la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta e sua impeti dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla. Non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti e con ripari e argini, in modo che crescendo poi, o egli andrebbano per uno canale, o l’impeto loro non sarebbe né sí licenzioso né sí dannoso».
Passiamo ora a considerare un secondo rischio connesso alla candidatura Draghi al Quirinale. Il primo aspetto da considerare é perché? Per alcuni leader (per esempio Enrico Letta) il nome di Draghi é stato la personalità più adatta da contrapporre a Silvio Berlusconi non solo per il suo valore anche per non avere grane nel partito. L’uscita di scena di Berlusconi cambia la prospettiva dei parlamentari del PD e non solo. Un’altra corrente di pensiero suggerisce Draghi al Quirinale secondo la classica formula “promoveatur ut amoveatur”. Il presidente del Consiglio é una personalità che si fa sentire e per questo é fatto non pochi nemici in parlamento e nei partiti, soprattutto risetto a nomine e comportamenti discutibili (Durigon, Tabacci,ecc.) . La terza posizione é più esplicita, quella : Va bene Draghi e subito dopo elezioni anticipate.
Per quanto meno probabile della crisi del PNRR un analisista politico serio deve anche prendere in esame lo scenario peggiore: l’ eventuale l”impallinamento di Draghi, più facile nelle prime tre votazioni, ma anche in quelle successive come dimostra tra le tante l’esperienza recente di Marini e di Prodi. Una crisi dell’Italia non dispiacerebbe a chi ha in mente di indebolire in un colpo solo L’Europa e il mondo libero.
Tornando a Machiavelli nel VII capitolo del Principe egli attribuisce la caduta del Valentino alla combinazione di due fattori. Il primo è l’«estrema malignità di fortuna», la condizione oggettiva che ho illustrato nel paragrafo precedente. Il secondo, di carattere soggettivo, è un errore politico compiuto dal Duca stesso. Di che errore si tratta? L’aver favorito l’elezione al soglio pontificio di Giulio II Della Rovere, avversario storico di suo padre, Alessandro VI. Da queste vicende Machiavelli trae due conseguenze: a) sbaglia chi pensa che i grandi si dimentichino le offese ricevute in passato anche quando sono promossi ai più alti incarichi; b) il Duca Valentino non doveva in alcun modo consentire l’elezione a Papa di qualunque cardinale a lui potenzialmente ostile, a prescindere dal fatto che l’ostilità derivi da motivi di paura o da ragione di odio.
I conflitti che esplodono all’interno delle élites appaiono spesso sottili, talora persino impalpabili, ma possono risultare feroci e pieni di rancore. Il tono assertivo di Machiavelli (forse indispettito dall’ingenuità commessa dal suo leader preferito) non deve trarre in inganno. Egli non intende descrivere la politica come una guerra permanente di tutti contro tutti, ma semplicemente affermare che tra i «grandi» possono esplodere conflitti di asprezza inusitata e che il principe (o l’aspirante principe) deve essere preparato ad affrontare simili eventualità. Questo rischio deve essere sempre preso in esame quando si indica un candidato per il Quirinale. Nel 2013 a Bersani é mancata la «prudentia» di Machiavelli come capacità di adattamento alle situazioni o forse – come a tutti può capitare – egli non ha seguito alla lettera le istruzioni di Francesco Guicciardini «(…) è grandissima prudenza avvertire e pesare bene ogni cosa benché minima»
Il realismo politico non è di moda tra i riformisti (per non parlare del centro sinistra), che non studiano più né Machiavelli, né Guicciardini. . Il modo migliore per concludere questo articolo è citare le celebri parole con cui Machiavelli inaugura una nuova etica della conoscenza, contrapponendosi alla retorica del «dover essere» che per secoli aveva dominato la scena: «Sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa che alla imamginazione di essa» A cinquecento anni di distanza, pochi si interessano alla ricerca della verità effettuale. Il «dover essere» con tutte le sue doppiezze domina ancora la scena, sopratutto pecie a sinistra; ma non si esprime più nei dogmi e nelle credenze di un tempo, si nasconde nelle forme più subdole e sofisticate del linguaggio «politicamente corretto». Essere realisti sul Quirinale significa prendere atto che é molto più facile trovare una ristretta rosa di personalità di valore per la Presidenza della Repubblica che trovare la persona giusta in grado di sostituire il ruolo politico ed operativo di Draghi sul ponte di comando a Palazzo Chigi. Giulio Tremonti lo ha velenosamente paragonato a Schettino. Non é cosi. Mario Draghi fa ben il suo lavoro e riesce a tenere insieme la sua maggioranza anche se per lui é stato forse più facile mettere d’accordo Francia e Germania che i litigiosi partiti italiani.
Marco Mayer e ….
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