Questa volta non ho dati da esibire. Non ho valutazioni da presentare. Voglio solo raccontare una impressione. Una sensazione, come va di moda dire oggi, di “pancia”. Ed è una sensazione negativa. Ma andiamo con ordine.
Con il PNRR l’Europa si è data un compito non da poco: fare una “Grande Transizione”. Che poi si articola nella transizione energetica, nella transizione ecologica, nella transizione digitale. Ma non solo. Poi c’è la transizione industriale, la transizione sociale e chissà, con i primi segnali che si leggono nella raccolta di firme on line per i Referendum, anche la transizione politica e istituzionale.
Insomma siamo all’inizio di un grande “Big Bang” che porterà grandi trasformazioni nei prossimi dieci/trenta anni che il pensiero degli uomini e l’evoluzione della tecnologia disegneranno secondo linee di cambiamento che solo in parte oggi siamo in grado di percepire e apprezzare nella loro evoluzione.
Ma se, come ci sembra di poter dire, la “grande transizione” non è solo “evoluzione oggettiva” ma è anche “pensiero e volontà che si fanno”, il ruolo degli uomini singoli, associati, come comunità o come gruppi è rilevante. E allor accanto alla digitalizzazione, all’intelligenza artificiale, al cloud e ai “big data”, tutti strumenti che segneranno nei prossimi anni il modo di vivere nei paesi avanzati, occorre guardare a cosa stanno facendo gli uomini. Perché molto di ciò che sarà dipenderà da come questi si muoveranno, e da come questi penseranno e agiranno.
E cominciamo dall’inizio. Da oggi. Siamo all’inizio della grande transizione. E gli uomini che fanno? Hanno la percezione del loro ruolo in questo processo? O attendono che le crisi e la tecnologia traccino per loro il grande sentiero su cui incamminarsi. Questa è la “grande domanda” che dovremmo porci. E la risposta può essere variamente articolata. Per semplificare sceglierò di descrivere le sensazioni che mi nascono, di pancia, dall’osservazione di tre raggruppamenti. Altri se ne potranno e se ne dovranno poi fare. I gruppi sono “i giovani”, i “politici” e i “civil servant”.
I giovani ci sono. Le manifestazioni che si susseguono sul tema dei cambiamenti climatici testimoniano di un’ansia crescente che si risolve, finalmente potremmo dire, non sulla chiusura in sé ma sulla manifestazione di un disagio. Che ora comincia a diventare lotta politica. Mancano forse un po’ di intellettuali “à la Sartre” a dare un po’ di consistenza di pensiero lungo e profondo alle loro idee. Ma il segnale, dopo tanto tempo c’è. Che si rafforzi.
I politici non ci sono. La transizione ha per sua definizione un riferimento temporale lungo. Non si può parlare di transizione energetica e accapigliarsi per le bollette del gas del mese successivo. Non si può fare il “tifo” per una risorsa energetica e mettere all’indice un’altra come se si potesse passare, che so dal gas al vento, il giorno dopo. Ci vogliono analisi serie. Ci vogliono sguardi lunghi. Ci vuole la percezione che i cambiamenti tecnologici ed economici possono cambiare nell’arco di venti anni competitività e impatti ambientali. Tali da far cambiare strategia in corso di transizione. Insomma la transizione non ha bisogno di Twitter ma forse più di Studio e di Ricerca di Consenso di lungo periodo. Parafrasando Draghi (che parafrasava Andreatta): le cose vanno fatte perché si devono fare. E non per ricevere più Like il giorno dopo.
I civil servant, e li chiamerei in questo caso così e non dipendenti pubblici, non ci sono nel numero e con l’intensità di cui ci sarebbe bisogno. La Transizione, il PNRR e quindi il rilancio dell’Italia nella nuova Europa, ha bisogno di una Pubblica Amministrazione efficiente, performante e onesta. Non che queste tre caratteristiche siano completamente assenti ma ci sono su livelli di intensità e diffusione troppo limitati. L’efficienza, è inutile dirlo, è la sconosciuta nella nostra PA. Personale in sovrannumero in tante amministrazioni, dirigenti strutturalmente eccessivi, strumentazioni e formazione sulle stesse decisamente arretrate. Su questo punto il Ministro Brunetta ha preso seri impegni. Speriamo che vada avanti con decisione. Poi la PA non è performante ma opera sul principio di conformità rispetto alle norme. Si perde di vista l’obiettivo (performance) e l’importante e quasi esclusivamente rispettare, al minimo, le norme (conformità). Ed infine l’onestà. Non è tanto il ripetersi continuo di fatti illegittimi e illegali. Quanto che, per questa ragione, la normazione e il controllo nella PA è diventato asfissiante e burocratico. Controlli eccesivi ex ante, norme stringenti che formalmente consentono pochissimi gradi di libertà anche ai livelli dirigenziali, farraginosità nelle procedure create ad arte per “ingabbiare” i comportamenti dei funzionari pubblici. Con il risultato oggettivo che l’onestà non sembra in crescita ma certamente l‘azione della PA risulta decisamente rallentata.
Ma la cosa che manca davvero nella PA è la “passione civile”. Si può cambiare il paese se chi deve guidare la macchina non butta il cuore oltre l’ostacolo? Non diventa parte attiva del cambiamento. Non sente le ansie, le paure ma anche le spinte e le volontà della comunità. Insomma si può disegnare, e in parte importante guidare, il cambiamento se manca questo “scatto”?
I giovani non possono essere lasciati soli in questa battaglia. Certo il mondo fra venti/trenta anni è il loro. E per questo è giustificato e inevitabile il loro impegno. Ma occorre che l’intera comunità senta la necessità di un passo diverso. Che costringa la politica e quindi la macchina pubblica a diventare “agenti di cambiamento”. La battaglia sulla PA dovrebbe davvero essere un compito unitario di tutte le componenti politiche. Non possiamo rassegnarci ad avere alla guida del treno un macchinista disinteressato al viaggio, alla direzione e alla destinazione del treno.
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