La nostra costruzione europea, si basa su tre grandi promesse.
Una promessa di democrazia nata nel nostro continente, reinventata, rifondata nel nostro continente e rivitalizzata negli ultimi 70 anni.
Una promessa di progresso condivisa da tutti e una promessa di pace.
Ha mantenuto le sue promesse durante questo decennio.
Ma nel momento che stiamo vivendo, attraverso il ritorno della tragedia della storia e di alcune evidenze geografiche, lo shock attuale che stiamo vivendo sta scuotendo queste tre promesse.
Penso che la nostra sfida sia cercare di rispondere ad essa, non semplicemente nei mesi a venire.
Ma in fondo, il compito che è nostro e senza dubbio quello della nostra generazione è di rispondere in profondità alla rifondazione di queste promesse.
Promesse di democrazia, dicevo, e fondamentalmente è la nostra unicità come europei.
Voglio dirvi qui che la Presidenza francese sarà una Presidenza promotrice dei valori che ci compongono e che, a forza di essere considerati acquisiti, negli ultimi anni forse hanno finito per indebolirsi.
Siamo quella generazione che riscopre la precarietà dello Stato di diritto e dei valori democratici.
In primo luogo, la democrazia liberale nel senso politico del termine.
Negli ultimi anni si diceva che questo assetto – inventato dall’Europa – si fosse stancato, incapace di affrontare le grandi sfide del secolo.
Tuttavia, voglio qui dire come gli ultimi mesi abbiano dimostrato che la gestione della pandemia da parte delle democrazie, con il dibattito parlamentare, con una stampa libera, con sistemi di ricerca e sistemi accademici liberi e aperti ha portato a decisioni molto più protettive delle vite ed economie rispetto a quelle dei regimi autoritari.
Abbiamo in concreto, tutti insieme, dimostrato il contrario di un’idea accolta che stava prendendo piede. Questo è il motivo per cui saremo all’appuntamento della lotta per la democrazia liberale.
Lotta per difendere i nostri processi elettorali dai tentativi di ingerenza straniera, lotta per continuare a promuovere la sovranità dei popoli.
A questo proposito, avremo un lavoro che, entro la primavera, continuerà a progredire nel quadro della conferenza sul futuro dell’Europa.
E se lo raccomanda, la Presidenza francese porterà con la Germania – l’accordo di coalizione era molto chiaro su questi termini – il diritto di iniziativa legislativa per il vostro Parlamento.
Combatteremo per lo stato di diritto, per questa semplice idea che esistono diritti umani universali che devono essere protetti dalle febbri della storia e dei loro leader.
Oggi si levano voci per riconsiderare i nostri principali testi fondamentali che tuttavia sono stati decisi sovranamente dagli Stati membri al momento della loro adesione.
La fine dello stato di diritto è il regno dell’arbitrarietà.
La fine dello Stato di diritto è il segno di un ritorno ai regimi autoritari, ai balbettii della nostra storia. Sì, dietro tutto questo c’è una lotta ideologica. Questa lotta è guidata anche da diverse potenze autoritarie ai nostri confini e ritorna in molti dei nostri paesi. Vediamo all’opera questa rivoluzione che sta minando le fondamenta stesse della nostra storia.
Laddove la tolleranza e la civiltà erano fondamentalmente al centro del processo di civiltà che è nostro, ritorna un’idea che rinasce all’interno dei nostri popoli.
Faremo quindi di tutto per lavorare in questa direzione e affinché, sempre attraverso il dialogo, ma senza debolezza, possiamo difendere la forza di questo Stato di diritto in tutte le situazioni conosciute.
Lo dico nel dialogo perché non si tratta di far prendere piede l’idea che lo Stato di diritto sia fondamentalmente un’invenzione di Bruxelles il cui unico depositario sarebbe Bruxelles, discorso che sentiamo nascere in alcune capitali.
No, è il frutto di tutte le nostre storie, la stessa lotta delle rivoluzioni per liberarci dal giogo del totalitarismo nel secolo scorso.
Lo stato di diritto è il nostro tesoro.
E si tratta ovunque di riconquistare i popoli che se ne sono allontanati.
Si tratta dappertutto, con grande rispetto e spirito di dialogo, di tornare a convincere. Parlare di questa singolarità democratica europea è ovviamente anche dare forza a questa nuova lotta.
In questo spirito, vorrei che consolidassimo i nostri valori di europei che costituiscono la nostra unità, il nostro orgoglio e la nostra forza.
A vent’anni dalla proclamazione della nostra Carta dei diritti fondamentali, che sanciva in particolare l’abolizione della pena di morte in tutta l’Unione, vorrei che potessimo aggiornare questa Carta, in particolare per essere più espliciti sulla protezione dell’ambiente o sulla riconoscimento del diritto all’aborto.
Apriamo liberamente questo dibattito con i nostri concittadini di grande coscienza europea per dare nuova vita al nostro fondamento di diritti che forgia questa Europa forte dei suoi valori, che è l’unico futuro del nostro progetto politico comune.
Questa singolarità che evoco è anche un rapporto di solidarietà unico al mondo.
Le nostre società sono uniche in quanto hanno inventato con il welfare state un sistema di tutela per tutti di fronte ai rischi dell’esistenza.
È un’eredità delle nostre democrazie europee.
E questa pandemia ha dimostrato che la solidarietà, lungi dall’essere una debolezza, è una forza incomparabile.
È la solidarietà che ci ha permesso da due anni di salvare vite e proteggere i posti di lavoro.
È la solidarietà che ci ha permesso di avere un vaccino per noi europei.
È lo spirito di solidarietà che ci ha portato, come europei, ad essere i più aperti al mondo, in termini di esportazioni e donazioni.
E spero che questa Presidenza francese possa, con voi, continuare questo lavoro.
Che intraprenda un’azione forte per offrire a tutti posti di lavoro qualificati di qualità, meglio retribuiti con salari minimi dignitosi per tutti.
Ridurre le disparità salariali tra donne e uomini, creare nuovi diritti per i lavoratori sulle piattaforme digitali, introdurre quote per le donne nei consigli di amministrazione delle aziende, combattere ogni forma di discriminazione.
I progressi che ho appena menzionato non sono solo parole o promesse.
Sono testi che arriveranno nelle prossime settimane nelle nostre mani, collettivamente, e che spero si possano realizzare concretamente in questo semestre. Abbiamo i mezzi. Facciamolo.
Ciò che ci tiene uniti è la singolarità di questa promessa democratica europea, è anche quella di una cultura a parte, in fondo a un’arte di stare al mondo – oserei dire.
Cosa significa essere europei?
È provare uguale emozione davanti ai nostri tesori, frutto del nostro patrimonio e della nostra storia, dalla collina della Lapponia ai bulbi dorati di Cracovia, è vibrare allo stesso modo allo spirito romantico, alle opere di Chopin come nei testi di Pessoa.
Significa anche avere insieme una civiltà, un modo di stare al mondo, dai nostri caffè ai nostri musei, che è impareggiabile.
Quest’arte di stare nel mondo europeo fa parte della nostra singolarità con tante differenze.
Ma siamo dall’antica Grecia all’Impero Romano, dal Cristianesimo al Rinascimento e all’Illuminismo, gli eredi di un modo unico di guardare all’avventura umana.
A questo proposito, mi auguro che si possa continuare a promuovere questa civiltà europea fatta di universalismo, di cultura rispettata e di un progetto comune che rispetti le singolarità e le identità di ciascuno.
Per questo abbiamo proposto di riunire i nostri migliori storici, i nostri più grandi oggi, proprio per costruire insieme l’eredità di questa storia comune da cui veniamo.
Questo, a mio avviso, è il primo asse per mantenere questa promessa democratica, rinnovare l’Europa, e non tornerò indietro su tutti gli altri temi su cui dovremo lavorare insieme a questo riguardo nei prossimi sei mesi: fare L’Europa è una potenza democratica, culturale ed educativa orgogliosa di sé stessa per raccogliere questa sfida.
La seconda promessa che ho menzionato è la promessa del progresso.
L’Europa non ha mai pensato a se stessa nella sola conservazione nella comodità dello status quo. Siamo costruiti sulla volontà di costruire una crescita economica, un modello per il futuro con la possibilità offerta alle nostre classi lavoratrici e alle nostre classi medie di poter cogliere tutti i frutti di questo progresso.
Gli ultimi anni hanno indebolito questa promessa. Le crescenti disuguaglianze, la deindustrializzazione e le nuove sfide, in particolare la sfida climatica e digitale, hanno messo in dubbio il nostro continente e la nostra sfida è quindi costruire un modello originale di fronte alle grandi sfide del secolo.
Un modello per il futuro che ci permette ancora una volta di mantenere questa promessa di progresso. Il clima è la prima di queste sfide.
L’Europa è il luogo in cui, a Parigi, nel 2015, è nata una consapevolezza climatica universale.
È il continente che, con l’obiettivo della carbon neutrality nel 2050, è stato il primo a porsi gli obiettivi più ambiziosi del pianeta.
Ora dobbiamo passare dall’intenzione all’azione.
Trasformare le nostre industrie, investire nelle tecnologie del futuro, che siano batterie o idrogeno, è l’ambizione stessa del patto. La Commissione ha avanzato proposte forti e ora dovremo attuarne molte insieme nelle prossime settimane. Incoraggiare tutti i giocatori nel nostro paese e in tutto il mondo a soddisfare i requisiti ecologici. Questo è il significato stesso, in particolare, del meccanismo di adeguamento del confine del carbonio che attendiamo da anni. Questo è anche il significato delle misure speculari negli accordi commerciali che difendiamo. Questo è anche il senso delle trattative per l’adozione della prima legge al mondo contro la deforestazione importata. Nelle prossime settimane avremo importanti decisioni da prendere, tra l’altro, su questi pochi temi essenziali nella nostra strategia. Dovremo schierarli a livello nazionale, dovremo anche portare avanti i nostri obiettivi e la riconciliazione dei nostri obiettivi in termini di lotta per la biodiversità e contro il riscaldamento globale e il cambiamento climatico.
Pertanto, a febbraio avremo un importante vertice per gli oceani in cui diversi paesi membri, la Commissione e molti di noi avranno un’importante strategia da presentare, perché siamo una grande potenza marittima e anche qui abbiamo, nella biodiversità, un ordine del giorno da difendere.
La seconda sfida del secolo è quella della rivoluzione digitale.
Non siamo noi europei che crediamo più di ogni altra cosa nella diffusione della conoscenza, noi che abbiamo inventato la figura di un uomo onesto intriso di umanità, che rifiuteremo questo movimento straordinario.
Ma la nostra sfida è duplice.
La prima: costruire un vero mercato unico digitale per creare campioni europei. È un investimento in nuove tecnologie, è un investimento in nuovi settori, come la Commissione ha più volte proposto.
È il consolidamento di un’Europa che sa finanziare i suoi campioni e di un’Europa che sa anche semplificare il proprio diritto per costruire un vero mercato unico, cioè un mercato interno su scala gigante.
E allo stesso tempo è un’Europa che sa vigilare sugli attori digitali per preservare proprio questo spirito di illuminazione, vale a dire proteggere i nostri diritti, le nostre libertà, il rispetto della nostra vita privata.
Lotta all’incitamento all’odio e alla divisione, per questo con voi, parlamentari, avremo anche testi importanti da completare, testi sui servizi digitali sui quali deciderete domani e nei prossimi mesi potrebbero essere quelli dell’emergere di un modello digitale europeo che, allo stesso tempo, organizza una concorrenza leale tra i giocatori e combatte la tendenza delle piattaforme a uccidere l’innovazione, in quanto tutela i cittadini.
I due grandi testi, tra gli altri, che dovremo costruire sono quelli che ci permetteranno di proteggere economicamente i giocatori digitali e non solo, di fronte a questi campioni a volte sleali, ma anche di proteggere i nostri cittadini. E il dibattito democratico di manipolazione, parola, odio senza leader alla fine, contro il quale dovremo mettere in atto questi nuovi regolamenti.
La terza sfida è ovviamente quella della nostra sicurezza.
Questa promessa di progresso per il futuro è valida solo se, di fronte ai disordini geopolitici, alla minaccia terroristica, agli attacchi informatici, all’immigrazione irregolare, a questi grandi momenti di sconvolgimento, sapremo dare una risposta. E di fronte a questo ritorno alla tragedia della storia, l’Europa deve armarsi non per sfiducia nei confronti delle altre potenze, no, ma per assicurarsi la propria indipendenza in questo mondo di violenza, per non subire la scelta degli altri , essere libero. Primo, riprendere il controllo dei confini e del nostro spazio. Abbiamo fatto molti progressi con il rafforzamento in corso di Frontex e la Presidenza francese realizzerà una riforma dell’area Schengen che è la condizione per rispettare la sua promessa originaria di uno spazio di libera circolazione.
Proteggere le nostre frontiere esterne, anche sviluppando una forza intergovernativa di intervento rapido.
Agire su un’accoglienza condivisa della solidarietà tra gli Stati membri, come abbiamo fatto tra il 2018 e il 2021.
Costruire partenariati con i paesi di origine e di transito per combattere le reti di contrabbando e rendere efficace la nostra politica di rimpatrio. Costruire una politica più efficace che rispetti i nostri principi di lotta all’immigrazione irregolare. In termini di difesa, infine, non possiamo accontentarci di reagire alle crisi internazionali. Abbiamo bisogno di un potere di anticipazione che organizzi la sicurezza del nostro ambiente.
Negli ultimi anni si sono verificati notevoli progressi, senza precedenti nella nostra storia. In questo semestre dovremo registrare diversi notevoli progressi con l’adozione della bussola strategica lanciata sotto la presidenza tedesca, con la definizione di una nostra dottrina sulla sicurezza, in complementarità con la NATO, con una vera strategia anche in termini di industria, difesa e indipendenza tecnologica senza la quale questa Europa della difesa non ha senso né realtà.
Lo avete capito attraverso questa agenda, è trovare insieme un’Europa potenza del futuro, vale a dire un’Europa in grado di rispondere alle sfide climatiche, tecnologiche, digitali ma anche geopolitiche, un’Europa indipendente in quanto continua a dare essa stessa il mezzo, per decidere da sé il proprio futuro, e non dipendere dalle scelte delle altre grandi potenze. Infine, ho menzionato la promessa di pace.
La nostra Europa oggi si trova ad affrontare un’escalation di tensioni, in particolare nel nostro vicinato, con uno sconvolgimento del mondo, con un ritorno, come ho detto prima, della tragedia della guerra.
Tuttavia, il nostro modello, che oltrepassa i nostri confini e coltiva nella tradizione dei nostri padri fondatori una vocazione universale, oggi ha una responsabilità che è quella di ripensare alcune di queste politiche di vicinato, e di ripensare questo luogo nel mondo per costruire un vero forza di equilibrio, perché credo che questa sia la vocazione della nostra Europa.
L’Europa ha quindi il dovere di proporre una nuova alleanza al continente africano. I destini delle due sponde del Mediterraneo sono legati, e non possiamo affrontare decentemente il tema delle migrazioni senza affrontare le cause profonde, ed evocare il destino comune con il continente africano.
È in Africa che si gioca parte dello sconvolgimento del mondo, parte del futuro di questo continente e dei suoi giovani, ma anche del nostro futuro.
In connessione con Charles MICHEL e Ursula VON DER LEYEN, abbiamo quindi voluto tenere un vertice a febbraio, per ricostruire il nostro partenariato con il continente africano.
Aiuteremo così i nostri amici africani ad affrontare la pandemia.
Entro giugno 2022 saranno state distribuite 700 milioni di dosi, ma nei prossimi mesi dobbiamo fare un nuovo passo, reinventando una nuova alleanza con il continente.
In primo luogo attraverso un New Deal economico e finanziario con l’Africa, che deve basarsi su ciò che abbiamo costruito lo scorso maggio – l’Europa ha proposto, difeso e approvato un’emissione di speciali drawdown al FMI e la riallocazione dei nostri diritti – ma con investimenti molto concreti proposte. In secondo luogo, con un’agenda su educazione, salute, clima per lo sviluppo del continente e la speranza dei giovani africani.
Terzo, con un’agenda per la sicurezza attraverso il sostegno europeo agli Stati africani di fronte all’ascesa del terrorismo, come abbiamo potuto fare insieme nel Sahel.
Infine, lottando contro l’immigrazione clandestina e le reti dei trafficanti per promuovere meglio la circolazione legata ad alleanze culturali, accademiche ed economiche. In secondo luogo, l’Europa non può più allontanarsi dai Balcani occidentali.
I Balcani occidentali sono, per la loro geografia così come per la storia, per la parte della tragedia come per la promessa di futuro che portano, nel cuore del continente europeo.
Portano cicatrici che ricordano a entrambi la precarietà della pace e la forza della nostra unione.
Per questo anche qui oggi abbiamo una vocazione, ovvero quella di ripensare il nostro rapporto con i paesi dei Balcani occidentali e di dare loro in modo più chiaro, leggibile, proattivo, prospettive sincere di adesione.
Nessuna adesione contro, per respingere i tentativi di destabilizzazione straniera del tempo presente.
Un abbonamento per, con un abbonamento al progetto che arriva in un tempo ragionevole.
Abbiamo modernizzato la procedura negoziale in questi mesi, ma sappiamo anche molto concretamente che non è l’Europa attuale, con le sue regole operative, che può diventare un’Europa a 31, 32 o 33, non è vero, saremmo mentire a noi stessi.
Dobbiamo quindi, nell’ambito della conferenza e dei risultati del prossimo maggio, ripensare le nostre regole in profondità per renderle più chiare, più leggibili, per poter decidere più velocemente e più forte, ma anche politicamente per essere sinceri nel quadro di questa Europa in cui i Balcani occidentali hanno il loro posto.
Dobbiamo quindi reinventare sia le regole operative che la geografia della nostra Europa.
Ecco perché la Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe essere seguita da una conferenza sui Balcani occidentali, organizzata subito dopo, che costituirà l’occasione per affrontare questo tema cruciale. In terzo luogo, anche l’Europa e il Regno Unito devono riprendere la strada della fiducia. Non lo farò – visto il tempo che mi è stato concesso, voglio concludere in un attimo – più a lungo su questo argomento.
Niente metterà in discussione il legame di amicizia che ci lega al popolo britannico. La nostra comunione nella difesa della democrazia liberale, della libertà, del progresso economico e sociale è troppo radicata, troppo vecchia.
Ma seguire questo percorso comune dopo la Brexit presuppone che il governo britannico si impegni in buona fede a rispettare gli accordi conclusi con il nostro sindacato e che facciamo rispettare chiaramente gli impegni presi. Che si tratti dell’attuazione del protocollo sull’Irlanda del Nord o dei diritti dei nostri pescatori, poiché questi saranno argomenti inevitabili di discussioni future. Siamo fermi e chiari, perché gli impegni presi siano mantenuti.
Questa è la condizione per poter rimanere amici.
L’Europa deve finalmente costruire un ordine di sicurezza collettiva nel nostro continente. La sicurezza del nostro continente richiede un riarmo strategico della nostra Europa come potenza di pace ed equilibrio, in particolare nel dialogo con la Russia.
Questo dialogo lo difendo da diversi anni.
Non è un’opzione perché sia la nostra storia che la nostra geografia sono ostinate, sia per noi stessi che per la Russia, per la sicurezza del nostro continente che è indivisibile. Abbiamo bisogno di questo dialogo. Noi europei dobbiamo formulare collettivamente le nostre richieste e metterci nella posizione di farle rispettare. Un dialogo franco ed esigente di fronte alla destabilizzazione, all’interferenza e alla manipolazione. Quello che dobbiamo costruire è un ordine europeo basato su principi e regole con cui siamo d’accordo e con cui abbiamo agito non contro o senza, ma con la Russia, 30 anni fa. E che voglio qui ricordare.
Il rifiuto dell’uso della forza, la minaccia, la coercizione, la libera scelta degli Stati di partecipare a organizzazioni, alleanze, disposizioni di sicurezza di loro scelta, l’inviolabilità dei confini, l’integrità territoriale degli Stati, il rifiuto delle sfere di influenza. Quello di cui parlo sono i principi che noi europei e la Russia abbiamo firmato 30 anni fa. Spetta a noi europei difendere questi principi e questi diritti inerenti alla sovranità degli Stati. Sta a noi riaffermarne il valore e sanzionare efficacemente la sua violazione.
La sovranità è libertà.
È al centro del nostro progetto europeo. È anche una risposta alle destabilizzazioni in atto nel nostro continente. Per questo continueremo con la Germania nell’ambito del format Normandia, a cercare una soluzione politica al conflitto in Ucraina, che resta il generatore delle attuali tensioni. E il vostro sostegno collettivo è necessario per sostenere i nostri sforzi. Questo è anche il motivo per cui faremo in modo che l’Europa faccia sentire la sua voce unica e forte sulla questione degli armamenti strategici, del controllo degli armamenti convenzionali, della trasparenza delle attività militari e del rispetto della sovranità di tutti gli Stati europei, qualunque sia la loro storia.
Queste prossime settimane dovrebbero portarci a realizzare una proposta europea che costruisca un nuovo ordine di sicurezza e stabilità.
Dobbiamo costruirlo tra gli europei, quindi condividerlo con i nostri alleati nel quadro della NATO. E poi offrilo per la negoziazione alla Russia. Signore e signori, sono nato nel 1977 e la mia giovinezza è stata quella dell’evidenza europea. Sulle terre insanguinate del nord della Francia in cui sono cresciuto, l’Europa era la pace come prova intangibile. Ho poi sperimentato, come molti di voi qui presenti, il grande dubbio europeo. Il referendum del 2005, l’accusa tecnocratica, il rischio di dislocazione di fronte alla crisi del debito sovrano.
Le nostre generazioni oggi devono ricostruire la nostra Europa per essere all’altezza delle sue promesse di democrazia, progresso e pace.
Abbiamo fornito collettivamente i mezzi per rendere la nostra Europa una potenza democratica, culturale ed educativa, una forza per il futuro, una forza di equilibrio.
A tal fine, nelle settimane e nei mesi a venire disporremo di una serie di testi essenziali e conto su un lavoro stretto e armonioso con il Parlamento europeo, visti tutti questi testi e le ambizioni condivise.
Tutti insieme, di fronte alla tirannia dell’aneddoto e alle divisioni tra europei, dobbiamo riscoprire il senso di unità, il gusto per il lungo termine che rende necessaria l’audacia, il senso di ciò che Robert Schumann chiamava sforzi creativi.
Né invettive, né divisioni, né divieti, né agevolazioni.
Questi sforzi creativi hanno fatto la nostra Europa. Il che significa che né le politiche di ieri o prima della crisi, né i formati di ieri o prima della crisi, né i riflessi del passato, né il ritorno al nazionalismo, né la dissoluzione delle nostre identità saranno le risposte a questo mondo a venire.
Ma la nostra capacità di inventare un sogno possibile, di renderlo tangibile, di renderlo realtà, di renderlo utile ai nostri concittadini, è la chiave del nostro successo.
Abbiamo la forza, abbiamo i mezzi.
Ecco perché mi fido di noi.
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