Organizzato dalle riviste “Luminosi giorni” e “SoloRiformisti” si è tenuto un Incontro on line su “Venezia e Firenze: turismo, quale governo?”. Interessanti e molto pertinenti le relazioni di Damiano De Marchi, Stefano Casini Benvenuti, Dario Bertocchi e Paolo Costa e gli interventi di Sandra Bianchini e Giancarlo Carniani.
Tanti spunti e tante considerazioni sia sul fenomeno in sé, il turismo, sia sulla situazione locale delle due città e del loro territorio. Con Venezia in una fase di “criticità avanzata” nel rapporto fra presenze turistiche e residenze a fronte di una Firenze ancora gestibile ma incamminata, in mancanza di politiche specifiche, su un tale “percorso critico”.
Ma veniamo al turismo. Un fenomeno economico, sociale e culturale che impatta notevolmente sulle città d’arte del nostro paese e che, per visibilità e fisicità, sembra rappresentare la principale risorsa su cui fondare la crescita e lo sviluppo dei sistemi locali a forte vocazione turistica.
In effetti così non è. Ed è stato spiegato con dovizia di dati e con l’ausilio di modelli interpretativi consolidati nella letteratura economica come i modelli input-output. In una Regione come la Toscana, certamente fra le più forti in termini di turismo, se consideriamo tutte le presenze turistiche, anche quelle non registrate nelle statistiche ufficiali in quanto utilizzano case private e alloggiamenti non autorizzati, la spesa complessiva impatta sull’economia regionale per circa il 10% del totale. Si tratta quindi di un contributo significativo ma certamente non tale da risultare, come spesso capita nelle dichiarazioni di alcuni politici o nelle percezioni popolari, come il principale settore di sviluppo del paese.
Sbaglia quindi chi vede nel turismo il settore di punta, certe volte addirittura esclusivo, su cui fondare la ripresa del paese. Ci sono settori rilevanti nell’area dell’industria e dei servizi avanzati, collegati in maniera diretta con la transizione digitale e più in generale con lo sviluppo della tecnologia, che già oggi ma ancora di più nel futuro prossimo potranno e dovranno trascinare l’economia del paese. Ed è sempre bene non dimenticarselo.
E’ interessante rilevare, come è emerso nella discussione, che mentre il sistema locale di Venezia, che comprende il centro storico ma anche il territorio circostante, vede un rapporto fra esportazione di beni e spesa turistica di uno ad uno, nel sistema locale di Firenze, a dimostrazione dell’importanza degli “altri settori” anche per una città ad alta caratterizzazione turistica, il rapporto è di circa due a uno. Cioè le esportazioni di beni valgono due volte la spesa turistica. Insomma il carattere industriale di Firenze risulta marcato non appena si abbandona il territorio del centro storico e ci si addentra nei territori immediatamente circostanti.
Ma se restiamo nei centri storici il turismo ha un evidente rilievo. Certamente in termini economici ma anche, ed era l’argomento centrale dell’incontro, in termini sociali e territoriali. Di fronte ad una domanda immensa nel mondo, fermata soltanto per effetto della pandemia ma pronta a ripartire come si può vedere dai primi segnali di ripresa, nei confronti delle città d’arte italiane, il “mercato”, lasciato sé stesso, porta ad un evidente processo di “sovra-sfruttamento” e ad un altrettanto evidente snaturamento della componente residenziale delle città.
I centri storici si riempiono, oltre la capacità di “tenuta”, di turisti, le abitazioni tendono a trasformarsi in alloggi per il turismo e i residenti vengono respinti al “di fuori delle mura”. Prevale il “turismo mordi e fuggi”, anche perché l’offerta tende ad uniformarsi a quel tipo di domanda, più facile da soddisfare anche da parte di soggetti “incapaci” che non puntano alla qualità, e il turismo diventa un “problema” per le comunità residenti. Le Istituzioni colgono “il grido di dolore” che viene dagli abitanti ma, di fronte al sistema economico che cresce e si rafforza sempre di più di fronte a questo fenomeno, pur nella sua “distorsione”, non riescono a darsi e quindi a trasmettere alle città un chiaro indirizzo strategico.
E quindi nella discussione politica si afferma con forza la lotta al turismo mordi e fuggi, si rileva l’impossibilità di continuare una crescita senza limiti e si proclama l’importanza di riportare i residenti nei centri storici ma il tutto rimane alla fine un “wishful thinking”. Niente di più. La strategia effettiva delle Istituzioni rimane troppo “debole” per poter contrastare le forze spontanee del mercato.
Ma ci sarebbe una possibilità alternativa per rispondere a questa forza spontanea che, di per sé, porta allo snaturamento delle città d’arte? Ci sarebbe, anche se di difficile attuazione. Non tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello politico. Come sa ogni amministratore locale, cercare di cambiare l’andamento spontaneo di un fenomeno, pur in presenza di una opinione pubblica tendenzialmente favorevole al cambiamento, genera minoranze compatte che si oppongono in quanto colpite negativamente da un tale cambiamento. E l’avversione compatta di tali minoranze risulta spesso capace di superare in termini politici l’adesione più distaccata della maggioranza.
In termini tecnici si tratterebbe di fare, per ogni città e ogni centro storico, un’analisi dei “principali attrattori” turistici, fra cui anche il territorio calpestabile di alcune aree a forte valenza turistica, e di valutare quindi la “capacità di carico” gestibile. E su questa “capacità” definire il livello e la tipologia turistica sopportabile. E’ evidente che l’offerta dovrebbe in tal caso definirsi non tanto sulle potenzialità di attrazione quanto sul massimo di domanda gestibile dal sistema locale. E’ evidente che qualsiasi politica di “decentramento” del turismo verso “attrattori e territori” diversi da quelli normalmente visitati aumenterebbe di fatto la capacità di carico del sistema. Ed è altrettanto evidente che un turista che distribuisce la propria presenza su più giorni è più facile che non “intasi” gli “attrattori critici” delle città.
Insomma il metodo tecnico esiste. Al di là della sua applicabilità specifica per ogni città sembrerebbe poter dare un indirizzo chiaro alle Istituzioni che governano il fenomeno. Si tratta di partire da questa impostazione per delineare alcune politiche coerenti. Nessuno pensa di poter chiudere le città d’arte con dei tornelli, come nei musei. Ma fra chiudere le città come musei a lasciarle libere e indifese nei confronti delle quantità, qualità e modalità decise al di fuori delle comunità di accoglienza ci sono forse diverse azioni possibili per evitare lo snaturamento sociale e demografico. Venezia è già molto avanti in questo processo di snaturamento. Firenze seguirà a ruota? O è ancora possibile per Venezia e ancora di più per Firenze tracciare un’altra strada? Si è cominciato a discuterne.
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