Il Codice dei Contratti è giustamente criticato per l’eccesso di burocrazia che ha messo in campo per la gestione delle gare di appalto per le opere pubbliche. E in un momento di forte rilancio degli investimenti con il PNRR, che prevede per la realizzazione e il collaudo tempi definiti e molto ridotti rispetto alla consuetudine, da più parti si invocano cambiamenti, deroghe e semplificazioni procedurali.
Su un punto però il Codice dei Contratti ha introdotto un cambiamento netto che deve essere compreso, valorizzato e rispettato. Si tratta del passaggio, nelle modalità di selezione dei progetti nell’ambito delle gare di appalto, dal criterio del massimo ribasso all’offerta economicamente più vantaggiosa. Questo significa che il prezzo dovrà sempre essere controbilanciato da valutazioni sulla qualità delle proposte presentate.
Non è un principio da poco. Specialmente di fronte ad un nuovo, grande, flusso di investimenti è chiaro che progetti migliori migliorano le opere realizzate, le quali a loro volta migliorano il paese. E’ una scommessa importante che non deve essere persa. Abbiamo ancora davanti ai nostri occhi cosa ha significato per tanto tempo applicare la logica del massimo ribasso. Imprese sgangherate in grado di vincere, spesso incapaci di portare a termine i lavori a regola d’arte, a causa di ribassi d’asta fuori da ogni logica di mercato. Con necessità di recupero in corso d’opera o attraverso la contrattazione di revisioni di contratto scaturenti da chissà quali imprevisti oppure da risparmi su manodopera e materiali che andavano a discapito della qualità intrinseca, talvolta anche quella apprezzabile a vista, delle opere.
Con le progettazioni o le opere assegnate alle offerte economicamente più vantaggiose si è dato uno strumento per la ricerca della qualità dei progetti e delle imprese. Ma qualcosa sta accadendo nell’esperienza delle gare che si stanno realizzando nel paese che fa suonare un campanello di allarme. E che dovrebbe spingere le Istituzioni pubbliche di controllo a monitoraggi più accurati del reale funzionamento delle gare d’appalto.
Venendo incontro alla esigenza di puntare sulla qualità e meno sul prezzo, specialmente laddove le basi d’asta sono fatte da soggetti competenti e non “un tanto al kilo”, le stazioni appaltanti tendono ad assegnare 80/90 punti alla qualità del progetto e 20 o addirittura 10 al ribasso d’asta. Sembrerebbe un peso ben equilibrato, in grado di dare un peso sostanziale alla parte tecnica e meno alla compressione dei costi. Ma spesso quello che accade non è quello che sembra.
Infatti si danno numerosi e numerosi casi in cui la Commissione di gara comprime in maniera netta lo “spread” della valutazione tecnica così da lasciare lo spazio “discriminatorio” quasi esclusivamente al ribasso d’asta. E le imprese, ben avvertite di questo comportamento usuale delle Commissioni, sparano tutto il loro fuoco di battaglia nella contrazione dei costi. E quindi siamo di nuovo ritornati ai vincitori col 40% e 50% di ribasso d’asta. E questo non solo nella realizzazione delle opere, dove qualche spazio in più ci può essere a fronte di una maggiore industrializzazione dei processi, ma anche nella progettazione tecnica che richiede, come è facile capire, tempi e risorse adeguate per puntare sulla qualità. E tutti sappiamo che una buona progettazione sta alla base di una buona realizzazione delle opere.
Abbiamo cioè offerte che dopo il vaglio della Commissione si distanziano di uno, due o tre punti su 90 possibili sulla parte tecnica, che vengono poi selezionate sulla base di un ribasso d’asta corposo che arriva a dare 4 o 5 punti attraverso l’assegnazione lineare dei punteggi. Cioè se una impresa ribassa il 50% e un’altra il 30% con il principio lineare e pur avendo a disposizione solo 10 punti come massimo, la prima impresa prende 10 punti e la seconda 6. Cioè una differenza di 4 punti che diventa determinante per l’assegnazione.
Le Commissioni in tal modo non si espongono a ricorsi e rimandano al “prezzo di offerta” ogni decisione. Venendo meno però in tal modo al compito “alto” di valutare in profondità e con competenza le diverse qualità tecniche delle offerte. Il prezzo è oggettivo, la qualità soggettiva. Questo è il “retropensiero” che vince su tutto. E in tal modo si perde ogni spinta, difficile ma necessaria, al miglioramento del sistema paese.
Può sembrare tutto ciò una discussione tecnicissima per “addetti ai lavori”. Ed invece è una discussione prettamente politica. Nel senso di politica di governo. E la domanda è se vogliamo continuare a tirare sul prezzo nelle opere pubbliche, pensando che le basi d’asta sono fasulle e le imprese ci marciano, oppure vogliamo, d’accordo col mondo produttivo e i professionisti della progettazione, puntare a selezionare il meglio pagando la qualità e rifuggendo i risparmi realizzati con sotterfugi, accrocchi e bassa qualità del personale e dei materiali.
Dietro i numeri ci stanno le filosofie. Non sarebbe male che qualcuno si occupasse di costruire un paese dove “normalmente” vincano i “migliori” e non i “più furbi”. E, come sa ogni massaia che va al mercato, la roba migliore costa generalmente di più.
Marco Poggi
Concordo, già con la Merloni si era cercato di “blindare” i progetti per evitare il ricorso delle imprese alle varianti per recuperare i ribassi fuori mercato.
Ma poi così non è stato e i vari fallimenti delle imprese hanno innescato contenziosi infiniti, extra oneri importanti per ri aggiudicare l’appalto, rallentamenti nell’esecuzione delle opere ed in definitiva messe in servizio procrastinate nel tempo. In soldoni perdite di tempo e denaro.
Condivido la necessità di mandare in gara progetti di qualità e con previsione di ridurre al massimo la possibilità di “incerti” nell’esecuzione delle opere; il ribasso se lo giocheranno le imprese con i loro standard organizzativi.