Appena si è incominciato a parlare dell’aspirazione del fondo statunitense Kkr a prendere il controllo di Telecom Italia, subito è scattato il riflesso condizionato bi-partisan contro l’invasione della perfida multinazionale: da sinistra si è alzata la voce del segretario generale della Cgil, che ha chiesto l’intervento del Governo per una “rete unica” (su cui la Commissione UE si è già pronunciata negativamente), ovviamente controllata dallo Stato; dalla parte opposta le voci di Lega e FdI, preoccupate dell’attacco all’italianità della nostra grande impresa. Ora, anche a voler tacere del fatto che questa “italianità” ultimamente si è un po’ appannata con l’ingresso nella società della spagnola Telefonica e della francese Vivendi, c’è da chiedersi quale senso possa ancora avere l’estenuato ripetersi di questa alzata di scudi contro capitale e management stranieri, in una azienda i cui gestori italiani nell’ultimo quarto di secolo non hanno certo dato grande prova di sé. Abbiamo ancora nelle orecchie gli allarmi che nel 2007 accompagnarono il tentativo di ingresso in Telecom Italia da parte di AT&T, allora la più grande operatrice mondiale del settore, in difesa della italianissima gestione Tronchetti, che proprio in quegli anni stava consentendo l’annidarsi nell’azienda di una delle più pericolose centrali di spionaggio telefonico che il nostro Paese abbia mai conosciuto; né fu molto migliore, negli anni successivi, la gestione degli italianissimi “capitani coraggiosi”, che hanno riempito la società di debiti senza dotarla di un piano strategico degno di questo nome.
Di che cosa abbiamo paura? Che i perfidi yankees si portino via la rete? Quelli di Kkr non sono pazzi; e tutto vogliono tranne che buttar via i propri soldi. Lo Stato ha comunque tutti i mezzi per controllare il corretto funzionamento della struttura e lo svolgimento corretto della sua funzione di interesse pubblico. Invece, chiudere pregiudizialmente le porte a capitale e management che non siano italiani può solo condannare per sempre l’azienda all’arretratezza.
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(Questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso dal sito www.pietroichino.it)
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