Nei giorni scorsi un boato di è alzato improvviso nel Paese: la crescita dell’economia italiana nel 2021 batte quella della Germania, un boato pari a quello di Italia Germania 4 a 3.
Che era successo? Il Fondo Monetario internazionale aveva appena pubblicato le proiezioni aggiornate di crescita per il “Worlrl Economic Outlook” e dalla tabella diffusa risultava che per il 2021 la crescita stimata per l’Italia è del 4,9% mentre quella della Germania si ferma ad un contenuto + 3,6%.
Bruciare i tempi e battere la concorrenza è imperativo nel mondo dei media e così qualche solerte agenzia ha diffuso la notizia subito rilanciata nell’universo dei social. Più meditate riflessioni sono state pubblicate sulla stampa ma nella opinione dei cittadini è rimasta la notizia del sorpasso, anche perché soddisfaceva la speranza di tanti che, per crescere, non servissero tante riforme che, anche se non modificano profondamente la realtà, rappresentano comunque una seccatura per le posizioni acquisite.
A chi per scelta o per pigrizia ha rifiutato di approfondire la questione, appare utile fornire qualche valutazione aggiuntiva per la cui comprensione è sufficiente l’aritmetica ed il calcolo delle percentuali.
Uno sguardo all’eterna partita Italia – Germania mette subito in evidenza un dato trascurato nell’euforia dell’annuncio: la crescita del 2021 segue il crollo delle economie causato dalla pandemia e dalle misure adottate per contrastarla, ma la caduta è stata diseguale, nel caso specifico nel 2020 l’Italia aveva subito un calo del PIL dell’8,9% mentre in Germania si era fermata al 4,8%. Ora non serve essere economisti provetti per capire chi è messo peggio, se quello che, caduto per 9 metri in una scarpata, ne ha risaliti quasi 5, restando a quattro metri dal ciglio (è il caso dell’Italia) o quello che, caduto per quasi 5 metri, ne ha risaliti 3 e mezzo, distante solo 1,5 metri dal ciglio (è il caso della Germania).
Qualcuno potrebbe obiettare: si è invertita una tendenza, l’Italia ha ripreso a correre e sarà più veloce della Germania ma le previsioni del FMI per il 2022 spazzano via questa illusione, con i tassi di crescita che si riallineano,.entrambi i paesi si collocano poco al di sopra del 4%.
2020 2021 2022
Francia -8,0 5,8 4,2
Germania -4,8 3,6 4,1
Italia -8,9 4,9 4,2
Spagna -10,8 6,2 5,8
Regno Unito -9,8 7,0 4,8
Allargando lo sguardo ad altri tre grandi paesi europei risulta evidente che nel 2021 Francia (+5,8%), Spagna (+6,2%) e Regno Unito (+7,0%) crescono ben più dell’Italia: nel 2022 la Francia si allinea al tasso di crescita di Italia e Germania mentre Regno Unito (+4,8%) e Spagna (+5,8%) mantengono tassi di crescita più sostenuti , una performance da attribuire ad una più decisa condizione di libertà nelle attività economiche e ad una minore invadenza della burocrazia,
Con questi tassi di crescita tutti i paesi, eccetto uno, riescono a recuperare e superare, seppur di poco, il PIL del 2019. L’unico paese che non ce la fa è l’Italia che si ferma appena al di sotto (99,6) di quel livello.
LENTA, LENTISSIMA, QUASI IMMOBILE: L’ECONOMIA ITALIANA PRE-COVID
Il problema è che il recupero avviene su un sentiero di crescita che negli anni trascorsi aveva visto l’Italia praticamente immobile: nel periodo 2014-2019 la crescita cumulata italiana era stata del 5,1%, al di sotto del pur modesto risultato della Francia (8,9%), meno della meta della crescita tedesca (10,8%) ed inglese (11,8%) e neanche un terzo di quella spagnola (16,6%).
E’ evidente che l’Italia ha un problema, la bassa produttività del sistema: nel periodo 1999-2018 la produttività oraria del lavoro (a prezzi 2015 corretta per la parità dei poteri di acquisto) è aumentata solo del 4,1%, contro incrementi dell’ordine del 20% nei maggiori paesi europei. Considerazioni analoghe valgono per la produttività totale dei fattori, assolutamente stagnante nel nostro paese.
E la pandemia non ha migliorato certo la situazione
PNRR: PIU’ DEI PROGETTI, CONTA LA BUONA ATTUAZIONE.
Per rilanciare la produttività e la competitività del paese e quindi la crescita dei paesi europei è stato elaborato un imponente programma di investimenti e di riforme riassunto nel PNRR adottato recentemente dall’Italia ed approvato dalla Commissione Europea.
Ma il problema non sta nella qualità del piano, ma nella capacità di realizzarlo in conformità agli obiettivi prefissati. Cruciali sono le riforme da portare a compimento ma l’impressione è che, tra ricatti politici e pressioni corporative, gli impegni presi con l’Unione europea non saranno mantenuti se non in misura modesta e quindi non offriranno al sistema delle imprese quella libertà e quella efficienza della macchina statale che, più delle risorse, possono spingere la ripresa.
Anche sulla capacità di realizzare il programma massiccio di investimenti – organizzato su transizioni declinate con un elevato tasso di ideologismo – sussistono serie riserve: non più tardi di qualche giorno fa sul Corriere della Sera un profondo conoscitore della realtà del nostro paese come Giuseppe De Rita ha scritto in proposito che nel PNRR non manca l’alta ispirazione innovativa, visto che sono stati tanti gli intellettuali ed i politici all’opera nel definire i traguardi da perseguire, ma emerge una sostanziale povertà attuativa, soprattutto via via che si scende nella scala dei livelli istituzionali “ed allora per disperazione si rilancia lo strumento del bando, chiamando a presentarsi chi ha idee, progetti, voglia di fare. Una strategia che certo serve a tranquillizzare chi non vuole esercitare la discrezionalità delle scelte; ma che purtroppo non riesce a portare frutti adeguati, perché i soggetti che potrebbero o dovrebbero presentare progetti non hanno di solito la capacità tecnica, organizzativa e finanziaria per elaborare proposte applicative precise. …… Rischiamo una povertà attuativa, se non un fallimento attuativo. E le colpe saranno attribuite a chi in basso non avrà saputo concretamente attuare; ma non è detto che esse non risalgano i gradini che hanno visto la discesa troppo generica della decisionalità. Ci pensi chi sta in alto nella scala: il fallimento potrebbe essere ascritto anche a loro”
Chi porta sulle sue spalle il pesante fardello del governo deve curare il dettaglio delle modalità di attuazione del piano, il suo monitoraggio in termini di efficacia, la rapidità di risoluzione degli incagli che si presenteranno sicuramente, ma soprattutto il coinvolgimento del privato – profit e non profit – per la sua implementazione e per la messa in funzione.
L’insuccesso del Piano avrebbe gravi ripercussioni sulla crescita, che sola garantisce la sostenibilità sia del debito pubblico cresciuto in misura abnorme sia del sistema di welfare, peraltro da riformare profondamente a partire dalle pensioni : nessuno si illuda di essere al riparo dalle conseguenze .
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