La visione, per quanto riguarda le politiche familiari, di questo governo è molto pericolosa.
Se da un lato a parole si dice che si vuole tutelare e rafforzare la famiglia, nei fatti si va in direzione esattamente opposta e si cerca con ogni mezzo di cancellare il progresso e i diritti raggiunti con fatica nel corso degli anni, tornando indietro nel tempo verso una visione retrograda e liberticida, cancellando le famiglie omosessuali, privando donne e minori dei loro diritti.
Il principale dei provvedimenti in questo senso è il ddl Pillon che sottende l’idea di famiglia di questo governo.
Il disegno di legge a prima firma del senatore della Lega Pillon “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” – A.S. 735 – è certamente ilpiù pericoloso provvedimento in materia di affido per l’intero impianto culturale sul quale è basato.
Un provvedimento che, pur essendo manifestamente animato da un intento punitivo verso le donne, finisce con il colpire esclusivamente il minore.
Innanzitutto la relazione illustrativa del disegno di legge inserisce dati errati quando va a comparare la legislazione in materia di affido con altri paesi in Europa e nel mondo: nei paesi segnalati (Belgio, Canada, Svezia) le legislazioni pongono al centro sempre e soltanto l’interesse del minore, in contraddizione con quanto segnalato nella relazione illustrativa che invece tende a dimostrare come nei paesi esteri la percentuale di affido in tempi paritetici sia molto più elevata rispetto al caso italiano, grazie – secondo la visione dei firmatari della proposta – a un limite minimo di giorni di affido per entrambi i genitori che in realtà non esiste nelle altre legislazioni (dove appunto qualsiasi decisione in materia presuppone come primo e unico interesse quello del figlio).
Un altro capitolo preoccupante riguarda la questione del “mediatore familiare”: il disegno di legge de quo introduce e regolamenta la figura del mediatore stabilendone ruoli e competenze, disponendo che la durata massima della mediazione sia di sei mesi e che gli incontri con il mediatore siano a pagamento.
Questa scelta, in primis, dimostra una manifesta sfiducia nei confronti dei giudici che devono applicare le norma e affrontare le singole vicende familiari, ognuna con una connotazione propria e diversa dalle altre, oltre che una visione adultocentrica e poco proiettata nell’interesse del minore.
Inoltre, appesantisce le procedure allungando notevolmente i tempi e aumenta i costi per le famiglie – dato che la mediazione non è gratuita – in palese contrasto con i provvedimenti adottati dai governi PD nella precedente legislatura (legge 16 marzo 2015, n. 55 c.d. divorzio breve).
Così come configurata, si traduce in un’imposizione coattiva sottratta alla libera determinazione dei due adulti, in palese contrasto con l’articolo 24 della Costituzione: questo perché, qualora debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indirettamente i diritti dei minori, la mediazione familiare è considerata “condizione di procedibilità”, quindi obbligatoria.
Si aggiunge, infine, l’obbligatorietà di ricorrere alla mediazione familiare anche nel caso di violenza domestica, senza deroga alcuna, in palese violazione della Convenzione del Consiglio d’Europa (Istanbul, 11 maggio 2011) sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Il disegno di legge prevede poi l’equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari, di fatto auspicando la “bigenitorialità perfetta”: questa scelta, così configurata, comporterà inevitabilmente una pericolosa destabilizzazione del minore, obbligandolo a spostarsi tra due case ogni 15 giorni, non tenendo conto delle distanze, delle diverse residenze, delle abitudini quotidiane e degli interessi del minore (amici, attività sportive, ludiche, musicali eccetera eccetera).
Uno dei punti maggiormente preoccupanti, a mio avviso, riguarda i casi di violenza o abuso sessuale su minore da parte di uno dei genitori: il ddl Pillon garantisce comunque il diritto del minore alla bigenitorialità, obbligando il minore a mantenere la frequentazione con l’altro genitore anche nei casi di violenza o abuso sessuale.
Si parte dal concetto della “bigenitorialità” per colpire nuovamente la madre con altre due scelte che non lasciano spazio a diversa interpretazione.
Dati alla mano, in Italia, le donne sono in percentuale meno proprietarie di case rispetto agli uomini e meno occupate o occupate con uno stipendio medio inferiore: il ddl Pillon aboliscesia l’assegnazione della casa coniugale al genitore con il quale il minore trascorre la maggior parte del tempo, obbligando il genitore non proprietario a lasciare la casa familiare e trovarsi una sistemazione diversa e idonea o a versare un indennizzo al genitore proprietario; sia l’assegno perequativo, nato per garantire al figlio lo stesso tenore di vita presso ciascun genitore, sostanzialmente simile a quello goduto quando la famiglia era unita. E’ evidente come le conseguenze negative ricadranno in larghissima parte sulle madri viste le premesse sopra segnalate.
Infine il ddl Pillon introduce la “sindrome da alienazione parentale”, una controversa e ipotetica dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio conflittuale dei genitori, non adeguatamente mediate. Una sindrome ad oggi non riconosciuta dalla grande maggioranza della comunità scientifica e legale internazionale la quale, riconosciuta nella proposta di legge Pillon, consentirebbe al giudice – anche in assenza di evidenti condotte di uno dei due genitori, quando il figlio minore manifesti rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi – di prendere provvedimenti quali, ad esempio, la limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, l’inversione della residenza del figlio minore presso l’altro genitore o la limitazione dei tempi di permanenza, il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata.
La sintesi per punti del ddl Pillon evidenzia un chiaro intento punitivo nei confronti della madre ma produce, una volta analizzato il testo, un evidente disagio e squilibrio per il figlio minorenne, ovvero il soggetto che la proposta di legge mirerebbe a tutelare maggiormente rispetto a quanto garantito dalla legislazione vigente in materia.
Se a questa proposta sommiamo l’eliminazione del bonus baby sitter e asilo nido che era stato introdotto dai governi Pd – normativa che consentiva di monetizzare il congedo parentale, permettendo alle donne di tornare al lavoro prima in cambio di un bonus di 600 euro mensili per 6 mesi – e la presenza in massa di esponenti di primo piano della Lega e Fratelli d’Italia alla Convention delle famiglie svoltasi a Verona – durante la quale sono state criminalizzate le leggi sull’aborto e sul divorzio, individuando nell’impegno attivo della donna nel mondo del lavoro e della società la causa della riduzione del numero delle nascite del nostro paese – è divenuto palese, per chi non voglia voltarsi dall’altra parte, l’intento di ricollocare socialmente la donna nel ruolo che occupava nella prima metà del ‘900: non occupata, esclusivamente impegnata nella cura della casa e dell’alveo familiare. Condizione che spesso, se non quasi sempre, determinava una dipendenza economica nei confronti del marito, nessuna autonomia decisionale e sudditanza psicologica.
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