Non è facile trovare qualcuno a cui D’Alema sia simpatico così come non è facile trovare qualcuno che lo reputi uno sprovveduto. L’uomo è indubbiamente intelligente e cinico quanto serve per fare politica a certi livelli. Se paragonato poi a quello che passa oggi il convento si può tranquillamente definire un gigante, indipendentemente dal condividerne o meno l’impostazione politica. Proprio per questo allora può essere interessante domandarsi perché Baffino abbia sentito il bisogno, proprio ora, di fare un’apertura al possibile ritorno nel PD dei fuoriusciti di Articolo 1. Attenzione, la dichiarazione di D’Alema ha valore in sé, cioè non importa che poi lui, Bersani e Speranza rientrino davvero. L’importante è che lo ritengano possibile, il che sta a significare che l’asse del PD si è spostato a sinistra e che il partito è “guarito” dalla parentesi renziana. Di fatto D’Alema ha rilasciato un “certificato di conformità”, una sorta di green pass per poter procedere sulla strada della nascita a sinistra di un nuovo soggetto che unisca o federi, la forma non ha molta importanza, il PD, LeU e i grillini di Conte.
Quanto mai opportuna la scelta del momento. Per due motivi: la vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica, che può facilmente fornire l’occasione per ritrovarsi su una candidatura, anche solo di bandiera, tipo Finocchiaro o Bindi, e la fase “di passaggio” che stanno attraversando PD e 5Stelle. I Democratici e i grillini sono sostanzialmente spaccati a metà. Una parte guarda a sinistra, Bettini e Provenzano per gli uni, Conte, per gli altri, e un’altra al centro.
D’Alema sta tentando di far pendere la bilancia dalla parte della sinistra, favorito in questo dalla segreteria di Letta, che non aspetta altro che regolare il conto aperto che ha con Renzi, e dal sostanziale fallimento del progetto politico che aveva dato origine al PD e cioè la fusione in un solo partito delle tre culture riformiste, comunista, cattolica e socialista, con la conseguente nascita di un sistema bipolare.
La sconfitta di Renzi nella battaglia referendaria del 2016 ha rappresentato il punto di svolta. Il progetto riformista è stato sconfitto lì e lì è morto il PD di Veltroni che per crescere e mettere radici aveva bisogno di altre regole e istituzioni. La vera posta in gioco di quella partita era infatti la nascita, a sinistra, di un nuovo soggetto riformista. Per questo, con la scusa della difesa della “Costituzione più bella del mondo”, si schierarono contro tutti i soliti noti.
Ora stiamo assistendo al secondo tempo di quella partita (i tempi della politica non sono propriamente brevi). Dopo aver segnato il gol vincente nel 2016, D’Alema sta infatti tentando di consolidare il risultato andando ancora in rete. Ma non è detto che gli riesca. Molte cose sono cambiate, fatti imprevisti e imprevedibili come la pandemia sono comparsi sulla scena. Questa fase è tutta da giocare. Certo, servono giocatori che abbiano visione di gioco e voglia di mettersi al servizio di una squadra che deve imparare a muoversi all’unisono. Non bastano uno o due Ronaldo.
Nel giro di pochi mesi vedremo se i riformisti sono in partita. Due gli appuntamenti importanti: la scelta del nuovo inquilino del Quirinale e le tante elezioni che ci saranno nel giro dei prossimi mesi.
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