Considero l’espressione “semipresidenzialismo di fatto”, applicata al caso italiano da intellettuali di grande prestigio come Massimo Cacciari, da grandi giornalisti come Paolo Mieli e da importanti leader politici come il numero 2 della Lega Giancarlo Giorgetti , un errore clamoroso.
Non parlo per sentito dire. Tra il 1993 e il 1997 ho collaborato dall’esterno a importanti eventi a New York promossi dalla rappresentanza d’Italia alle Nazioni Unite, a cui parteciparono gli allora ministri degli Esteri Lamberto Dini e Susanna Agnelli, Livio Caputo, l’allora sindaco di Firenze Mario Primicerio, il cardinale Renato Raffaele Martino, e una volta, al Winter Garden, persino Armando Cossutta in occasione del suo primo viaggio negli Stati Uniti.
Ho ricordato questi momenti della presidenza di Oscar Luigi Scalfaro perché si dall’inizio si trovò ad affrontare una situazione difficilissima: le stragi di mafia, Mani Pulite, la crisi della lira e una fase di turbolenza politica che non aveva precedenti nella storia della Repubblica.
Non c’è dubbio che in quella fase così complicata Scalfaro si sia trovato nelle condizioni di dover supplire come meglio poteva alle difficoltà e soprattutto ai vuoti della politica.
Ma la parola giusta da usare è supplenza. Non c’entra niente il “semipresidenzialismo di fatto”. Il Colle ha avuto certamente un peso su singole vicende importanti, ma sempre specifiche e contingenti. Il semipresidenzialismo è ben altro!
Ho citato all’inizio la Rappresentanza d’Italia alle Nazioni Unite perché in quel momento alla Farnesina c’era una corrente di pensiero che guardava giustamente a Berlino in vista dell’euro. Ma essa – sbagliando, voleva concedere troppo alla Germania. Era, infatti, favorevole all’ingresso immediato di Germania e Giappone nel Consiglio di Sicurezza, il cosiddetto quick fixper la riforma del CdS dell’ONU
In quel caso, prima Silvio Berlusconi e successivamente Romano Prodi, con la forte “benedizione del Quirinale”, confermarono la posizione ufficiale italiana. L’Italia riuscì a bloccare il “quick fix” all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, aprendo così la prospettiva di un seggio per l’ Unione europea e l’Unione Africana all’interno della riforma del Consiglio di Sicurezza, una prospettiva di riforma purtroppo sinora inattuata.
In un caso importante come questo l’influenza politica del Quirinale è stata, a mio avviso, molto rilevante e positiva, senza minimamente superare le prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica.
Potrei aggiungere altri momenti di supplenza della presidenza Scalfaro, ma mi limito a citare un altro caso che riguarda, invece, la presidenza di Giorgio Napolitano.
Chi ha seguito le vicende politiche della Prima Repubblica si ricorda certamente quanto Napolitano (e il gruppo delle persone a lui più vicine – anch’io mi onoro di averne fatto per oltre un decennio) abbia contribuito, da una posizione di minoranza, affinché nel PCI si potessero legittimare le parole “riformismo” e “socialdemocrazia”, prima impronunciabili.
La grande stima per Napolitano e il forte attaccamento alla mia esperienza migliorista – pur con le sue luci e le sue ombre – mi impediscono di analizzare con il necessario distacco il ruolo di Napolitano al Quirinale. Non voglio essere accusato di piaggeria e mi limito a ricordare un episodio.
Il presidente Napolitano nel giugno del 2006, in occasione del suo primo intervento al Consiglio Superiore della Magistratura, pose con grande energia il tema della inammissibile lunghezza dei processi. Un chiaro messaggio di natura politica che nessuno si permetterebbe etichettare come interferenza indebita e non solo per il ruolo perché il Presidente della Repubblica presiede il Csm.
Bene, da allora sono passati 15 anni e in questo lungo periodo non è successo assolutamente niente. Anzi, è dovuta intervenire più volte pesantemente l’Unione europea per mettere in mora l’Italia sulla riforma della giustizia.
Ho fatto questi due esempi sul Quirinale perché non voglio negare una qualche influenza del Colle sulla politica (è verosimile che in alcuni casi Scalfaro e Napolitano abbiano anche influenzato la nomina o meno di alcuni ministri). Tuttavia, ricordo ai lettori di Solo Riformisti che il presidente Scalfaro è stato al Quirinale sette anni e Giorgio Napolitano addirittura nove.
Il caso della mancata riforma della giustizia è eclatante, tra i tanti esempi possibili, e dimostra che l’influenza del Colle può esserci, ma a Costituzione invariata non può che essere una supplenza sporadica e contingente.
In un contesto storico e istituzionale come il nostro parlare di “semipresidenzialismo di fatto”, a mio avviso, è un segno di ignoranza o semplicemente di rassegnazione e sfiducia. Infatti il semipresidenzialismo- che piaccia o non piaccia – implica una diversa forma di governo. Chi è favorevole ritiene che sia utile per assicurare una costante e incisiva capacità di governare e decidere le grandi scelte del Paese nel breve e medio termine.
Oggi in Italia questo ruolo lo possono svolgere – se e quando ci riescono – solo tre soggetti ben coordinati: il Presidente del Consiglio, il Governo e last but not least la maggioranza parlamentare. Per inciso, il ruolo del Presidente del Consiglio andrebbe un po’ rafforzato, ma questo è un altro discorso.
Chi vuole Mario Draghi al Quirinale deve sapere che – per quanto la sua figura possa essere autorevole – dal Colle si può sorvegliare e per alcuni aspetti influenzare, ma non c’è modo di governare, assumere decisioni strategiche e fare le riforme di cui l’Italia ha un disperato bisogno.
C’è chi candida Draghi alla Presidenza della Repubblica in buona fede. Altri in cattiva fede. Vedremo, ma chi lo propone in nome del “semipresidenzialismo di fatto” è decisamente fuori strada. Per questa ragione – mettendomi per un attimo nei panni di Enrico Letta – prenderei una posizione netta: errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Traduco il mio messaggio perché è troppo allusivo e in politichese. Se dovessero crearsi le condizioni favorevoli, nei panni di Letta (nipote) non ripeterei mai l’imperdonabile errore fatto da Achille Occhetto nel 1994. Se avesse candidato Carlo Azeglio Ciampi come Presidente del Consiglio forse il centrodestra non avrebbe vinto. A buon intenditor poche parole.
Rielaborazione dall’originale da Formiche.net
Adriano Soi
In mancanza di elezione diretta del capo dello stato non si può parlare di presidenzialismo o semipresidenzialismo, ma solo di spostamenti del baricentro decisionale del sistema politico dall’universo dei partiti (indeboliti, inefficienti, incapaci di compiere la propria missione) all’asse Chigi-Quirinale, come spiega bene la teoria del doppio-motore di Sartori. Siamo ancora nella fisiologia di un sistema parlamentare, anche perché non si vede ancora nessun partito del presidente, elemento indispensabile per una transizione democratica verso un cambio di forma di governo.
Marco mayer
Condivido grazie Adriano