Ieri sono partiti i primi test per iscriversi ad Agorà Democratiche, la nuova piattaforma pensata dai vertici per rilanciare il Partito democratico e puntare a un nuovo radicamento nella società italiana e tra le nuove generazioni in particolare.
La piattaforma Agorà sarà pienamente operativa dal 1° settembre ed è rivolta sia agli iscritti al partito che ai non iscritti.
Il progetto voluto da Enrico Letta ha il merito di ricercare un mix tra partecipazione digitale e fisica – qualunque cosa ne pensi Beppe Grillo, la politica, come la scuola, non può funzionare solo in Dad.
Ma esso rischia di ripetere alcuni errori che hanno segnato profondamente e negativamente la nascita del Pd nel 2007.
In quell’anno, dopo il grande successo delle primarie vinte da Walter Veltroni, molti partecipanti ai gazebo avrebbero voluto iscriversi al partito ed essere tra i fondatori del partito che stava nascendo.
Non fu possibile. Il timore era che un consistente afflusso di cittadini “indipendenti” potesse squilibrare gli assetti tra Ds e Margherita. Le percentuali erano state faticosamente e rigidamente fissate a Roma e poi dal centro diffuse a cascata in periferia su tutto il territorio nazionale.
La disparità di trattamento tra chi era già iscritto (alla Margherita o ai Ds) e i partecipanti alle primarie non iscritti ai due partiti, ma disposti a partecipare individualmente come fondatori del nuovo Pd, è un vizio di origine sulle cui conseguenze nessuno ha mai seriamente indagato.
Senza bisogno di scomodare la “legge ferrea dell’oligarchia” (elaborata più di un secolo fa da Robert Michels nel suo studio sull’evoluzione della Spd tedesca) non è difficile comprendere che il tema ha una rilevanza strutturale per la gestione di un’organizzazione politica.
Nel 2007 ero stato nominato (da poco meno di un anno) presidente dell’assemblea provinciale della Margherita di Firenze. Anche se la carica non era operativa, ma sostanzialmente onorifica, ho avuto la fortuna di seguire la nascita del Pd molto da vicino e da un osservatorio privilegiato.
Se non ricordo male, Veltroni avrebbe voluto favorire il massimo afflusso di persone non iscritte ai due partiti, ma le logiche di potere dei gruppi dirigenti Ds e Margherita presero il sopravvento.
Da allora il problema si è trascinato negli anni creando non poche frustrazioni. Da un lato gli iscritti si sono sentiti espropriati dei loro diritti dalle primarie, dall’altro i partecipanti alle primarie non hanno potuto partecipare a pieno titolo alla fondazione del Pd.
Con il passare del tempo la spartizione non è stata più tra ex Ds ed ex Margherita, ma tra nuove correnti trasversali (come Area Dem promossa da Piero Fassino e Dario Franceschini e altri raggruppamenti analoghi), ma la matrice oligarchica è rimasta sostanzialmente inalterata.
Nonostante i quasi 13 milioni di elettori conquistati nel 2008 (massimo storico del Pd) e nonostante l’oceanica manifestazione organizzata al Circo Massimo, Veltroni fu costretto alle dimissioni per i veti e le turbolenze interne all’oligarchia del partito.
Il vizio di origine del Pd a cui ho accennato nei paragrafi precedenti è una fonte strutturale di grande instabilità. Basti pensare a quanti leader si sono succeduti in pochi anni: dopo Veltroni, Guglielmo Epifani, Pierluigi Bersani, Matteo Renzi, Nicola Zingaretti e infine Letta.
Non è facile conciliare la partecipazione dal basso con il ruolo dei diversi leader e le molteplici correnti di idee.
Ma senza un progetto organizzativo limpido e regole chiare il Pd rischia di navigare ancora a vista e le Agorà di essere l’ennesimo tentativo di salvare il salvabile senza imprimere una vera svolta.
In sostanza: bene le Agorà, ma attenzione a non ricadere nei vecchi vizi e a rinchiudersi nei ristretti cerchi dei soliti noti.
Se il Pd vuole veramente valorizzare i contributi che possono arrivare da simpatizzanti e amici deve evitare di frustrare le aspettative di quanti si avvicineranno alle Agorà mostrando in concreto la capacità di ascolto ed elaborazione strategica.
(Questo articolo con il consenso dell’autore è ripreso dal sito www.formiche.net)
NICOLA VERDICCHIO
ottima analisi. Tuttavia non c’è solo questo tra le ragioni dell’insuccesso del Pd. C’è anche la mancata definizione di un profilo identitario più definito e l’idea che fosse il contenitore di tutto il centro-sinistra.
Sono state le piccole-grandi caste interne e l’idea di bastarsi da sè che hanno favorito la rivoluzione renziana e la “deriva” civica nei territori.