All’inizio degli anni Settanta cadono le certezze che avevano favorito l’impetuosa crescita economica dei primi decenni del dopoguerra. Il sistema monetario disegnato a Bretton Woods finisce nel 1971 con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro ed il conseguente disordine valutario, la crisi petrolifera susseguente alla guerra dello Yom Kippur pone fine ad un modello di sviluppo basato sulla disponibilità (apparentemente) illimitata di energia a basso costo, una partita di ping pong riporta sulla scena internazionale (le conseguenze si vedranno decenni dopo) il gigante Cina, mentre gli USA abbandonano Saigon occupata dalle truppe nordvietnamite e dai vietcong.
- In questo contesto di radicali trasformazioni, uscito di scena il generale de Gaulle, l’Europa si trova a dover ridefinire la propria identità ed il proprio ruolo nel mondo. Nuovi paesi entrano nella Comunità, in primis la Gran Bretagna, un grande passo in avanti ma a quali condizioni entrano?
La “guerra fredda” creava tensioni continue e scontri all’esterno, come si è visto per il Vietnam, ma non mancavano fasi di distensione o di “coesistenza pacifica”. Specialmente perché lo spettro della guerra in Europa si allontanava sempre di più. Nonostante le ideologie rivoluzionarie che sognavano partiti armati anche in Europa come se la rivoluzione coincidesse con le grandi manifestazioni di massa del mondo operaio e degli studenti, in Europa si affermava la democrazia. Così accade in Grecia, in Portogallo, in Spagna e questo fu sicuramente favorito dal progredire economico e civile dei paesi che avevano aderito alla Comunità. In Grecia finisce la dittatura dei Colonnelli e la monarchia, complice dei colonnelli, fu sostituita dalla repubblica che nel referendum ottenne il 70% dei consensi. In Portogallo un gruppo di giovani ufficiali favorirono la fine del regime dittatoriale che regnava dal 1926. Dopo un anno e mezzo di incertezze, alla fine nel 1975 si andò alle elezioni a cui parteciparono, con grande speranze, i comunisti. Invece i socialisti di Mario Soares ottennero il 38% dei voti ed i comunisti il 13%. Nello stesso anno a novembre fallì un colpo di stato di sinistra. Nel giugno del 1976, mentre l’economia portoghese cadeva a pezzi, fu eletto presidente della repubblica l’ammiraglio Eanes che stabilizzò il ritorno alla democrazia.
La sinistra europea assimilava il franchismo al fascismo, in realtà fin dal 1959 la Spagna cercava d’entrare nell’Europa comunitaria. Entrò, infatti, nell’OECE e nel 1970 firmò un accordo preferenziale con il Mercato comune. Tuttavia solo nel 1977, dopo che il generale Franco era morto nel novembre 1975, la Spagna aderì al Consiglio d’Europa. Ormai si era restaurata la monarchia dei Borboni e il re Juan Carlos poteva garantire il pacifico ritorno alla democrazia. Alle prime elezioni politiche, anche in Spagna il voto penalizzò i comunisti che ottennero solo l’11% dei voti nonostante che il segretario, Santiago Carrillo, avesse condannato il predominio sovietico e reclamato il ritiro dell’Armata Rossa dalla Cecoslovacchia. Gli europei, quando potevano scegliere, si orientavano per la democrazia ed il libero confronto fra i partiti. Fu la comunità a fare da polo d’attrazione per il ritorno alla democrazia e al benessere della società, che accade se, insieme alle libere istituzioni, esiste un’economia di mercato, e una società che si articola in associazioni e partiti. Addirittura persino l’Inghilterra bussava per entrare, dopo la morte (1970) del generale De Gaulle.
Willy Brandt, socialdemocratico che nel 1969 andò al potere alleato con i liberali, inaugurò la Ostpolitik destinata ad instaurare un modus vivendi fra le due Germanie e con i paesi dell’Est, bisognosi degli aiuti finanziari tedeschi. Si aprì, così, la strada verso il trattato di Helsinki che segna una vera rottura nelle frontiere della guerra fredda. Alla Conferenza dell’Aia Willy Brandt apparve come il leader dell’Europa comunitaria, che proprio in quegli anni completava la costruzione del Mercato comune, senza però una vera autonomia nella politica monetaria e nella difesa.
Irlanda, Danimarca, dopo i referendum vinti dai favorevoli all’adesione con larghe maggioranze, entrarono nel Mercato comune. Il percorso dell’adesione della Gran Bretagna fu assai più lungo e tormentato, fino a che il 5 giugno 1975 i laburisti , tornati al potere con Harold Wilson, indissero un referendum per l’adesione. Ci furono 67,2% si e 32,8% no. L’Inghilterra entrava nel Mercato comune ma manteneva i suoi rapporti speciali con il Commonwealth e con gli Stati Uniti. Persino in Francia i socialisti, in un referendum voluto dal presidente Pompidou, si espressero a favore dell’Europa comunitaria mentre i comunisti restavano ancora ostili. Nel 1975 l’Europa dei Sei era diventata l’Europa dei Nove, proprio mentre imperversava la crisi petrolifera e l’OPEC , dopo la guerra del Kippur del 1973, fece schizzare in alto il prezzo del petrolio per sostenere gli stati arabi nella lotta contro Israele.
Nel 1975 Jean Monnet scioglieva il suo “Comitato per gli Stati Uniti d’Europa” e si ritirava a stendere le sue memorie: nello stesso anno veniva fondato l’Istituto Universitario Europeo di Firenze .
Di crisi in crisi, l’Europa andava avanti, se non sul piano politico, certo su quello economico. In realtà fin dal 1974 si era istituito il Consiglio europeo, ampiamente ispirato dallo stesso Monnet, sotto la presidenza di Valery Giscard D’Estaing. Dal consiglio Europeo vennero avanti tutte le mediazioni politiche necessarie alla creazione, nel 1979, del Sistema Monetario Europeo.
Nel 1972, va ricordato, nel vertice di Parigi erano stati definiti nuovi campi di azione della comunità in materia di politiche regionali, ambientali, sociali, energetiche e industriale.
- Con la fine di Bretton Woods si pose subito il problema di come regolare i tassi di cambio delle diverse valute nazionali e garantire la stabilità degli scambi commerciali. impedendo eccessive fluttuazioni, non solo tra le valute europee, ma anche fra queste e il dollaro. Quali furono le soluzioni adottate e come funzionarono?
Le risposte alla domanda stanno nel contesto che abbiamo descritto e nel fatto che il “golden age” aumentò notevolmente l’interdipendenza ed il processo di globalizzazione. Di fatto il ruolo degli USA, ma anche quello della Russia, ne uscì ridimensionato. Il dollaro, però, estese la sua area di impiego anche grazie alle imprese multinazionali. Tanto che la Federal Reserve, la Banca centrale degli USA, ne aveva perso il controllo, pur rimanendo garante della conversione in oro in base agli accordi di Bretton Woods. Così le riserve auree degli Stati Uniti cominciarono a calare. Nel 1970, al deficit della bilancia dei pagamenti, si aggiunse il deficit commerciale perché gli USA importavano più merci (automobili, elettronica, abbigliamento) di quante ne esportavano. L’inflazione salì al 5% e, alla fine, si arrivò alla sospensione della inconvertibilità del dollaro (1971), alla fine cioè degli accordi di Bretton Woods. L’Occidente non aveva più un sistema regolatore degli scambi, che fra USA ed Europa occidentale erano assai elevati.
Le valute nazionali cominciarono a fluttuare liberamente nel mercato dei cambi. Il dollaro si svalutò e non mancarono tensioni con la CEE. L’alleanza militare con la NATO restava, ma l’Europa non comunista sceglieva la via dell’integrazione economica. La CEE varava il “serpente monetario” con bande di oscillazione per i paesi aderenti. Se le monete nazionali superavano la soglia di oscillazione fissata, le banche centrali intervenivano per acquistare o vendere le proprie riserve.
Vittima delle turbolenze di quegli anni fu la lira, costretta nel 1971 a rivalutarsi per la crisi del dollaro, seguita nel 1973 da una seconda svalutazione di oltre il 20% che la costrinse ad uscire dal Serpente monetario e di nuovo si svaluterà ne1976. Eventi rimossi dalla memoria collettiva ma di grande rilievo anche nella costruzione comunitaria e da ricordare a chi, ancora oggi, rimpiange un mondo fatto di svalutazioni
La ritirata dal Vietnam, la crisi della presidenza Nixon, che pure nel 1972 aveva concluso con la Russia un importante trattato per la riduzione degli armamenti strategici , congelando per cinque anni gli arsenali nucleari delle due superpotenze SALT, e nello stesso anno era volato a Pechino per la ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche con la Cina, attestavano una fase di declino della potenza americana. In parallelo anche l’URSS sentiva il peso della sua proiezione mondiale e militare.
La conferenza di Helsinki (1975) fu un successo dei 33 paesi europei dell’Est e dell’Ovest che convennero sul rispetto dei loro confini, della non ingerenza e della rinuncia all’uso della forza.
La “distensione” premiava le relazioni intraeuropee e rendeva sempre più fragili i “muri”. Tutto ciò mentre nel mondo ex coloniale si imponevano le dittature militari dall’Egitto alla Libia, dal Sudan alla Siria ed all’Iraq. Dopo l’ennesima sconfitta dei paesi arabi con la guerra del Kippur, non restava che accettare la via della trattativa che si concluse nel 1978 con gli accordi di pace di Camp David, firmati da Egitto e Israele. Sadat pagò la scelta della pace con la vita in un sanguinoso attentato organizzato dai Fratelli Musulmani (1981) . La guerra fredda non era finita ma le due superpotenze erano sfinite.
- Da un lato i paesi della CEE rappresentano un modello di democrazia e di sviluppo che favorisce la fine di antiche dittature (Spagna Portogallo) o di recenti (la Grecia dei colonnelli, dall’altro al suo interno si sviluppano movimenti terroristici che attraversarono come meteore la Germania, la RAF, mentre in Italia perdurarono a lungo, con radicamento di massa delle BR, fino al sequestro dell’onorevole Moro che fu ucciso con manifestazione di geometrica potenza. Come si conciliano queste due visioni dell’Europa come spazio privilegiato della democrazia?
Questa è una domanda fondamentale per capire che la storia non è mai un processo lineare, ma anche per capire che in nessuna parte del mondo gli intellettuali hanno tanta influenza come in Europa Occidentale o negli Stati Uniti. La loro presenza può essere un lievito della democrazia, ma gli intellettuali sono stati anche, se non tutti, molti, i chierici a sostegno dei vari regimi e delle ideologie totalitarie. Così in Europa Occidentale, sull’onda dei movimenti del 1968, in alcuni paesi, come l’Italia e la Germania, sotto la copertura ideologica dell’antifascismo, riemerse negli anni Settanta il fantasma del partito armato, dalle “Brigate Rosse” alla RAF, “Frazione Rossa Armata”. Nelle Università si crearono vasti aloni di simpatia per ideologie rivoluzionarie a sfondo leninista o terzomondista, proprio mente i sistemi autoritari o le dittature militari cadevano per lasciar posto a governi democratici. Lo stesso mondo del comunismo reale era scosso da convulsioni e tentativi di riforma che furono “repressi” con i carri armati di Mosca.
Eppure proprio in quegli anni Settanta i governi dei paesi europei si impegnarono in un “processo di unificazione” seguendo il metodo del comune accordo e della risoluzione politica dei contrasti.
Purtroppo in Italia il terrorismo rosso si è alimentato di una opposta strategia nera, altrettanto irrispettosa delle regole democratiche. Per cui la democrazia italiana per reggersi ha dovuto spendere e spandere per generare consenso. Non si costruì solo lo stato sociale, che era una grande conquista, si pensi solo alla sanità, ma anche lo stato clientelare e partitocratico, un sistema di democrazia consociativa senza ricambio, che inserì nel gioco democratico e spartitorio anche il maggior partito di opposizione (con forti componenti ideologiche antisistema) e cioè il PCI, ma non favorì né il ricambio della classe dirigente politica, né una buona gestione dello Stato. Infatti crebbe il debito pubblico, generando flussi di spesa a tutto danno degli investimenti pubblici e privati. Per questo l’Italia fu costretta a ricorrere agli aiuti del FMI e al mercato internazionale per collocare i titoli del debito pubblico. L’inflazione era una droga alla quale l’Italia non si era assuefatta , anche per le ripercussioni della crisi petrolifera ma anche per la progressiva perdita di produttività. La piccola industria fu la carta vincente per l’economia italiana, ma la politica non riuscì a migliorare il rendimento delle istituzioni e rafforzare l’azione del governo. La democrazia consociativa senza ricambio aveva due costi, uno economico ma l’altro culturale e morale. Gli intellettuali non aiutarono a risolvere né l’uno né l’altro problema. Anzi, finita la “rivoluzione”, occuparono le poltrone e le cattedre, i giornali e le televisioni.
- La crescita si ferma mentre le conquiste del welfare degli anni precedenti pota ad emergere quella che è stata chiamata la “crisi fiscale dello stato”: l’intervento così esteso e così oneroso da parte dello stato era diventato un peso insostenibile (diversa è la lettura neomarxista di O’ Leary): perché in Italia in quegli anni inizia quella crescita della pesa pubblica e del debito pubblico che ne condiziona il futuro mentre in altri paesi questo non avviene?
In tutti i paesi europei la crisi petrolifera, ma più ancora i costi crescenti del welfare state, mettevano in crisi i partiti socialdemocratici a partire dalla Svezia (1976) dove governavano da trent’anni.
In Germania come in Francia i socialisti e i socialdemocratici riuscirono a contenere la crisi. Addirittura nel 1981 in Francia l’Unione dei socialisti di Mitterand con i comunisti andò al potere con un programma di riforme che comprendeva anche il “reddito minimo d’inserimento” come sussidio ai giovani in cerca di lavoro. Non a caso le prime elezioni a suffragio universale per il Parlamento europeo registrarono il successo dei socialdemocratici e dei socialisti che con le formazioni cristiano sociali diedero vita ad una maggioranza che è rimasta fino ai nostri giorni. Nello stesso anno entrò in vigore lo SME (Sistema Monetario Europeo). L’Europa occidentale reagiva alla crisi, quella orientale la subiva e sembrava un sistema bloccato con Breznev che pensava di rilanciare la guerra fredda con gli euromissili, più che a migliorare le condizioni economiche e sociali.
Alla fine degli anni Settanta la produttività sovietica era pari al 55% di quella americana, quella agricola appena al 10%, il prodotto pro capite non raggiungeva un terzo di quello statunitense. Gli ingenti investimenti in armamenti in Unione Sovietica non producevano ricadute sul piano civile. Anzi, venivano percepiti come minacce dagli stati satelliti europei. Di fatto nei paesi comunisti cresceva l’indebitamento con l’estero, crescevano modestamente i salari, ma non cresceva la produttività e nemmeno i consumi. In Polonia si formò un’organizzazione operaia, Solidarnosc, che si pose in conflitto con il potere del partito. L’elezione al soglio pontificio del polacco Karol Woityla, dopo 450 anni di papi italiani, fu un evento epocale che scosse i paesi europei.
Ma non rappresentò l’affermazione dell’unione spirituale dell’Europa, con le sue radici in una comune fede religiosa, oltre il suo impatto politico?
Domanda cruciale a cui ha tentato di dare una risposta da un lato papa Woityla, con la testimonianza della sua vita di cristiano polacco, che subì la barbarie del nazismo e del comunismo, due ideologie totalitarie, ma anche papa Ratzinger, cercando quest’ultimo l’identità cristiana dell’Europa nelle sue radici plurisecolari. Tuttavia oggi la secolarizzazione e l’individualismo sembrano aver spazzato via ogni traccia di questa identità. Guardando più in profondità assistiamo ad un conflitto interno all’Unione Europea fra gli Stati-nazione dell’Est ex comunista che hanno conservato nella loro identità religiosa, che servì anche a resistere alla scristianizzazione imposta dal comunismo sovietico. La divisione sui valori questi stati ed i paesi fondatori dell’Unione, ricchi ed individualisti, costituisce una ferita che non si può risolvere a colpi di sentenze, ma con la reciproca comprensione ed un serio esame di coscienza da parte di tutti. Uniti sì, ma nel rispetto delle diversità storiche e delle identità nazionali. Semmai all’interno di una cornice costituzionale da costruire.
- E il 1979 è anche l’anno della prima elezione a suffragio diretto del parlamento europeo, con la elezione di una donna alla presidenza, Simone Weil. Nella costruzione dell’Europa si dedicarono in questi anni eminenti politici: il francese Ortoli, l’inglese Roy Jenkins, ma gli italiani non erano interessati?
Il 7-10 giugno 1979 si tennero le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo. Vennero eletti 410 deputati: 81 alla Repubblica Federale di Germania, alla Francia, alla Gran Bretagna, 25 all’Olanda, 24 al Belgio, 16 alla Danimarca, 15 all’Irlanda e 6 al Lussemburgo. Più tardi entrarono i rappresentanti della Grecia, della Spagna e del Portogallo. L’elezione diretta del Parlamento, benché con poteri limitati, fu un grande evento ed un polo di attrazione anche per i paesi dell’Est.
I socialisti, con labouristi e socialdemocratici presero 125 seggi , i popolari con i democristiani 127 seggi. I comunisti, presenti in forze in Italia e in Francia, presero 48 seggi, liberali e democratici di centrodestra 123 seggi. Si formò una sorta di maggioranza, rimasta inossidabile, fra socialdemocratici e popolari.
La contraddizione più evidente stava nel fatto che si eleggevano i deputati europei, ma avendo nella mente i partiti nazionali. L’altra contraddizione stava tra le attese riposte in un organo eletto democraticamente con una presidente, Simone Weil, di grande valore, e la limitatezza dei poteri istituzionalmente riconosciuti. L’approvazione del bilancio presentato dalla Commissione era il solo e chiaro potere attribuito all’Europarlamento . Il 63% del bilancio riguardava la “spesa agricola”. Troppo poco restava al bilancio comunitario . Così il progetto di bilancio fu bocciato e si aprì una crisi aggravata dal fatto che sulla scena politica europea era apparso un personaggio politico destinato ad incidere in profondità, Margaret Tatcher.
Ne parliamo nel prossimo appuntamento: ricordo solo che nel 1970 all’Italia toccò la presidenza della Comunità europea ma dopo appena due anni Franco Maria Malfatti lasciò precipitosamente l’incarico per partecipare alle elezioni politiche italiane: tra il prestigio a scala europea e incarichi politici nazionali, neanche particolarmente prestigiosi, il manuale Cencelli non lasciava adito a dubbi, guidare l’E
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