Sembra proprio che, questa volta, la Riforma del Catasto s’abbia da fare. Ce lo chiede/impone la Commissione Europea. Nelle linee inviate al nostro Paese per beneficiare dei fondi del Recovery Plan indica, come punto da tenere in considerazione tra gli altri, “la riforma dei valori catastali non aggiornati”. Si ripresenta dunque uno dei tormentoni più sofferti dalla politica che si trascina da anni, ma che, a tutt’oggi, resta da risolvere.
Di Riforma del Catasto si parlò l’ultima volta nel 2014, con l’approvazione della legge per la riforma fiscale (L. 23/2014). La legge ― che delegava il Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita ― prevedeva anche la Riforma del Catasto. La delega fu però congelata, a tempo indeterminato, dallo stesso Governo Renzi che l’aveva approvata. Il Governo temeva che una Riforma del Catasto avrebbe fatto lievitare, in maniera molto rilevante, la tassazione sugli immobili. Ora la questione si ripresenta, e le conseguenze economiche che si temono sono le medesime.
Chi è assolutamente contrario alla Riforma del Catasto (sostanzialmente tutti i partiti del centrodestra e il Movimento 5Stelle) a grandi linee sottolinea questi punti. Attualmente, i valori catastali sono riferiti, genericamente, al numero dei vani dell’immobile. La Riforma del Catasto stabilisce il ricalcolo dei valori catastali sulla base dei metri quadrati effettivi dell’immobile. Questo ricalcolo determinerebbe, automaticamente, non solo incrementi dell’IMU sulle seconde case, della TARI e revisioni dell’ISEE per la parte riguardante i patrimoni immobiliari, ma avrebbe effetti anche sulle tasse di registro, di successione, di donazione, ipotecarie e catastali. Infatti, il valore catastale dell’immobile sarebbe determinato dal numero dei metri quadri dello stesso moltiplicato per il valore di mercato del metro quadro della zona di appartenenza. Questo valore è fornito dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), gestito dall’Agenzia delle Entrate, e viene aggiornato ogni sei mesi. Osservano i contrari alla Riforma che tutto questo oggi è insostenibile da parte dei cittadini, già provati economicamente dalla pandemia di Covid-19.
Chi è favorevole alla Riforma del Catasto (sostanzialmente, ma senza grande entusiasmo, Partito democratico e Liberi e Uguali) pone l’accento sugli aspetti di “equità” che conseguirebbero alla Riforma. La valutazione degli immobili sulla quale fondare la tassazione sarebbe più realistica. Infatti, si riferirebbe ai valori di mercato, che le evoluzioni urbanistiche possono aver alterato. È noto, infatti, come oggi ci sono immobili nei centri delle città con valori di catasto modesti se riferiti ai vani, ma con valori di mercato ben superiori tenendo conto della loro collocazione. Situazioni opposte sono rinvenibili per immobili collocati nelle periferie delle città. Riformando i valori catastali con riferimento ai metri quadri, immobili di pregio nel centro della città pagherebbero tasse superiori a quelle di un immobile in periferia anche se di recente costruzione.
Il Governo Draghi ― impegnato con l’Europa a procedere alla Riforma fiscale ― per la parte riguardante la Riforma del Catasto dovrà conciliare le due tesi. Ma, tenendo conto di questa situazione e della complessità della Riforma, perché non si potrebbe procedere alla Riforma del Catasto per gradi? Ci spieghiamo.
Uno dei punti qualificanti di una qualsivoglia Riforma del Catasto è quella di fare emergere l’abusivismo immobiliare. Nel Rapporto SDGs 2021 (Sustainable Development Goals, obiettivi di sviluppo sostenibile) goal11.pdf (istat.it), l’Istituto Nazionale di Statistica informa che si stima che, nel 2020, l’abusivismo edilizio in Italia sia stato di 17,7 costruzioni abusive ogni cento costruzioni autorizzate dai Comuni. Distinguendo per il Paese: 6,1 costruzioni abusive nel Nord, 17,8 costruzioni abusive nel Centro e 45,6 costruzioni abusive nel Mezzogiorno.
Le norme per la Riforma del Catasto prevedono il coinvolgimento dei Comuni nei cui territori sono collocati gli immobili, coinvolgimento particolarmente finalizzato ad assoggettare a tassazione gli immobili non ancora censiti. E allora, nel pieno rispetto delle richieste dell’Europa, perché non partire da qui? Intanto chiedendo ai Comuni perché continui a permanere, nei loro territori, l’abusivismo edilizio e richiamandoli ai dovuti controlli in materia. Inoltre, incominciando a sottoporre alla tassazione, anche secondo le nuove regole catastali, questi immobili, si attuerebbero indiscutibili azioni di “equità” da ogni punto di vista, senza dimenticare che si acquisirebbero maggiori entrate per le casse dello Stato.
C’è poi il fenomeno dell’evasione fiscale sugli immobili. Secondo quanto evidenziato da Il Sole 24 Ore del 19.09.2021 ― che cita i dati del rapporto annuale sull’economia sommersa allegato Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza ―, tra Imu, affitti in nero e case fantasma l’evasione fiscale sugli immobili in Italia supera i 6 miliardi di euro. Perché allora non rafforzare la lotta a questo tipo di evasione e magari, a titolo di sanzione, aggiornare i valori catastali proprio di questi immobili e, anche in questo caso, con beneficio delle casse dello Stato?
Resta poi, ovviamente, il problema della Riforma del Catasto per gli immobili censiti. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare, al 31/12/2018 risultano censiti 75,5 milioni di immobili o loro porzioni
(https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/263802/Statistiche_Catastali_2018). Qui il lavoro è veramente gigantesco.
Il Governo Renzi aveva ipotizzato cinque anni per portarlo a termine. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), si prevedono anche risorse per il potenziamento “qualificato” del personale nella pubblica amministrazione. Se così è, la Riforma del Catasto potrà vedere la luce. Quanto poi all’invarianza della tassazione applicando le nuove regole catastali, ripetutamente affermata dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, pochi ci credono.
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