Il piccolo Def di Aprile (per distinguerlo da quello grande, più vero, di fine anno) pur nella sua limitatezza dice tante cose. In primo luogo che dopo aver deriso e svillaneggiato i grandi organismi internazionali tipo Ocse, Imf e aver considerato come “boutades politiche” le previsioni di tanti istituti nazionali ed europei di ricerca, il Governo gialloverde cede alla “realtà”. E la realtà non lascia tanto spazio all’inventiva. La crescita si ferma ad un misero 0.2%. Per questo il deficit tornerà sui propri passi sul livello inizialmente avanzato dal Governo e poi rifiutato da Bruxelles di 2,4% e il debito pubblico dopo 4 anni di lieve ma continua decrescita salirà a 132,7%.
Insomma senza esagerare i toni ma la situazione economica si presenta come una mezza Caporetto per il Governo. Specialmente se si considera che fino a poche settimane or sono dai membri più autorevoli non si perdeva l’occasione di decantare il prossimo, preventivabile, “boom economico” del paese. Proprio grazie alle manovre di sostegno ai redditi delle persone più in difficoltà, con il reddito di cittadinanza, e allo scambio pensionati con nuovi giovani occupati (con una saldo ampiamente attivo) realizzato attraverso la manovra di quota 100.
Ed invece nulla di tutto ciò. L’effetto moltiplicativo di queste spese inciderà di poco sulla crescita (si parla appena di uno 0,2%) e l’effetto sostitutivo di tipo occupazionale sarà addirittura negativo. Mettendo in evidenza una cosa risaputa e detta da più parti, che i pensionamenti in un clima di bassa crescita economica non danno luogo a nessun moltiplicatore occupazionale e non raggiungono neppure l’effetto meramente sostitutivo.
Insomma nulla di che rallegrarci. Anche perché a fronte di continui lanci di agenzia e twitter che fanno pensare più a uno scontro per chi si accaparra le risorse che non ci sono fra i due contendenti al Governo, la Lega e il M5s, piuttosto che ad una sana opera di rimessa in ordine dei conti, magari con più attenzione alle politiche per la crescita, lo spread continua a stazionare sopra i 250 punti.
Questo è il giudizio che oramai viene ripetuto da più parti. Solo il Governo continua in un’opera di marketing continuo teso a nascondere la realtà dei fatti. Con i due contendenti che, non contenti del possibile sfondamento dell’equilibrio finanziario previsto dal Def di appena pochi mesi or sono e messo alla base del rapporto di tregua fra Bruxelles e Roma, continuano a rilanciare sulla spesa con nuove e fantasiose promesse elettorali. Mirabolanti flat tax, aiuti sterminati per famiglie con figli, rilancio del ruolo del ceto medio, mutui gratis per i meno abbienti e così via verso il mitico “albero della cuccagna.
Ma a questo punto emerge una domanda ineludibile. Cosa si dovrebbe fare? Prendiamo un Governante illuminato, privo di ansie elettorali e di mitologie populistiche, e mettiamolo a governare. Che dovrebbe e potrebbe fare?
La situazione economica del paese non è strutturalmente, e non da ora, delle migliori. Alta spesa pubblica, bassa produttività e difficoltà occupazionali. In che modo si potrebbe tentare di invertire la rotta proprio in un momento internazionale di bassa crescita e di incremento assoluto di incertezza?
Come prima cosa direi che occorre valutare seriamente il clima internazionale. E prendere atto che siamo in un clima di bassa crescita. Se questo è vero bisognerebbe a livello europeo non compiere l’errore già commesso nell’ultima fase di crisi internazionale. E cioè applicare “l’austerity” come ricetta di rimessa in ordine dei conti in un periodo di bassa crescita. Questo non fa altro che peggiorare la situazione e rende l’idea di Europa ai cittadini come un inutile orpello invece che come utile strumento di gestione dell’economia. Peraltro l’analisi dei diversi “output gap” delle economie dei paesi dell’Europa consente di applicare politiche anticicliche e di rilancio economico. Sembra paradossale ma il cambiamento che il Governo gialloverde chiedeva all’Europa ora avrebbe un senso e avrebbe parametri su cui fondarsi ma, ahimè, oggi a questo Governo manca l’autorevolezza per rilanciare proposte essendosi reso poco credibile con le “pierinate” di questo anno.
Insomma l’Europa, e l’Italia, dovrebbe avere oggi più spazio in termini di deficit consentito per rispondere al ciclo economico che non si presenta soddisfacente. Ma un maggior deficit per fare cosa? Non certo per aumentare l’assistenza nel paese. E neppure per aumentare il peso del sistema pensionistico. E neppure per diminuire in maniera generalizzata la tassazione. La maggiore spesa ammessa, che potrebbe essere ulteriormente incrementata da qualche contributo leggero e mirato di imposta patrimoniale, dovrebbe andare prevalentemente ad incrementare il livello degli investimenti pubblici, accelerandone i processi di realizzazione questo sì con provvedimenti di tipo eccezionale, e a sostenere processi di incremento della produttività sia a livello di capitale umano (formazione) sia a livello di impresa (incentivi alla ricerca e sviluppo, a investimenti innovativi, alla qualificazione dei processi produttivi).
La cosa che andrebbe invece evitata sarebbe quella di dare un maggior spazio di spesa a questo Governo consentendogli di innalzare ancora la spesa improduttiva lasciando completamente inalterato l’intervento sul sistema infrastrutturale e sulla qualità del sistema produttivo.
Questa sarebbe davvero una risposta mancata all’ultimo appello per le forze sane del paese.
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