Il celeberrimo canto V dell’Inferno dove Dante incontra i lussuriosi: Francesca da Rimini racconta la storia del suo travolgente amore per Paolo Malatesta, fratello del marito Gianciotto che si è vendicato uccidendoli, e si sofferma sul momento preciso in cui è scoppiata la passione:
“La bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.”
Il libro Galeotto, ovvero intermediario d’amore e pertanto responsabile -secondo Francesca- della sua passione adultera, era un romanzo cavalleresco che a quei tempi veniva molto apprezzato dai giovani aristocratici, un po’ come Beautiful oggi, e che narrava la simil-vicenda di Lancillotto e Ginevra.
Nella parafrasi attualizzata che abbiamo suggerito (Galeotta fu la lettera e chi la scrisse…) la parola non va più intesa nella sua accezione dantesca di intermediario d’amore, bensì nell’altro suo significato di rematore della galea: un tipo di nave che nel Medio Evo si muoveva grazie ai rematori, i quali erano incatenati ai remi essendo stati condannati ai lavori forzati.
Ma perché questa parafrasi che certamente il sommo Poeta non avrebbe mai autorizzato e per la quale gli chiediamo perdono? Il motivo sta nella notizia riportata e commentata ampiamente dal Riformista riguardante un galeotto vero e proprio, nel senso di condannato alla galera: l’avvocato nonché ex senatore Giancarlo Pittelli che si trova, anzi si ritrova in carcere a causa di una lettera che ha scritto.
Lo so bene che, detta così, sembra una storia assurda, colorata da quelle tinte fosche di certa letteratura dell’Ottocento, tipo Il conte di Montecristo giusto per fare un esempio famoso. E allora raccontiamola brevemente la storia dell’avvocato Pittelli, ora detenuto nel carcere di Badue Carros, carcere di massima sicurezza. Una storia che temo non sia nota a tutti perché, a parte quelle di Piero Sansonetti e Tiziana Maiolo del Riformista e di Vittorio Sgarbi, non si sono levate altre voci autorevoli su questa vicenda giudiziaria.
Pittelli era detenuto già da più di un anno a Badu e Carros, in Sardegna, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, perché imputato al maxiprocesso Rinascita Scott che si tiene in Calabria, in cui Nicola Gratteri è il Procuratore. Sorvoliamo sull’entità dell’accusa, concorso esterno, che è una di quelle contorsioni giuridiche ispirate più al Processo di Franz Kafka che a Dei delitti e delle pene di Beccaria: perché anche un normale cittadino sa che la ‘Ndrangheta o la Mafia non sono circoli ricreativi, per cui non puoi stare ai margini e dare una mano quando ti pare: o stai dentro o stai fuori, tertium non datur.
Focalizziamoci, invece, sulle condizioni di vita del detenuto: calabrese, la sua famiglia è in Calabria, il processo stesso si celebra in Calabria; ma lui lo mettono in un carcere di massima sicurezza in Sardegna, completamente isolato. Dopo mesi di isolamento, le sue condizioni psicofisiche si aggravano, come testimoniato da Vittorio Sgarbi che, in quanto parlamentare, chiede e ottiene di poterlo visitare.
E finalmente Giancarlo Pittelli, ai primi di ottobre, ottiene gli arresti domiciliari.
Non passano due mesi e l’avvocato viene nuovamente arrestato e rispedito nel carcere di massima sicurezza. Perché? Galeotta, dicevamo, fu la lettera e chi la scrisse: ha scritto una lettera a Mara Carfagna, parlamentare di Forza Italia, alla quale, in virtù di un’antica amicizia e purtroppo di una mal riposta fiducia, chiede aiuto, solidarietà, compassione. Tutto qui.
Mara Carfagna (ma FI non era un partito di garantisti?) inoltra la lettera alla polizia di Catanzaro e per il Procuratore si configura un reato: trasgressione alle prescrizioni imposte, Art 276 del codice di procedura penale. Eppure Pittelli non si è allontanato dalla sua abitazione e neppure ha comunicato con l’esterno per modificare in qualche modo il corso del processo nel quale è implicato.
Scrivere a una (presunta) amica e chiedere a lei conforto quando si è agli arresti domiciliari, davvero può considerarsi reato? Evidentemente, nel nostro Paese, per una lettera ritenuta galeotta si può anche andare in galera. E questo non è Dante e neppure Alexandre Dumas: questa è la tragica realtà.
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