Non conosco le ragioni per le quali Goffredo Bettini ha tanto peso nel PD. Non ha una sua forza organizzata all’interno del partito. Dispone di ampie relazioni con molti esponenti politici romani e nazionali, non soltanto fra i democratici. In tutta evidenza i suoi consigli esercitano una grande influenza: si dice che sia stato determinante nella scelta di due sindaci di Roma, Rutelli e Veltroni. Ultimamente, poi, è apparso come il consigliere più influente degli ultimi due segretari del PD, Zingaretti e Letta. Non avendo alcun malsano attaccamento alle cariche, ha, a mio avviso, una grande virtù: non le manda a dire. Dice quello che pensa e pensa quello che dice.
In una recentissima intervista al Corriere della Sera, Bettini ha detto con chiarezza di ritenere l’asse privilegiato fra PD e 5Stelle l’unica via realistica per tentare di sconfiggere il centrodestra. E, senza usare mezzi termini, ha lanciato una sfida a Renzi e Calenda. Visto che non intendono condividere questo progetto e “contrastano pregiudizialmente questa idea”, e perciò “sono loro ad autoisolarsi”, si diano da fare per “realizzare quel soggetto riformista “puro” che affermano potenzialmente grandissimo. Lo facciano. Lo mettano in campo. Si uniscano con un programma, un gruppo dirigente ampio e autorevole e poi dicano al Paese dove intendono andare”.
L’esponente PD non ha detto altro che quello che Renzi e Calenda dovrebbero fare. Soprattutto ha detto ciò che si aspettano i loro sostenitori e che non hanno la possibilità di manifestare perché, come in tutto il resto dell’arcipelago politico italiano, congressi ed altri strumenti di democrazia interna sono assenti anche in Azione e Italia Viva, rispettivamente guidati da Calenda e Renzi. I quali dovrebbero raccogliere tale sollecitazione, prendendo atto che non si cresce con le piccole tattiche, i giochini di rimessa, le facili critiche agli avversari e via menandola. Proprio perché la sfida di Bettini è espressa brutalmente deve essere raccolta. Per smentirlo e dimostrarsi capaci di unirsi con un programma e un gruppo dirigente ampio e autorevole, per dire al Paese ( o, molto più modestamente, ai loro seguaci, prima che si stufino) dove intendono andare. Possibilmente facciano anche un piccolo sforzo ulteriore. Dal momento che si definiscono “riformisti”, cerchino di coinvolgere nel disegno gruppi, gruppuscoli e associazioni della dispersa galassia laica, liberale e socialista. E lo facciano in fretta: una volta eletto il nuovo Capo dello Stato, nonostante pandemia e PNRR, governo o non governo, il clima sarà quello elettorale. E sarà clima arroventato.
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