Il risultato delle elezioni in Germania è stato interpretato da Enrico Letta e compagni come una vittoria della sinistra, a dimostrazione del teorema per cui nel post-pandemia l’ondata populista si sarebbe esaurita ed avrebbe ripreso a soffiare il vento progressista dei diritti sociali, ambiente, ius soli, ius arcobaleno e, perché no, legalizzazione della cannabis.
Le cose non stanno esattamente così, perché la Spd di Olaf Scholz non ha vinto le elezioni su posizioni e promesse da sinistra radicale (come quella gauchista che sembra avere affascinato il segretario del Pd o quella à la Corbyn che ha praticamente spianato la strada al governo di Boris Jhonson), bensì su un programma che possiamo serenamente definire moderato. È sufficiente ricordare la biografia dello stesso Scholz per averne conferma.
Ma veniamo a casa nostra, dove le sbandate di Salvini dal Papete in poi, l’autoesclusione dal governo Draghi di Giorgia Meloni e lo sgretolamento lento ed inesorabile del Movimento Cinquestelle, aggrappatosi a Giuseppe Conte nonostante il fallimento dei suoi due governi, fanno pensare che il populismo o i populismi sono davvero alla frutta.
Basterebbe questa constatazione per arrivare ad una semplice ma fondamentale conclusione: che anche in Italia le vie che portano al centro, se ci fossero la volontà e l’intelligenza (Machiavelli direbbe la virtù), troverebbero un vasto spazio da coltivare. Uno spazio politico che ricorda i campi demaniali dell’Inghilterra del XVII secolo, dove i poveri contadini facevano agricoltura di sussistenza, fino alla geniale introduzione della legge sulle recinzioni (enclosures) che privatizzò tutta la terra e permise ai nuovi proprietari-imprenditori di realizzare una grande rivoluzione agricola.
Chi ha una visione limpida di cosa potrebbe essere oggi in Italia una politica di centro autenticamente riformista, una politica che se ne frega delle bandiere ideologiche tipo ddl Zan e degli slogan senza senso come No euro o No green pass, una politica che vuole la transizione ecologica ma non la morte delle nostre imprese, una politica del fare che sappia mettere insieme una vera classe dirigente?
Non c’è dubbio che Mario Draghi sul piano nazionale si sta muovendo proprio in questa direzione. Oggi. Ma domani: che succederà quando diventerà necessariamente il nuovo Presidente della Repubblica?
C’è un altro leader che risponde a questo identikit, anche se in una posizione attualmente non così elevata: Carlo Calenda, che ha intuito che la battaglia per il Campidoglio è di rango nazionale e quindi non l’ha snobbata come altri hanno fatto in funzione di una futura quanto improbabile investitura governativa.
Carlo Calenda sta muovendosi a piccoli passi ma ha già dato vita ad Azione su precise idee liberal-democratiche e riformiste. Inoltre, guarda caso, la sua candidatura a sindaco della capitale è vista bene persino da Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, che l’ha dichiarato apertamente in una intervista a La Stampa; alla quale Calenda ha risposto così sul Corriere: “Starei nello stesso governo di Giancarlo Giorgetti e anche di Antonio Bassolino, che sostengo a Napoli”.
Se questi non sono segnali…
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