L’Italia sembra aver imboccato definitivamente la strada della ripresa economica: l’anno prossimo (e quindi in soli 2 anni) l’Italia ritoccherà il livello di produttività pre Covid.
Un successo? Sì, se consideriamo che dopo la crisi del 2008, l’Italia ci aveva messo ben 11 anni per tornare ai livelli precedenti.
Potremmo scrivere per ore ed ore sulla differente (e più illuminata) visione economica adottata per fronteggiare questa crisi pandemica, rispetto a quella finanziaria del 2008: politiche monetarie ultra espansive e massicce politiche fiscali hanno favorito questa ripresa internazionale. Il modello dell’austerity adottato nel passato si era rivelato un clamoroso errore.
Gaudeamus igitur? Dipende. Perché tornando a guardare nei nostri confini, l’Italia torna esattamente nel punto in cui si era già impantanata due anni fa. Qualcuno la chiamava soddisfatto “decrescita felice”, ma a mio modesto avviso, una economia che non è cresciuta negli ultimi 40 anni (dal grande boom industriale durato fino agli anni 70), di felice ha ben poco.
Le cause di questo colossale flop sono numerose e ben conosciute: burocrazia, sistema scolastico poco focalizzato alla eccellenza, pubblica amministrazione, giustizia lenta e farraginosa, etc etc.. e su queste ha una responsabilità diretta la nostra classe dirigente.
Ma c’è anche una responsabilità degli stessi attori economici, che in alcuni casi hanno preferito fossilizzarsi su un modello di capitalismo familista, che da tempo sembra affetto dalla sindrome di Peter Pan (non vuole più crescere) e in altri casi hanno ricercato il raggiungimento della dimensione, come salvaguardia della futura esistenza.
Per carità, abbiamo anche casi virtuosi di giovani rampolli dell’industria italiana che hanno capito che è meglio fare l’azionista che il manager, affidando il ruolo a gente, (presumibilmente) più competente, (visto che anche in economia, uno non vale uno), ma la maggior parte delle imprese italiane sceglie ancora la successione in famiglia.
E ora abbiamo tutti una splendida occasione, che è rappresentata dalla dote miliardaria garantita dall’Europa, purchè si traduca nel coraggio di fare riforme da parte dello Stato e di fare impresa da parte degli imprenditori.
Non possiamo più trovarci tra 10 anni con una crescita a zero. Il mercato non ce lo consentirebbe: non si fa credito a chi non ha reddito e il nostro spread alle stelle sarebbe il testimone del nostro inabissamento.
O ora o mai più. Che poi significherebbe sostenere le imprese meritevoli e le nuove iniziative, garantire il salvataggio alle sole aziende con concrete possibilità di recupero ed espellere quelle aziende che drenano risorse dal mercato, senza restituirle.
L’alternativa è come sempre imbarcare tutti sulla nave dell’economia italiana. Speriamo allora di non incontrare sulla rotta nessuno scoglio…
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