Per quanto è dato sapere, la polemica tra Grillo e Conte, attualmente le massime personalità cinquestellate, non riguarda prospettive politiche e programmatiche. Verte su questioni statutarie: più semplicemente banali questioni di potere all’interno del movimento. Questioni, del resto, che ne hanno accompagnato tutta la storia, da quando Grillo la iniziò sull’onda di un plateale Vaffanculo. Non essendoci obbiettivi, ma soltanto una ripulsa arrabbiata della classe politica precedente, tutte le discussioni tra 5Stelle si concentrarono sulle procedure per selezionare la propria classe dirigente, il divieto del doppio mandato ed altri ingenui accorgimenti atti a coltivare la presunzione di essere e rappresentare qualcosa di diverso e mai visto.
Curiosamente qualcosa di simile è avvenuto dentro il PD, che, invece, si identificava con la concezione politica opposta a quella che i nuovi venuti intendevano rappresentare. Anche nel PD, partito garante del sistema, le continue lotte intestine, e le scissioni, si sono scatenate senza che emergessero, tra i protagonisti, le differenze politiche e programmatiche: fino al punto da provocare il disgusto e le conseguenti dimissioni da segretario di Zingaretti.
E’ un vuoto che i due partiti dovrebbero colmare se intendono rendere credibile la loro possibile alleanza. Pare però assai improbabile a giudicare dai fallimenti nelle trattative per le alleanze nei maggiori comuni, dalle frizioni registrate prima nel governo Conte 2 ed ora nel governo Draghi, e dalle diverse opinioni su troppi temi di politica interna e internazionale. Si capisce come il PD sia fortemente condizionato dalla prospettiva di un centrodestra che i sondaggi quotano sopra il 45%. Ma creare uno schieramento alternativo per sommatoria, senza il mastice di una politica e di un programma, è velleitario. In altra parte di questo giornale, Enrico Cisnetto da un lato mette in guardia tutti (destra, sinistra e centro) a non fare eccessivo affidamento sui sondaggi; dall’altro rinnova una proposta suggestiva: uno schieramento pro Draghi ma senza Draghi. In effetti l’attuale presidente del consiglio si sta dimostrando non solo un abile tecnico e non solo un illustre economista. Ha messo in campo, con gli atti e senza retorica, capacità e valori politici dei quali si sente un grandissimo bisogno: lo ha fatto definendo “dittatore” un dittatore, ribadendo la laicità dello Stato, tenendo dritta la barra su importanti riforme (compresa la giustizia), sforzandosi di dare maggiore efficienza alla pubblica amministrazione (come si è ben visto con le vaccinazioni e gli altri provvedimenti di contrasto alla pandemia. Insomma, a differenza di quanto accaduto ad altri personaggi illustri, a Draghi la prova del governo sta facendo bene: ha aumentato il suo prestigio e la fiducia in lui. Una alleanza che ne riproponga i valori senza coinvolgerlo direttamente, una sorta di fronte repubblicano potrebbe interessare un’area trasversale sufficientemente vasta. Farebbe del bene al nostro Paese, sia che si collocasse al governo sia che fosse destinata a stare all’opposizione. Quella di Cisnetto è’ solo una idea allo stato embrionale. Ma, a parte la destra, non sembra che in giro ci sia molto di più.
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