Dopo il successo della raccolta di firme per i referendum sulla Giustizia, se ne annuncia un altro che forse non era altrettanto prevedibile: perché 500.000 firme sono già state raccolte dall’Associazione Luca Coscioni, di cui l’ex parlamentare Marco Cappato è il più noto esponente, per richiedere un referendum parzialmente abrogativo dell’art. 579 del Codice penale che prevede una pena da sei a quindici anni di reclusione per l’omicidio del consenziente.
“Liberi fino alla fine” è lo slogan di questa campagna referendaria che, senza inutili giri di parole o sciocchi eufemismi, dichiara apertamente che il suo obiettivo è quello di introdurre in Italia l’eutanasia legale.
Per capire come si è arrivati a tutto ciò, bisogna fare un passo indietro e tornare alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sulla drammatica vicenda di Dj Fabo che due anni prima, versando in gravissime condizioni di salute, aveva espresso la volontà di essere accompagnato in Svizzera – uno dei Paesi europei in cui l’eutanasia viene praticata legalmente – per porre fine alle sue sofferenze e morire con dignità. Marco Cappato aveva guidato la macchina e trasportato il povero Dj Fabo in una clinica svizzera specializzata nel suicidio assistito, e successivamente si era autodenunciato presso i Carabinieri di Milano.
Com’è noto, la Corte di Assise milanese in seguito pronunciò un’ordinanza in cui poneva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.; e da qui si arrivò alla sentenza 242 della Consulta con la quale si esclude la punibilità di chi aiuta a morire “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Ecco dunque un tema, il fine vita, su cui il Parlamento avrebbe dovuto legiferare dopo il pronunciamento nonché le ripetute sollecitazioni da parte della Corte Costituzionale in tal senso. Ma, vista l’incapacità e persino l’indifferenza dimostrata fino ad oggi – nonostante il tema sia già stato sollevato più volte in passato, a partire dal 1984 con la proposta di legge Fortuna -, è bene che ora siano i cittadini a decidere rispondendo a un quesito referendario.
E i cittadini italiani hanno già dato una prima chiara indicazione con le firme apposte presso i banchi dell’Associazione Luca Coscioni, che comunque continuerà a raccoglierne per tutto il mese di settembre.
Se non era prevedibile un sostegno così ampio alla campagna referendaria, era praticamente scontata la reazione delle gerarchie ecclesiastiche. L’assemblea dell’episcopato, appena è arrivata la notizia delle 500.000 firme raccolte, ha pubblicato un comunicato in cui espone le sue ragioni contrarie all’eutanasia perché considerata espressione di “una concezione antropologica individualista e nichilista”. Secondo i vescovi, aiutare a morire non è mai una forma di compassione, mentre chiunque si trovi in condizioni di grave sofferenza va aiutato a superare la sua disperazione.
E’ una tesi rispettabilissima che ha una sua base di tipo teologico: la vita e la morte non sono “diritti disponibili” dell’uomo, perché provengono da Dio che è l’unico a poterne “disporre”.
Ma a questa tesi si può facilmente rispondere che, pur essendo il nostro un Paese con una importante tradizione cattolica, non siamo tutti cattolici in Italia. E di conseguenza quelli che non si professano cattolici, chiedono semplicemente di poter essere liberi di mettere fine alla loro vita quando sia diventata insopportabile e non valga più la pena di essere vissuta.
L’eutanasia, se mai il referendum avrà successo, dovrà essere legale, ovvero limitata a casi specifici e, soprattutto, nei quali prevale la consapevole determinazione di chi la sceglie come soluzione per le proprie sofferenze: si parla, ovviamente, di persone affette da malattie gravissime e irreversibili.
Ecco perché appaiono insensate le dichiarazioni del presidente dell’Accademia pontificia per la Vita, arcivescovo Vincenzo Paglia, che è arrivato a definire l’eutanasia legale una “nuova forma di eugenetica: chi non nasce sano, non deve nascere”. Questa è davvero una sciocchezza oltre che una evidente falsità: l’eugenetica praticata dai medici nazisti non era una libera scelta, ma veniva imposta ai malati e a quelli considerati tali con il folle obiettivo di purificare la razza ariana da forme degenerative di tipo fisico e psichico.
Per fortuna l’eugenetica nazista non attecchì mai in Italia, nemmeno durante gli anni bui in cui il fascismo assunse l’antisemitismo e il razzismo come sue ideologie. E’ impensabile, dunque, che oggi ci siano degli intenti eugenetici nei promotori del referendum e in tutti quelli che considerano la dignità dell’uomo un bene fondamentale che va difeso durante tutto l’arco dell’esistenza e finanche nel momento della morte.
La dignità che, come sosteneva il grande umanista Pico della Mirandola nella sua Oratio de hominis dignitate, è ciò che distingue l’uomo da tutti gli altri esseri viventi, grazie alla sua intelligenza e alla sua libertà.
Lascia un commento